venerdì 2 agosto 2013

Vi presento un GdR: Savage Worlds


Adoro i giochi di ruolo. Accumulo manuali su manuali nella mia cameretta, acquistandone molteplici in maniera compulsiva. La maggior parte delle volte senza nemmeno leggerli. Sì, perché esercitano un richiamo inarrestabile sul mio subconscio che mi spinge all'inevitabile risultato di doverli quasi collezionare, basandomi su fattori oggettivi e determinanti quali le immagini, le razze giocabili e un paio di poteri o incantesimi letti distrattamente.
Poi c’è l’altro aspetto, quello meno gradevole. La frustrazione che deriva dal non riuscire puntualmente mai a giocarli. «Eh, per forza» direte voi «se manco li leggi come caspio pretendi di poterli pure giocare?» Dehihi, vi ho fatto dire "caspio". "Caspio" è stupido.

Ma terminologia a parte avreste ragione, è un ostacolo oggettivo. Ma non è l’unico, altrimenti l’avrei superato di buon grado e con somma contentezza. Arrivano a guastarti la festa anche fattori come la scarsità di tempo da dedicarvici, l’assenza di una serata settimanale libera in cui posizionare un appuntamento fisso, la difficoltà di mettere d’accordo tutti i giocatori su ambientazione, sistema di regole ecc… compreso poi dovergliele riassumere e spiegare, che figurati se si possono leggere un manuale! Chissà che fatica gli farà.
«Ma non avevi detto che neanche tu…» shhh, vi prego, non fatemi perdere il filo del discorso con le vostre fantasiose illazioni. 
E insomma un giorno suona il telefono. Anzi vibra, che ce l’ho sempre silenzioso. Astenersi commenti ironici della domenica. Che oggi è venerdì e fa brutto. Nel frattempo il telefono continua a vibro-squillare ed infine opto per la risposta.


Salta fuori che si tratta di un mio amico piemontese di vecchia data, pesantemente invischiato anch’egli nel mondo della nerditudine, che mi chiede se avessi mai giocato a Savage Worlds. Parte una solfa pallosissima su questa mia lamentanza che «bah, non riesco manco a giocare quel che ho sugli scaffali, figuriamoci roba nuova».
«Provalo», dice lui con fare ammiccante e un leggero retrogusto di beffardo «non te ne pentirai. Si impara in 10 minuti, si spiega in 5 e l’esperienza di gioco è notevole. Giocaci che poi devo farti una proposta».
Una proposta? No, io quattro ore di nonono (Soluzione: Tre-No… sì, lo so, a volte voglio strozzarmi da solo, vi capisco) non me le faccio per fargli da master. E tantomeno da giocatore. 
Ma diamogliela una letta va', che male può fare? Alle perse spendo altri 10 euri per aggiungere un cucciolo al branco. Ebbene sì, solo 10 euri per il manuale base: la prima, buonissima notizia. Poi mi addentro nelle regole e le cose non fanno che migliorare.
La prima reazione è googlarlo. E i risultati sono positivi, molto positivi; tra questi trovo anche un intervento piuttosto recente e positivo di Will Wheaton, nonostante il gioco conti una decina d’anni e svariate edizioni alle spalle. Come chi è Will Wheaton?



Insomma, lo leggo. E mi piace! Senza dilungarmi più del dovuto sulle specifiche regolistiche, ché se v’interessa ve le leggete poi con calma voi (la scusa di acquistare i manuali e non leggerli l’ho già usata io; stacce, lettore medio!), vi faccio un sunto di ciò che mi è piaciuto maggiormente:


  •  La scheda si fa potenzialmente in cinque minuti. Se poi ci si vuole addentrare nella pletora di opzioni per dare profondità al personaggio, come difetti congeniti (hindrances) e caratteristiche peculiari (edges), allora il tempo necessario cresce. Altrimenti scegliete un’arma, una razza ove l’ambientazione lo preveda, sistemate i vostri cinque Attributi e le vostre presumibilmente-eguali-o-poco-ci-manca Abilità e via andare.
  • Si parlava di Attributi ed Abilità. Che poi la versione italiana ancora non esiste e quindi magari salta fuori che trovano altri termini per Attributes e Skills, quindi prendeteli con le pinze. Questi però introducono una novità: invece dei normali valori fissi, qui si cresce di “tipologia di dado”. In che senso? Di base si ha un d4 da tirare, investendo punti questo diventa d6, d8, d10 e infine d12. Ulteriori punti conferirebbero un bonus per il tiro: dimenticatevi d20 e soprattutto d100. Maledetti power-player, siete ovunque!


  • Ok, tiro i dadi tutti diversi, colorati e divertentissimi. E che ci faccio? Semplice: con un 4 riuscite nel tiro, con un 8 ce la fate fighissimamente, con un 12 strafighissimamente e aumentando di 4 in 4 potrete divertirvi anche voi a massacrare la lingua italiana con varianti sgrammaticate del termine “figo”.
  • Le ferite pesano. Ammazza se pesano! Ne potete sopportare tre, ognuna delle quali vi conferisce un uguale malus alle azioni, dopodiché dalla 4 arrivano le brutte cose, a-là Munchkin, le quali comprendono anche disdicevoli attacchi di morte. Eh, oh, capita. Quindi scordatevi delle secchiate di pf di cui dispone un barbaro di ventesimo livello: barbari o maghi che siate, dopo 3 ferite passate un brutto quarto d’ora, almeno. E parlando di ventesimo livello…
  • … Non c’è. Ah ah, che infallibile burlone, ci si ferma a 10? No, no: non c’è il livello. O meglio l’han camuffato da altra cosa, ma poi alla fine è come se ci fosse: esistono 5 Rank che variano con l’accumulare dell’esperienza (tana per loro!). Laddove la questione si rivela maggiormente interessante è nella continua, seppur minimale, crescita del personaggio di sessione in sessione o quasi. Ogni 5 punti esperienza si prende un’avanzamento, che può essere un Potere, un Edge, un miglioramento di Abilità o Attributo ecc… e a ogni sessione vengono assegnati tra 1 e 3 punti esperienza; in sostanza apporterete un miglioramento alla vostra scheda ogni due sessioni circa, invece di dover aspettare le millemila sessioni una volta raggiunto un livello considerevole, come in altri giochi con dongioni e dragoni.


E poi le ambientazioni. Si, lo so che è finito l’elenco puntato, era mia precisa volontà tenere quest’argomento a parte. Savage Worlds è un sistema di regole “Open Ended” che in sostanza significa “Noi ti diamo le regole, giocale un po’ dove ti pare”. E hanno creato dei gioiellini nella categoria “luoghi dove mi pare di giocare”. Eccone alcuni:

Deadlands

Strafamosa già di suo, quest’ambientazione è un cocktail ben pensato e shakerato: 1/3 non morti, 1/3 saloon e 1/3 pistole. Servito freddo, con ombrellino western ad abbellire.


50 Fathoms

A chi non piacciono i Pirati? Su Peter P., alla fine ne vai matto anche tu, altrimenti non ci giocheresti sempre! Ci sono le navi, i filibustieri, i tesori, le isole e il rum. Soprattutto il rum. Al di là delle banalità, l’ambientazione è ben scritta, la parte geografica molto curata e vi sono anche un pizzico di spunti fantastici come razze marine giocabili che aggiungono una goccia di varietà nel mix. Infine aggiungere rum.


A necessary Evil

L’intro vi dice che i supereroi esistono, ma sono caduti vittima di una trappola tesa loro dagli alieni, anch’essi più che concreti. Dopodiché suddetti alieni attaccano la terra e chi rimane a difenderla? No, non è un blockbuster, quindi niente Stati Uniti. Ebbene si: i super cattivi! I tanto bistrattati antagonisti sono rimasti i soli in grado di difendere il pianeta terra, ma soprattutto loro stessi. Quindi uniscono le forze e giù crocche degne di Pacific Rim!


Beasts and Barbarians

Felice parto di autore italiano, questa è una delle ambientazioni più low fantasy che potrete trovare in circolazione. Talmente tanto low da essere quasi più historical. Insomma ce l’avete presente Conan il Barbaro? Ecco, il gusto è decisamente quello, ma gli ingredienti diversi e speziati si sentono tutti. Decisamente da provare.


E poi…
E poi ce ne sarà a breve un’altra, potenzialmente valida. O almeno così dicono.
«Ma come, ci lasci nel più bello? E com’è? Cos’è?»
Vi ricordate la telefonata di cui sopra?
Beh ce n’è stata un’altra. E un’altra. E… toh, il telefono.


Continua (?) ...

[Per quella telefonata il Vostro non ci sarà per il resto di agosto. Ma aspettatevi delle coloratissime novità da parte di Deo. Sì, ho detto "colorate" parlando di lui. Ha ha ha. Il caldo, sempre colpa sua. NdNedo]


Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: Enascentia, universo fantasy ambientazione de "Il Cubo di Enascentia" e del Gioco di Ruolo in uscita a Lucca 2013, e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.

mercoledì 31 luglio 2013

Shadowrun Returns - Bentornati nella Matrice



Comunicazione di servizio: i seguenti paragrafi sono sproloqui di Nedo che, in gran parte, non interessano a nessuno. Se avete raggiunto questo link per leggere la recensione di un videogioco e non per scartavetrarvi le pudenda con i ricordi di gioventù dell'autore, saltate direttamente al primo titoletto colorato.

Io ho sempre avuto un debole per il cyberpunk, anche quando non sapevo nemmeno che diavolo significasse il termine e Gibson era soltanto la marca della chitarra di mio zio. C'era qualcosa che mi affascinava profondamente nella sua estetica asciutta e nichilista, nei suoi scorci notturni di uno sprawl illuminato a neon, nelle sue frequenti ibridazioni uomo-macchina .
Poi dopo ho iniziato a leggere l'omonimo della chitarra, Dick e Sterling, ho consumato il VHS di Blade Runner prima e Strange Days dopo, trovandomi fregato, fottuto e senza una via di uscita: il cyberpunk è ormai per me un genere che travalica la semplice predilezione e finisce dritto dritto nella categoria degli amori assoluti, puri e incrollabili.

Per quanto sia strano considerando il mio vissuto e la confessione che mi avete involontariamente strappato («Ma hai fatto tutto da solo!», direte voi. MENZOGNE), non ho giocato un granché a giochi di ruolo cartacei appartenenti al genere, almeno non quanto avrei voluto. 
In parte perché i miei compari di un tempo avevano (e hanno tuttora) la fissa per i nerboruti guerrieri sanguemmerda e per gli elfi arcieri distaceppa e per i maghi mingherlini lanciapalledifuoco e per i nani con la voce roca e l'ascia (ovviamente) di fattura nanica, vedendo con cattivo occhio l'idea di infilarsi nei panni di qualche pulcioso morto di fame figliodipu' pezzodime' che passa il tempo a farsi prendere a calci da una megacorporazione a caso.
L'altro motivo, decisamente di non secondaria importanza, era trovare i manuali senza bestemmiare una decina di pantheon, rigorosamente in ordine di apparizione; si può dire che le storie editoriali italiane di Cyberpunk 2020 e Shadowrun non siano state proprio fortunate, nonostante si parli di due titoli con svariate edizioni e un successo commerciale fuori dallo Stivale per niente modesto.

Tanto bello quanto introvabile nella mia gioventù.


Ho sempre sfogato la mia frustrazione acquistando videogiochi a tema, spesso appena usciti nei negozi, sempre senza informarmi se fosse materiale interessante o meno. Fra i miei acquisti dissennati e spesso compulsivi, devo dire che quello che mi ha reso più felice è stato Shadowrun per Super Nintendo, pescato due lustri fa su eBay e diventato, inaspettatamente, l'action rpg per console più bello abbia mai giocato. Sì, il gioco dell'australiana Beam lo ritengo migliore anche di titoli più blasonati e giapponesissimi. No, ho ragione io. No, non insistete, ché poi mi tocca scrivere un pezzo sulle avventure di Jake Armitage per mostrarvi quanto siate nel torto.

Capirete quindi come abbia reagito a suo tempo alla notizia di un ritorno (sic) di Shadowrun sui nostri schermi del pc, attraverso una campagna su Kickstarter. Con sobrietà, certo.


Poi ho scoperto che dietro a Shadowrun Returns (ora capite il sic di prima) c'era il designer della versione cartacea, portandomi quindi a esprimere ulteriore entusiasmo in maniera assolutamente composta.


Dopo 15 mesi di attesa spasmodica, finalmente il sottoscritto ha messo le sue manone su una copia del videobalocco e, dopo averlo finito in tipo due giorni, ha proprio intenzione di parlarvene. Magari partendo da

Mai fare un accordo con un Drago (a.k.a. l'Ambientazione)

Sì, quello dietro al mio eroico Bl1t5 è un troll, accompagnato da un mago e una sciamana.
Che c'è di strano? È Shadowrun, ragazzi.


L'ambientazione di Shadowrun contiene in nuce gran parte degli stilemi classici del genere cyberpunk, dal concetto di high tech / low life (la crescita esponenziale della tecnologia, a tratti sorprendente, è  inversamente proporzionale al valore dell'uomo in quanto individuo, sempre più un numero e intrinsecamente sacrificabile) al quadro geopolitico instabile, controllato e indirizzato dalle agende economiche delle megacorporazioni, soggetti multinazionali tanto potenti da esser considerabili veri e propri Stati.
Ovviamente si ritrovano anche il cyberspazio gibsoniano, gli innesti cibernetici, le metropoli multietniche, gli slang di strada, le droghe tanto sintetiche quanto mortali e quell'atmosfera disperata e senza futuro che tanto piace a grandi e piccini.

Vi potreste chiedere quali siano le differenze con la concorrenza, a parte il regolamento. Be', un paio di eventi accaduti nella linea temporale del mondo di Shadowrun rendono la sua ambientazione un unicum nel panorama dei giochi di ruolo (o perlomeno lo era, prima che tutti copiassero qualcosa dai suoi volumi).
Nel 2011, senza alcun motivo apparente, nascono i primi bambini con caratteristiche fisiche talmente diverse dai genitori da essere pienamente considerabili metaumani; questi bambini, crescendo, verranno chiamati elfi o nani, a tutti gli effetti nuove (?) specie di Homo Sapiens.
Lo stesso anno vengono avvistati per la prima volta due draghi, un uomo riesce a fuggire da un campo di concentramento scomparendo in una tempesta e le linee temporanee (o Ley Lines per gli anglofili) riemergono per tutta la Gran Bretagna; è il Risveglio, in cui la Magia (ri)appare nel Mondo, portandolo in una nuova era.
Un decennio più tardi, un numero relativamente elevato di umani subisce una mutazione chiamata "goblinizzazione"; repentinamente i loro tratti somatici, la loro struttura ossea e muscolare subiscono una metamorfosi tali da venire da quel momento evitati con disgusto e chiamati dispregiativamente orchi e troll.

L'ibridazione con il fantasy, che a prima vista potrebbe sembrare un po' cheesy e fuori posto, funziona perfettamente perché rimane comunque strettamente ancorata all'ultracorporeità della narrativa cyberpunk, senza svolazzamenti onirici o paesaggi bucolici tolkeniani. Le nuove razze, ricordiamolo, sono alla stregua dei mutanti, né più o meno di quanto si vede spesso in un'ambientazione post-apocalittica, e la magia è praticata da persone tutt'altro che illuminate, speciali solo per caso e con quel tocco urban che rende tutto più credibile.
Giocare un decker (gli hacker di Shadowrun) troll con un'infarinatura di sciamanesimo a prima vista sembra straniante, ma vi accorgerete come tutto sia scritto così bene da sembrare la cosa più naturale del mondo.

Se volete altre informazioni sul lore, veramente ficozzo e in continua espansione, vi rimando alla wiki, onde evitare di scrivere altri novecento paragrafi.

Sei un Runner, inizia a correre (a.k.a. la Narrazione)

Aah, il tuo vecchio amico Sam Watts. Sempre spiacevole e strafatto. Anche da morto.

Siete uno shadowrunner, un mercenario che offre i suoi servigi a chiunque lo paghi abbastanza. E per "abbastanza" si intende "quanto basta per non morire di fame". Vivete nell'illegalità e lavorate di illegalità, giocando in tavoli la cui posta è sempre superiore a quanto vorreste mai puntare.
È un periodo di magra, i vostri contatti sono tutti morti o dispersi e rimanete rinchiusi nel vostro nascondiglio, sperando che qualcuno si ricordi di voi e vi offra un lavoro, fosse anche per una manciata di nuyen.

Inaspettatamente, vi contatta sul commlink Sam Watts, un vostro compagno di run che non vedete da un'operazione finita malissimo qualche anno prima. Sam vi ha chiamato per chiedere il vostro aiuto. Sam è morto. State parlando con un deadswitch, una sorta di testamento elettronico che si attiva quando il cuore del proprietario si ferma per sempre. Il fu shadowrunner vi chiede una mano a trovare il suo assassino e no, non si aspetta che lo facciate per ricordare i vecchi tempi: se uccidete o consegnate alla giustizia il criminale, verrete letteralmente ricoperti di denaro.

Spinti dalla sete di vendetta o dall'allettante prospettiva di vivere per qualche anno senza rovistare nell'immondizia alla ricerca di cibo - è comunque un gioco di ruolo, sta a voi decidere -, raggiungete Seattle e iniziate la vostra caccia al killer, penetrando in un mistero più profondo e intricato di quanto avreste mai potuto immaginare.

La campagna di Seattle compresa con Shadowrun Returns (vi spiegherò perché ho utilizzato questa contorta perifrasi fra qualche paragrafo, non vi preoccupate) è a dir poco interessantissima, immergendosi in deliziose atmosfere da noir investigativo.
La qualità dei testi è indubbia, i dialoghi sono brillanti e ben congegnati e gran parte del lore della versione cartacea è esposto in maniera naturale, senza appesantire la narrazione o finire nell'inferno del didascalico.
Dopo poche ore e qualche (piccolo) momento di spaesamento, vi troverete catapultati in un luogo virtuale che risponde a tutti, tutti i desideri di un appassionato di cyberpunk.

La trama è solida e ben studiata, ma soffre proprio per questo di una fortissima linearità; potrete con le vostre scelte cambiare qualche particolare qua e là, ma gran parte degli avvenimenti sono immutabili e dovrete prenderli così come sono. Se non fosse per la possibilità di risolvere alcuni enigmi ambientali in più modi o per la presenza delle risposte multiple nei dialoghi, sembrerebbe quasi un'avventura grafica. Non che sia di per sé un problema, anzi, ma non aspettatevi un'esperienza ruolisticamente aperta.
Si può dire che Shadowrun Returns sia una sorta di mostro bicefalo, con una testa simile a una "visual novel", incentrata sulle interazioni con gli NPC, l'esplorazione quasi statica degli ambienti di gioco e gli eventi narrativi scriptati, e un'altra di cui andremo a trattare qua sotto.

Schiaffi a turni (a.k.a. Gameplay)

Una classica run: assalti una base corporativa, hackeri i loro sistemi e trucidi le guardie. Con una maschera da coniglio.

Shadowrun Returns è, per essere sintetici (!!!), un gioco di ruolo con combattimenti strategici a turni. Si tratta di un genere colpevolmente poco sfruttato, almeno in Occidente, ma che rimane a conti fatti il miglior sistema per presentare meccaniche di gioco simili a quelle riscontrabili in un Gdr cartaceo.
Entrando nello specifico, l'impianto di gioco si basa sui punti azione da spendere in ogni turno per i personaggi controllati, utilizzabili per muoversi, usare oggetti, sparare o lanciare abilità, siano essi incantesimi o buff tecnologici. Il regolamento sfruttato dal titolo Harebrained Schemes è semplice, forse anche troppo, ma funzionale alle brevi schermaglie in cui incapperanno i vostri runner.

L'aspetto davvero interessante e in parte innovativo dei combattimenti è la presenza del cyberspazio; il vostro decker potrà entrare in un vero e proprio spazio virtuale, combattendo le difese immunitarie della Matrice (gli ICE, per chi conosce un po' il genere) e sbloccando i nodi necessari per manomettere torrette, aprire porte o rubare informazioni da ricettare in seguito.

Anche la Matrice rispetta le regole di combattimento del "Mondo Carnoso", sebbene ogni turno di gioco valga il doppio nel cyberspazio.

Il decker è un ruolo delicatissimo, perché può rendere una run apparentemente impossibile una passeggiata, ma è esposto ai pericoli della Matrice (un Black ICE può uccidere il corpo fisico del decker, mandandogli letteralmente in pappa il cervello) e non può difendersi dagli assalti di creature reali mentre è collegato. Questa meccanica rende alcune missioni estremamente coinvolgenti, con il vostro team impegnato a proteggere l'hacker a costo della vita mentre quest'ultimo, indisturbato, tenta di friggere le difese dei vostri nemici.

Una caratteristica a prima vista incomprensibile del sistema di gioco è la mancanza del famigerato loot; non troverete armi né armature né innesti cibernetici in giro per i livelli; tutto il vostro equipaggiamento, tranne qualche sporadica granata o medikit, dovrete acquistarlo nell'hub centrale da cui prenderete le missioni, il Seamstresses Union, un simpatico locale notturno pieno di beoni e belle donne.
Qualcuno potrà storcere il naso, ma vi assicuro che è assolutamente in linea con l'ambientazione; gli strumenti di difesa e offesa disponibili in genere non fanno una grandissima differenza, al contrario delle caratteristiche del personaggio sbloccate con i punti karma.

L'unico reale problema, specialmente ai livelli più bassi di difficoltà, è l'intelligenza artificiale asinina dei vostri avversari, capaci di sorprendervi o di effettuare manovre strategiche decenti solo quando presenti in gran numero. Può capitare di passare un intero combattimento a spararsi vicendevolmente in faccia dietro la copertura, attendendo soltanto che l'avversario canni più tiri per colpire di te.

Ho detto "unico"? Be', no, ce n'è un altro, ben più grave: il sistema di salvataggio è roba da età della pietra, assolutamente non accettabile nel 2013. Il gioco salva automaticamente solo e soltanto all'entrata di una mappa. Devi uscire di casa a metà di un livello? Cavoli tuoi. Muori nell'ultimo scontro, costringendoti a rifare tutto da capo, dialoghi con gli NPC compresi? Stacce. Diciamo che nella sua bruttura, almeno dà un po' più di pepe ai combattimenti, rendendo ogni perdita nel vostro team decisamente dura da digerire.

La decadente bellezza (a.k.a. la Presentazione)

In un solo screenshot c'è già tutto lo stile delizioso di Shadowrun Returns

Leviamoci subito il dente: Shadowrun Returns è chiaramente un gioco per tablet e cellulari. Lo si vede dal sistema di controllo, lo si vede dall'interfaccia utente, lo si vede dalla scarsa complessità poligonale dei modelli, lo si vede dall'uso di fondali prerenderizzati.

E sapete cosa? Chi se ne frega. L'impatto estetico, per quanto tecnicamente rudimentale, è magnifico, colorato (per quanto possa essere colorato un gioco cyberpunk, ovviamente), con ambienti dettagliati e pieni di piccoli tocchi di classe. Un giocatore cresciuto a pane e giochi di ruolo isometrici non potrà che goderne. Un plauso anche ai ritratti dei personaggi non giocanti, illustrati con assoluto mestiere e capaci, pur nella loro staticità, di dare carattere e personalità a una manciata di poligoni a malapena animati.

Le musiche, per quanto modeste nel numero, sono bellissime, inquietanti, aliene, perfettamente in linea con l'atmosfera del gioco. Sto seriamente pensando di usare il battle theme come sveglia, giusto per iniziare con allegria la giornata.

Considerazioni finali (a.k.a. uhm, le considerazioni finali)

Sappiate che non posso essere obiettivo con un gioco in cui un NPC si fa chiamare Baron Samedi.

Mentirei a me stesso se non affermarsi di essermi goduto la prima campagna di Shadowrun Returns con un sorrisone da tossico, completamente rapito da un'ambientazione che ho sempre amato e di cui iniziavo a sentire la mancanza. Se come me avete un pallino per tutto quello che è cyberqualcosa, è un acquisto che dovreste fare senza neanche metterlo in discussione.

Ciò che dovete sapere, nel caso in cui del cyberpunk vi freghi il giusto, è che si tratta di un titolo molto breve per il genere a cui appartiene; non vi prenderà più di una ventina d'ore gustandoselo con estrema calma, sperimentando magari qualche personaggio fra una run e l'altra. Oltre ai difetti già illustrati in precedenza, c'è da aggiungere una certa sensazione di incompletezza; si ha l'impressione che alcune delle feature del regolamento siano state sottosfruttate, presentandole per solo una manciata di occasioni.

Ma non sarebbe comunque corretto valutare Shadowrun Returns per la campagna di Seattle e basta, ché nel prezzo del gioco è compreso il potentissimo tool di sviluppo che permette di costruire la propria avventura personale o, nel caso, di provare quelle che saranno a breve presenti in giro per l'interwebs.
Questo significa che nel giro di sei mesi probabilmente gran parte dei difetti saranno eliminati dai mod (c'è già un tutorial su come creare il drop casuale del loot, per esempio) e l'offerta di avventure gratuite diventerà ricca.
Non ci credete? Sul Workshop di Steam è già attivo un progetto di conversione della campagna di Shadowrun per Super Nintendo che, se portato a termine, varrebbe da solo il prezzo del titolo.

A meno che non si abbia un'assoluta idiosincrasia per i turni e per il genere, quando si parla di Shadowrun Returns non si tratta di scegliere se comprarlo o meno, ma quando comprarlo. Volete un assaggio di cosa è capace il tool di sviluppo? Compratelo ora. Volete l'esperienza completa, rifinita dagli sviluppatori e dai modder? Aspettate i saldi e godete il doppio a metà prezzo.

«Nedo, ma noi vogliamo un voto!»
Sapete che li odio, perciò gli darò quattro cappuccini su cinque. Qualsiasi cosa voglia dire.

[Link di Steam]

martedì 30 luglio 2013

15 curiosità distorte su Titanic - Tour Hell

James Cameron sul set di Apollo 13
1. James Cameron ebbe l'idea di realizzare questo film dopo aver visto il lungometraggio del 1915 Titanic. La nave porta lo stesso nome di quella del film per omaggiare l'opera in bianco e nero di Pier Angelo Mazzolotti, ormai andata perduta.

James Cameron racconta la trama del film in 4 secondi
2. Il titolo utilizzato in fase di pre-produzione del film era Natale in Crociera. Il nome serviva più che altro per non attrarre troppe attenzioni da parte dei media.

James Cameron racconta come è stato lavorare con Kate Winslet

3. Celine Dion (quella che canta la canzone del film, che tra l'altro non ha manco scritto) compare in un breve cameo nel ruolo della Prua.

4. Pausa degli attori durante le riprese. Per simulare il mal di mare, sotto ordine di Cameron, gli attori dovevano restare a mollo tra una scena e l'altra.

5. Il film e il libro hanno due finali differenti. Nel film la nave impatta un iceberg, nel libro viene affondata dai Pirati.

6. Scena tagliata:
Durante il famoso momento in cui fanno finta di volare, un tecnico del suono sarebbe dovuto venirli a chiamare per dirgli che i gamberoni arrostiti erano stati serviti al loro tavolo.

7. Dato l'enorme successo del film, il regista James Cameron decise di voler dirigere un prequel sulla storia dell'Iceberg dal titolo Ice Planet.

DiCaprio mentre trascina di peso Kate Winslet sul set per girare una scena.

8. Nel film si contano 1000 comparse. Essendo Cameron un perfezionista, per ricreare appieno la tragedia ne affogò la metà con le sue mani.

9. Ascoltando il commento audio del regista (nella versione Betamax americana) si era pensato di far impazzire Kate Winslet proprio come nel film Shining e di trasformare la seconda parte del film in un horror.


10. Kate Winslet durante tutta la durata delle riprese era solita ubriacarsi spesso. Questo portò la crew più volte a recuperarla mentre cascava dal set.

James Cameron racconta come è stato lavorare con Leonardo DiCaprio

11. Ralph Macchio (il tizio di Karate Kid) fu inizialmente considerato per la parte di Jack ma declinò l'offerta affermando «Un film di una nave che affonda? E poi cosa? Aerei che cadono? Ma per piacere...».

12. Il regista è solito vaggiare nel tempo grazie ad una macchina creata da lui stesso e finanziata dalla Paramount (nella foto). Le scene ambientate all'inizio del Novecento sono state girate tornando realmente indietro nel tempo.




13. In una delle prime bozze della sceneggiatura, si scopriva che l'iceberg era in realtà il fantasma del padre di Jack che voleva vendicarsi. L'idea non piacque all'attore.

14. Il film ha vinto undici premi Oscar su 14 nomination. Furono create in quell'anno determinate categorie apposta per il Titanic come "Miglior colata a picco" e "Miglior imbarcazione che comincia per T".

15. In una delle primissime bozze della sceneggiatura, il personaggio di Jack avrebbe dovuto chiamarsi "TD Lemon 900 Turbo".

Alcuni fan che si sono resi conto che la scena finale in cui Jack muore non ha alcun senso.


Qui di seguito il Trailer in super 3D per festeggiare i 100 anni dell'Iceberg:



Turel Caccese: Sceneggiatore, pubblica un libro online su FB gratis, ha ridoppiato Monkey Island 2, scrive per diversi blog, appassionato di alienazione e sociologia applicata alla tecnologia e ai media. Ha un sito tutto suo che ha creato digitando codice html a caso.

lunedì 29 luglio 2013

Ben 10 e suo nonno (no, non nella serie)


Anni fa, lungo la strada per Damasco (o forse nel salotto di casa mia, più probabilmente), un non più tanto giovine uomo rimase folgorato da una serie animata che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere indirizzata a un pubblico di bambini, ma che, in realtà, nascondeva qualcosa di più: Ben 10.
Ok, calmi tutti, fermi con l’indignazione! «Ma è un cartone per ragazzetti» direte voi, e su questo non posso che darvi ragione: lo stile grafico e l’età dei protagonisti possono lasciare basiti, ma in fondo non è la prima volta che un bambino è il protagonista di una serie apprezzabile anche da adulti, basti pensare a Capitan Marvel della DC (Ops! Shazam!). Questo poi vale praticamente solo per la prima stagione, il Ben 10 classico, perché il successo del progetto è in parte dovuto alla sua progressione cronologica à la Harry Potter, in cui i protagonisti crescono di serie in serie.


La trama di Ben 10 è molto semplice e divertente. Invece di parafrasare l'articolo di wikipedia fingendo che sia farina del mio sacco, incollerò direttamente la sinossi e chi si è visto si è visto:  «Benjamin "Ben" Tennyson, un ragazzino di dieci anni, amante delle avventure, dei fumetti e di tutto ciò che è "anormale", si appresta entusiasta, una volta terminata la scuola, a trascorrere una lunga e avventurosa vacanza, in campeggio con il camper del nonno Max; ben presto però il suo entusiasmo scema, scoprendo che la dovrà trascorrere insieme all'odiata cugina Gwen; la scoperta risulta fastidiosa per entrambi, ed è immediata causa di litigi a cui Max cerca di porre fine. Alla fine gli animi si calmano e nonno Max riesce a portarli a visitare una foresta, ma i due cugini rimangono astiosi fra loro, e la cena naturalistica preparata da nonno Max, a base di larve cotte, contribuisce a peggiorare il clima, tanto che Ben se ne va a fare un giro per la selva.
D'un tratto Ben osserva una luce verde precipitare al suolo; vinto dalla curiosità va subito a vedere e all'interno di una sorta di guscio trova un oggetto simile ad un bracciale con annesso orologio, il quale, animato di volontà propria, si attacca immediatamente al braccio di Ben. Ben cerca invano di rimuoverlo e, armeggiando, preme per errore un pulsante che lo trasforma all'istante in un alieno di fuoco (che poi chiamerà "Inferno")».



E qua parte la gara delle citazioni! Infatti il giovane protagonista, non disponendo di un manuale che spieghi come cavolo funzioni quello che lui chiama “l’orologio”, si trova a dover controllare trasformazioni apparentemente casuali, scoprendo spesso per caso le altre capacità dello strumento, come ad esempio quella di poter aggiungere nuovi alieni alla collezione.
A questo punto l’allegra famigliola girerà per l’America combattendo minacce di vario tipo, solitamente di origine aliena, e un po’ alla volta verranno svelati i segreti della famiglia Tennyson e si creeranno le basi per un mondo eterogeneo e in continua evoluzione, con l’aggiunta di rivali (come il fantastico Kevin 11), alleati inaspettati, cospirazioni e momenti d'intimità familiare.
E fino a qua stiamo andando molto sul classico, ma, come potete evincere dal titolo, vorrei attirare la vostra attenzione sul "nonno" di Ben 10. Provate a osservare questa immagine per qualche secondo.


Non vi ricorda niente? Davvero? E se vi scrivo H-E-R-O? Niente? Niente-niente? MALE.
Male perché sto parlando di una delle serie più assurde, ma allo stesso tempo più belle, di sempre della DC comics: Dial H for Hero.
Per i profani, vi faccio un breve riassunto: un ragazzo viene in possesso di un quadrante telefonico (e qui la generazione nata prima degli anni Novanta rischia la lacrimuccia) e, ogni volta che vi digita sopra "HERO", si trasforma in un supereroe diverso.
PUNTO. Di una semplicità unica. Il bello stava in un solo piccolo, ma fondamentale, dettaglio: l'eroe era sempre diverso e solitamente il suo aspetto fisico e i suoi poteri erano in genere totalmente fuori di cocomero. Qui non si sta parlando di vista a raggi X o di volo, ma di gente come King Candy, dotato di armi quali il lazo di liquirizia, le bombe leccalecca e le taffy twists (difficilmente traducibile).



Ben 10, in un gioco di rimandi, ha chiaramente tratto ispirazione da questa serie, ovviamente puntando molto di più sulla fantascienza e sugli alieni e creando un mondo coerente e dinamico che funge da sfondo per un road trip all’americana, le cui tappe sono scandite da una nuova trama avventurosa.
Insomma, qui si sta parlando di un classico che più classico non si può, dove abbiamo tutti gli stereotipi delle serie televisive e supereroistiche americane anni Settanta-Ottanta amalgamate in un prodotto per bambini che comunque ha l’ambizione di voler accompagnare il suo pubblico fino all’età adulta; in poche parole stiamo parlando dell’equivalente fantascientifico, con una strizzata d’occhio ai fumetti americani mainstream, di Harry Potter, con una sola sostanziale differenza: il protagonista non è un eletto o un prescelto, ma un poveraccio che si è trovato in questa situazione per errore, spesso facendo fatica a controllare un orologio che ragiona sempre di testa sua (a qualcuno viene in mente Ralph Super Maxi Eroe?). Personalmente trovo più facile immedesimarmi con un protagonista umano e un po' sfigato, anche se può sembrare una predilezione un po' farlocca.
Haters gonna hate, certo, ma fatevi un favore e accendete la televisione (o il mulo), spegnete il cervello e godetevi quei venti minuti di intrattenimento che, soprattutto con queste calure estive e con queste ferie che ferie non sono “perché tanto si deve stare a casa perché soldi non ce ne sono”, aiutano poi ad apprezzare opere un po’ più da adulti (no, non sto parlando dei film di Russ Meyer).

Per preparare il campo all'articolo di settimana prossima su DIAL H, vi propongo un supermega concorso estivo: descrivete un eroe nella sua interezza (nome in codice, costume, aspetto fisico, poteri) e  i 3 più ficozzi verranno pubblicati sul sito, con un’illustrazione per ognuno di loro creata per l'occasione.

venerdì 26 luglio 2013

Creature ridicole, moderne, pericolosissime per le vostre campagne di ruolo



Avete bisogno di dare un tocco post-moderno alla vostra campagna ruolistica? Vi servono nuove creature che rappresentino i grandi ostacoli alla felicità dell'uomo del ventunesimo secolo?
Non disperate, oggi ve ne presenteremo alcuni che amerete odiare con tutto il vostro cuoricione ironico!

Haw-Kward


L'Haw-Kward è uno spirito incorporeo che abita gli interstizi dell'Imbarazzo Silente, uno dei sette piani metafisici del disagio sociale. Quando una situazione di convivenza ravvicinata e momentanea naufraga nell'impaccio, si apre un portale verso l'Imbarazzo Silente, attraverso il quale un Haw-Kward può esercitare il proprio potere.
L'Haw-Kward emana un'aura di compulsione che costringe le forme di vita al momento presenti dall'altra parte del portale a esprimersi solo attraverso frasi fatte e luoghi comuni. Finché rimangono sotto l'effetto dell'aura, non riusciranno a conversare d'altro che del tempo, della generale situazione politica, di comparazioni di prodotti equivalenti diffusamente apprezzati e di altri argomenti parimenti inutili e noiosi.
Tra i luoghi in cui più di frequente si aprono portali verso l'Imbarazzo Silente vi sono sono gli ascensori, le celebrazioni pubbliche, le lunghe file e, più in generale, ogni occasione di aggregazione involontaria.
Non è infrequente che a partire dalla prima ora di attesa in coda dietro a un Matusa-Lemme si apra un portale verso l'Imbarazzo Silente attraverso il quale un Haw-Kward attacca il party.

Matusa-Lemme


Questa tipologia di non morto non è particolarmente aggressiva e tende a non ingaggiare mai lo scontro fisico, tuttavia presenta delle problematiche di ostica risoluzione per gli avventurieri che avessero a incapparvi.
Il suo habitat naturale sono le gallerie più strette ed anguste di dungeon e catacombe, lungo le quali è solito spingere un malconcio e traballante carretto con una lentezza esasperante, fermandosi ogni pochi metri a raccogliere con meticolosa cura muschi, licheni e piccoli parassiti, che ripone nel carretto per cibarsene in seguito.
Tende a ignorare qualsiasi forma di vita complessa attorno a lui, limitandosi a procedere per la sua strada, ed è invulnerabile alla maggior parte delle forme di attacco, delle quali non si cura. Questo, unito al fatto che è impossibile superarlo nelle anguste gallerie che occupa, costringe gli avventurieri a impiegare intere ore e talvolta giorni per giungere al termine del cunicolo, in uno spazio atto al sorpasso. Qualora i più intraprendenti tentino di richiamare la sua attenzione per indurlo ad affrettarsi, il Matusa-Lemme si volta verso di loro e, ben fermo sul posto, si profonde in interminabili filippiche (due dadi quattro di ore) sulla maleducazione delle nuove generazioni e su quanto si stesse meglio un dado otto di secoli prima, dopodiché si volta e riprende la sua lenta cernita di vegetali e miceti infestanti, nuovamente ignaro delle presenze circostanti.
Può essere sconfitto soltanto in un regolare duello a bocce.

Golem Domestici


L'avventuriero è perennemente in viaggio alla ricerca di gloria, onore e bottino, quasi sempre dimentico o incurante della propria magione. Nelle rare occasioni in cui fa ritorno a casa, è assai probabile che trovi la propria dimora infestata da uno o più esemplari della temutissima famiglia dei Golem Domestici.
Essi sono costrutti senzienti, generati dall'eccessivo e incontrollato accumulo di una specifica forma di energia in un dato punto.
A seguire le tipologie più comuni di Golem Domestici.

Golem di Piatti Sporchi

Questo costrutto si genera di prevalenza nelle cucine, che elegge a sua dimora e presidio. Composto da stoviglie di ogni foggia e funzione, tenute assieme ed animate da una massa ributtante di sudiciume, è estremamente aggressivo e attacca chiunque invada la sua area di azione. Fortemente territoriale, non abbandona mai le cucine, in particolar modo i perimetri dei lavelli, ignorando qualsiasi cosa accada al di fuori di esse.
Attacca, sia in corpo a corpo che con lanci a distanza, con numerose armi contundenti e da taglio, quali coltelli di svariate fogge e misure, padelle e pentoloni, forchettoni, spiedi e piatti in ceramica.
Ha il potere speciale di emanare un'aura di fetore nauseante, che può infettare i bersagli con contaminazioni sovrannaturali nel caso il golem sia molto grosso e anziano.
Può essere sconfitto soltanto con l'uso di abbondante acqua e detersivi, o, più efficacemente, con il fuoco. Anche le armi contundenti dimostrano una certa efficacia, quantomeno nel tenerlo impegnato.

Golem di Panni Sporchi

Meno minaccioso del Golem di Piatti Sporchi, questo costrutto è tuttavia più insidioso, poiché non è territoriale e può annidarsi in ogni angolo della magione. Tende a generarsi in prossimità delle lavanderie o degli alloggi privati, ma una volta formatosi non è vincolato a un'area specifica della dimora.
I suoi attacchi sono portati di preferenza con fibbie di cinture lasciate nei pantaloni, bottoni pesanti, zip, e, nei casi più sfortunati, scarponi antinfortunistici.
Anche lui è dotato di un'aura di fetore nauseante, la cui intensità è proporzionale al volume di calzini e mutande usati che lo compongono.
È immune agli attacchi portati con armi contundenti, ma può essere sconfitto con abbondante acqua e detersivi e con il fuoco, al pari del Golem di Piatti Sporchi, e viene indebolito dalle armi da taglio.

Golem di Posta

Tende a formarsi ai piedi della porta d'ingresso principale del maniero, dalla montagnola di lettere recapitate durante l'assenza dell'eroe.
I suoi attacchi principali sono taglietti nella carne tra le dita, che causano poco danno ma provocano pesanti malus ad attacco e difesa a causa del fastidio prodotto.
Ha il potere speciale di dischiudere tre dadi sei di lettere di cui è composto ed esercitare così una compulsione alla lettura sull'eroe, che resterà assorto per molte ore.
Immune alla maggior parte degli attacchi fisici, è indebolito dalle armi da taglio. Si sconfigge facilmente con il fuoco.

Golem di Bollette

Questo golem è una sottocategoria del Golem di Posta, generato da un accumulo selettivo di bollette, fatture e altre richieste di pagamento. Presenta tutti i tratti fisici del Golem di Posta, ma si differenzia nel potere speciale: ha il potere di dischiudere tre dadi quattro di lettere di cui è composto e distruggere senza tiro salvezza due terzi del tesoro e dell'inventario dell'eroe per l'effetto di Pagamento e Pignoramento.


Petulanti Planari


I Petulanti Planari sono una famiglia di miceti complessi, antropomorfi e semisenzienti. Come il nome suggerisce, sono creature extraplanari, che vengono evocate sul piano materiale da una contingenza di richiamo specifica per ogni tipologia.
A seguire le tipologie di Petulanti Planari più comuni.

Petulante delle Rose

Dalla corporatura snella e minuta e dalla carnagione scura, è richiamato sul piano materiale ogni qual volta un umanoide di sesso maschile e un umanoide di sesso femminile entrino in prossimità fisica in un luogo pubblico. Il Petulante delle Rose si manifesta entro un'area di cento metri dal luogo dell'avvenimento, brandendo nutriti mazzi floreali e puntando inarrestabile verso i due umanoidi.
Incurante di quale sia il rapporto che intercorre tra i due, siano essi amanti, fratelli, nemici o sconosciuti, il Petulante insisterà con pertinacia nel convincere l'umanoide maschio all'acquisto floreale, per farne poi dono all'umanoide femmina.
Soltanto la volontà ferrea di un chierico anziano o di un maestro monaco potranno resistere all'attacco mentale del Petulante delle Rose.
Immuni a qualsiasi tentativo di persuasione, intimidazione o compulsione, i Petulanti delle Rose possono essere scacciati soltanto con la violenza fisica. Se si giunge allo scontro, rifiuteranno l'ingaggio, preferendo darsi alla fuga.

Petulante degli Ombrelli

Questa tipologia di Petulante Planare si manifesta principalmente nei centri abitati. Il Petulante degli Ombrelli viene evocato dalla caduta di due gocce di pioggia nello stesso metro quadro a meno di un minuto di distanza. Quando ciò avviene, comunemente l'intero centro abitato viene invaso dai Petulanti degli Ombrelli, che si manifestano uno ad ogni angolo della strada.
Sono solitamente di corporatura più robusta e carnagione più scura dei Petulanti delle Rose. Una volta manifestatisi permangono sul piano materiale per tutta la durata della pioggia più trenta minuti. Durante la permanenza cercheranno di convincere ogni umanoide che attraversi un'area di tre metri di raggio centrata su di loro ad acquistare un ombrello. Il loro attacco di compulsione è tuttavia più debole di quello dei Petulanti delle Rose, ed essendo stanziali non inseguono le prede.

Petulante dei Crocicchi

Il Petulante dei Crocicchi ha un aspetto indefinito, scarmigliato e poco curato. È evocato sul piano materiale dalla sosta, anche infinitesimale, dell'incerto viandante presso un crocevia, sia esso nel centro della capitale del regno o al più remoto angolo del mondo.
Distraendo il viandante con la scusa di chiedere una moneta, il Petulante dei Crocicchi getta, velocissimo, sozzi e untuosi liquami sulla carrozza, sulla splendente armatura, sui lustri stivali o sulla malcapitata cavalcatura stessa del viandante, asserendo di voler soltanto pulire.
Solo un'alta iniziativa può permettere di riprendere la via prima che il Petulante dei Crocicchi possa metter mano ai liquami. Se impossibilitati, si può tentare, sempre con grande sveltezza, di dare loro una moneta recitando l'incanto Parole di Potere: «No, grazie!», ma non è garantito che, presa la moneta, il Petulante Planare non metta mano ai liquami ugualmente.


Veri Elementali


I Veri Elementali sono esseri extraplanari che abitano il piano di Tabula Periodica. Nemici naturali degli Elementali, sono ancora poco conosciuti sul piano materiale, anche se i racconti che narrano di incontri con questi nuovi e strani esseri sono in aumento.
Gli studiosi sostengono che vi siano numerose tipologie di Veri Elemtali, e alcuni alchimisti, da molti ritenuti folli, che più si sono dedicati allo studio del piano di Tabula Periodica, sostengono che siano esattamente centodiciotto.
A seguire le tipologie di Veri Elementali finora incontrate sul piano materiale.

Elementale dell'Elio

Questa creatura vive normalmente allo stato gassoso. Non è aggressiva in modo violento, ma non risparmia i propri effetti a coloro che incontra. Non è chiaro se sia senziente o meno, ciò che è certo è che non conosce o non condivide le convenzioni sociali degli umanoidi del piano materiale.
Emana una nube esilarante che ha effetto ad area. Chi la inala è colto dall'effetto di Risata Incontenibile e la sua voce aumenta di svariati toni, dando adito a situazioni tanto comiche quanto imbarazzanti.
Alcuni studiosi, data l'affinità dell'Elementale dell'Elio con l'ilarità e con i cambi di tono, sostengono abbia un legame diretto con la disciplina della Musica Demenziale.

Elementale del Cloro

L'Elementale del Cloro è stato incontrato finora nel piano materiale soltanto in prossimità di grossi bacini di raccolta d'acqua costruiti artificialmente. Assai schivo e solitario, pare si occupi di tenere l'acqua al sicuro da morbi e contaminazioni, scoraggiando la balneazione con il suo attacco ad area che causa un diffuso arrossamento agli occhi.

Elementale dello Stagno

Argenteo e malleabile, questo elementale è famoso come spalla di molti elementali metallici, creature tanto unite negli scopi e nella filosofia da aver formato un'organizzazione vera e propria, chiamata Lega Metallica.
L'Elementale dello Stagno è innocuo e non è raro vederlo circondato da ninfee, canne, rane e paperelle.

Elementale del Calcio

Protettore della crescita sana dei giovani umanoidi, l'Elementale del Calcio è famoso per la sua saggezza, per il suo forte legame con la Terra e per il suo mecenatismo negli eventi ludici. Da quasi un secolo è l'organizzatore di un evento sportivo globale da lui stesso sponsorizzato, il campionato mondiale di Calcio, in cui uomini adulti toccano con i piedi una sfera, cercando inspiegabilmente di inserirla in una rete per levarla subito dopo.

giovedì 25 luglio 2013

Lone Ranger, la (non) recensione


Ok, gente, sarò di parte e lo ammetto, ma per me il western d’avventura ha un fascino tutto suo: indiani, misteri, deserti infiniti, sparatorie e, se poi ci aggiungiamo un pizzico di umorismo, il mix è perfetto.
Va bene, fan di Ford, Leone e affini: lì parliamo di capolavori della storia del cinema, ma ogni tanto serve anche qualcosa di più leggero, non si può mangiare brasato tutti i giorni, ogni tanto ci vuole anche l’insalatina per depurarsi e digerire meglio.
Quindi spegnete la testa, cercate di non vedere gli errori, le incongruenze e partiamo in un viaggio verso il relax, accompagnati da un pistolero mascherato, da un indiano dal nome ridicolo e da un cavallo che più strano non si può.

«Al Galoppo, Silver!»
Questa semplice frase ha segnato la vita di tanti giovini americani, ormai più che adulti, che hanno avuto la fortuna di seguire dal 1933 Lone Ranger, lo show radio della stazione WXYZ.
Il protagonista di quello show era un texas ranger mascherato in cerca di vendetta – o per meglio dire di giustizia – per le pianure del West americano, armato solo dei suoi fidi proiettili d’argento (perché ogni vita è preziosa e non va quindi tolta alla leggera), in compagnia del fido Tonto e dell’ormai mitologico Silver, il suo destriero.

Il successo del personaggio è stato subito enorme, potendo vantare nella sua storia bene 2956 episodi radio, due film seriali, The Lone Ranger (1938) e The Lone Ranger Rides Again (1939), entrambi formati da 15 episodi, e una serie televisiva di 5 stagioni per un totale di 221 episodi, andata in onda dal 1949 al 1957. Per non parlare dei libri, dei fumetti, dei giocattoli e dei gadget griffati, materiale ormai da collezionisti.
Dopo anni di silenzio, la Disney ha deciso di proporci un nuovo lungometraggio e, personalmente, non ne sono rimasto per niente deluso.


Orbene (dio quanto amo usare questa parola), so che molti di voi mi odieranno e diranno che non capisco niente di cinema, ma il ritorno del nostro sul grande schermo personalmente mi ha gasato. Sapete perché? Perché guardandolo mi sono sentito di nuovo un bambino! Sì, signore e signori, Lone Ranger è un gran bel film perché semplicemente ci riporta a quell’età in cui non stavamo a guardare le incongruenze, non ci preoccupavamo del rispetto del canone, non controllavamo se questo o quell’altro attore ricordavano perfettamente il personaggio originale, ma ci godevano una storia di avventura soltanto per quello che era, cioè un momento di distrazione dalla grigia e noiosa realtà.

Dopo tutte le premesse obbligatorie onde evitare folle con i forconi inferociti, parliamo del film: siamo nel 1933 e la storia si apre con un bambino, vestito come il noto eroe, che ha la fortuna di incontrare un vecchio indiano in uno show sul West. Quest’ultimo, colpito dalla maschera del piccolino, inizierà a raccontare la vera storia del pistolero solitario, ben presto rendendo chiara l'identità dell'anziano, che altri non è che Tonto, la fida spalla dell’eroe (oddio, tanto spalla non è).
Le origini del pistolero solitario vengono in parte riviste, da texas ranger diviene un avvocato pacifista, ma il giochino comunque funziona e anche Tonto e Silver guadagnano maggiore importanza e una certa attenzione alla loro storia personale, fino a salire al rango di veri e propri protagonisti in alcune parti del film, garantendo sia la risoluzione di alcuni momenti critici sia la nascita di alcune scenette comiche che strappano più di un sorriso (o di una risata se siete come me, quindi un po’ stupidi).

Anche i cattivi sono ben delineati e seguono una delle regole base della serie radio (gli autori originali crearono un vero e proprio decalogo di istruzioni da seguire per scrivere un episodio), mostrandoci il classico bandito del West portato all’estremo (e per estremo intendo proprio estremo; mangia cuori umani, il gentiluomo) e il capitalista senza scrupoli, amante del cavallo di ferro (per chi non lo sapesse è il treno), disposto a qualsiasi cosa pur di avere potere.


Ebbene sì, nella migliore tradizione di Lone Ranger, i cattivi non sono indiani o minoranze, ma americani brutti e cattivi, e il nostro eroe, che tutto è fuorché un duro cowboy, si troverà in un vero e proprio conflitto morale che lo porterà a dover scegliere tra la legge e il vigilantismo. Ovviamente non vi sto a dire cosa scelga, ma credo che siate in grado di capirlo da soli.

Come noterete, non vi ho messo né nomi, né spoiler né nient'altro. Del resto è una (non) recensione. Sapete perché? Perché voglio che lo andiate a vedere, senza preconcetti né analisi approfondite della messa in scena, della regia, della sceneggiatura e della caratura recitativa degli attori. Per una pellicola del genere, non sono questi i punti che vi devono interessare. Affatto.

Per chiudere il mio intervento senza farvi sentire fregati dalla voluta pochezza della mia analisi, vi sparo tre curiosità interessanti sul personaggio.

  • Il nome di Lone Ranger nello show radiofonico del 1933 è John Reid. Nel 1936 gli stessi autori creeranno, sempre per la radio, un altro vigilante, un tale Green Hornet, che di cognome fa proprio Reid! L’avventuriero mascherato è infatti il nipote del figlio di Dan, fratello del pistolero solitario morto proprio durante le origini di quest'ultimo. [A proposito di Green Hornet, vi consiglio la visione del film omonimo uscito nelle sale qualche anno fa. La regia è semplicemente meravigliosa e, per motivi che mi sfuggono, ho da sempre un debole per i dialoghi scritti da Seth Rogen. NdNedo]
  • In una storia della Justice League in cui la realtà veniva per l’ennesima volta alterata, il piccolo Bruce Wayne è testimone della morte dei propri genitori dopo la visione di un film su un pistolero del west (chissà chi potrebbe essere!), al contrario del classico Zorro delle origini canoniche. Batman diventa quindi un vigilante armato di due pistole. Fichissimo.
  • Se avete avuto la fortuna di leggere Planetary di Warren Ellis, saprete benissimo che uno dei cattivi, William Leather, è il discendente di un tale Dead Ranger, nome reale John Leather (mmmmmh), un vigilante che usa proiettili d’argento, con la sola differenza che la punta è coperta di mercurio per intossicare il nemico. John è il padre di un century baby: Bret Leather (Green Hornet di nome fa Britt) che diventerà noto alle cronache come il vigilante The Spider. Planetary è zeppo di citazioni e certo non stupisce.

mercoledì 24 luglio 2013

I-giochi-che-si-giocano-da-soli


Tutto ebbe inizio anni ed anni or sono, quando dei miei colleghi dell'epoca insistettero per farmi vedere un giochino per Facebook. Ovviamente fuori orario da lavoro. Ovviamente. Insomma si trattava di una ludo-applicazione sulla pesca. Quella con la canna. No, non una di loro:


Devo dirvi la verità non ricordo nemmeno come si chiamasse, fatto sta che all'epoca ci pareva meravigliosa: ogni tot minuti si poteva cercare di pescare cliccando un tastino e, a seconda della zona, dell'equipaggiamento, dell'orario e chissà quali altri fattori, si poteva ambire a prede più o meno rare. Sì sì, avete letto bene, anche l'orario influiva: gente fuori di testa che metteva la sveglia per pescare di notte. Su Facebook. Oh, del resto i manicomi gli han chiusi, da qualche parte dovranno pur andare anche loro, no? Bravo, ce l'hai fatta: ora sembra fosse solo consuetudine loro… d'oh!
Be', insomma, avevamo trovato il nostro nuovo passatempo preferito. Cliccare un tastino quando il gioco ti imponeva di farlo. Basta. Sì, d'accordo, potevi comprare le nuove canne da pesca, i motoscafi per raggiungere nuovi moli… ma sempre e solo quando voleva il gioco. Tu dovevi solo cliccare.
Senza nemmeno che un Morpheus a caso mi facesse scegliere tra pillola blu e rossa (che tanto avrei comunque scelto a caso), a un certo punto mi son svegliato. E laddove ci sarebbero dovuti essere i miei amici vedevo solo umani collegati a delle macchine, macchine intente ad annullarli per nutrirsi di loro.


Mi ero svegliato. Dannazione, come potevo essermi sopito? Qual era il gusto di fare un'unica azione comandata da quello che sarebbe dovuto essere un espediente ludico? Prima che potessi accorgermene, lui era diventato il giocatore e io il suo espediente ludico. O pubblicitario, tanto alla fine bastava che spammassi inviti ai miei amici, à la azienda piramidale truffaldina.
E così non solo disinstallai il perfido giochino sulla pésca, ma rimasi lontano da tutte quelle divoratrici di tempo travestite da illusioni ludiche. Poveri loro quando cercarono di convincermi a giocare alla nuova mecca del giocochesigiocadasolo: Warstorm.


«Guarda, fidati, c'è un nuovo gioco di carte da provare.»
«Ah, gioco di carte, in più fantasy: 2-0 per voi. Come funziona?»
«Vedi, ogni carta ha una sorta di costo di lancio, sono i turni che ci mette a entrare in gioco automaticamen…»
«ALT! Ferme, vi ho viste, dannate seppie! È un altro giocochesigiocadasolo! L'impulso elettromagnetico, presto!»
«Dai, non essere il solito, qua c'è tutto il deckbuilding da fare, le scelte sono a monte…»
«Libertàààààààààààààààààààààààààààààààà!!!»

E finché mescolavo tra loro i pochi film da me visti nella mia ingiustificatamente lunga vita, loro se ne andavano via bofonchiando qualcosa sull'odore degli umani.


Passarono gli anni, cambiai lavoro, ma i colleghi che mi mostravano i giochini strettamente fuori orario lavorativo erano sempre lì in agguato.
«Oh, hai mai provato War Metal Tyrant
«No, cos'è?»
«Un gioco di carte, provalo è veramente valido.»

Non mentiva. Era veramente carino. Peccato che fosse una sorta di Warstorm con ambientazione differente. Ignorai il déjà vu, non mi importava più. Fa rima quindi è vero.
Provai a fidarmi, a vedere se effettivamente c'era qualcosa di più. E c'era. Un minimo di scelta era ancora lì: la carta da giocare sulle ben TRE opzioni nella propria mano era effettivamente influente, le decisioni in fase di deckbuilding contavano oggettivamente moltissimo e lo studio del metagame era determinante. Però continuavo a pensare a me stesso come a Cypher al ristorante. Sapevo che la bistecca che stavo mangiando non esisteva, ma non mi importava: volevo solo sentirne il gusto in bocca, per quanto finto esso fosse.


E così giocai, finii tutte le missioni, costruii svariati mazzi, entrai addirittura in una gilda tra le più quotate, mi spaccavo di bistecche finte in ogni minuto libero della giornata. Poi feci indigestione. Rimasi felicemente disintossicato per almeno un paio d'anni, riscoprii la gioia dei giochi di carte collezionabili, quelli con le carte vere e gli avversari in carne e ossa. Ma da quel momento cambiò la mia prospettiva.

Oggigiorno non giudico a priori un gioco in base a questi dettami. Ci sono ancora dei giochichesigiocanodasoli che meritano attenzione. Non tanto da focalizzarsi solo in tale direzione, ma una volta ogni tanto me ne concedo qualcuno, tipo il già segnalato Tekken Card Tournament
Se anche voi non vi fate fermare dai pregiudizi vi segnalo un altro giochino caruccio sul genere: Lies of Astaroth.


Ancora poche se non nessuna scelta di gioco, ancora una volta determinante la scelta delle carte da utilizzare, come potenziarle e farle entrare in sinergia tra loro. Non moltissima profondità, ma è pur sempre un ludobalocco per telefonia mobile, d'altro canto.
Infine dunque eccomi qua, a sperimentar questo e quell'altro gioco, a volte giocando solo io, altre volte lasciando che mi giochi un po' lui. Poco però, mai del tutto: non azzardatevi a mandarmi inviti di giochichesigiocanodasoli su Facebook. Lì le macchine regnano ancora sovrane.



Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: Enascentia, universo fantasy ambientazione de "Il Cubo di Enascentia" e del Gioco di Ruolo in uscita a Lucca 2013, e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.