giovedì 28 febbraio 2013

Ciao a tutti, sono Oliver Queen.

Ciao a tutti, sono Oliver Queen e ho un problema serio di identità.
Non so cosa mi capiti, un tempo ero un simpatico miliardario abbandonato su di un’isola che, dopo aver passato troppo tempo senza cibo né acqua, decide di diventare una copia di Batman, però con un vestito pezzente da Robin Hood.
I primi anni erano bellissimi: avevo il mio freccia-plano, la mia freccia-mobile, addirittura un supergruppo tutto mio (no, non i freccia-amici, ma i Sette Soldati della Vittoria).
Poi arrivarono gli anni Settanta e con questi la gggrisi.
Da un giorno all’altro mi son trovato senza più niente e con una spalla dipendente dall’eroina. L'unica soddisfazione era il nuovo costume, molto più affascinante di quello un po’ sempliciotto che avevo prima. Come per una crisi di mezza età, mi sono anche fatto crescere il pizzetto per assomigliare sempre di più all’arciere di Sherwood.
Fu un decennio strano, da miliardario divenni un paladino dei poveri e delle minoranze, un socialista schierato (e credetemi, in America non è facile) che se la prendeva con i ricchi. Ho vissuto avventure incredibili, ho scoperto di avere un  figlio che è nato in seguito a uno stupro (di cui ero io la vittima), ho compreso il vero amore con Black Canary (dici niente), sono morto e risorto, sono diventato sindaco della mia città, ho perso con ignominia la mia carica pubblica finendo ricercato, mi sono sposato per poi divorziare in fretta e furia... insomma, una vita normale da tipo in calzamaglia.


Ma poi capita qualcosa: Barry Allen (che è tornato dalla morte, come del resto non succede mai nei fumetti) altera la storia e da un giorno all’altro mi trovo con dieci anni in meno sulle spalle, un conto in banca miliardario, una morbosa passione per la caccia ai metaumani (non chiedetemi perché) e una triste condizione da scapolo d'oro.
Ma, onta delle onte, mi trovo ad assomigliare a un tale arciere di un tale film che ha fatto un tale record d’incassi. Sì. Quello con i bulbi oculari da volatile.
E non parliamo poi della televisione, dove mi son trovato ancora più giovane e palestrato e con il pallino per la caccia al mafioso, specialmente quando segnalato sull'agendina di mio padre. Da super eroe a vigilante di strada, il passo a quanto pare è più breve di quanto pensassi.
Adesso vi chiedo: ma è normale tutto questo? È possibile essere tre o quattro persone avvolte in un unico fagottino?
Aiuto!
Da eroe politico, di sinistra, son passato prima a sforacchiare metaumani e infine a emulare tristemente Frank Castle. Direi che avrei bisogno di un buon terapista o quantomeno di una quantità abbastanza ingente di antipsicotici.
Poi, vi prego, io non voglio assomigliare a Occhio di Falco. Sul serio. Un tempo eravamo radicalmente diversi e proprio per questo la gente non ci paragonava.
Ora sono solo la brutta copia di un pessimo personaggio.
FATE QUALCOSA VI PREGO!



Questo messaggio è stato presentato dal Fronte Liberazione dal reboot DC, unisciti a noi e potremo trovarci tutti i mercoledì sera a discutere del perché Final Crisis di Morrison è una boiata. 

mercoledì 27 febbraio 2013

C.A.C.C.A. - Centro Aiuto Collezionisti Compulsivi Anonimi


«Grazie a dio sei arrivato! Il malefico piano dell'Arcimago ha funzionato, dobbiamo fuggire di qui e nasconderci nella Fortezza di Diamante: questo posto sarà invaso da demoni-zombi sputafuoco. Volanti. Armati di motoseghe. E sparano. Sì, le motoseghe SPARANO. È decisamente il caso di svignarsela, la via di fuga è palese: una PORTA dietr- ma dove vaiii?!»

Ecco, io dico che a volte, se certi personaggi avessero facoltà di andare oltre le tre linee di dialogo che gli sono state concesse, finirebbero per dirci qualcosa del genere. Dirci a chi? A noi maledetti videogiocatori compulsivi esploratori collezionisti, ecco a chi.

«Ciao. Mi chiamo Big Cat e ho un problema.»
«CIAO, BIG CAT!»

Ce l'avete presente anche voi quel momento topico della trama in cui ci si muove a ritmo serrato attraverso una serie di catastrofi e i PNG continuano a gridare «scappiamo!» o «corri!» o «aaaahhh!» o «ma dove ho parcheggiato? Dannati centri commerciali!»?

E noi, con tutta la calma e la metodica precisione di un cioccolataio svizzero non ci scomponiamo più di tanto e continuiamo la nostra VERA missione, che fin dall'inizio del gioco è trovare tutto, o meglio, non perdere niente, nome in codice “andare contro tutte le pareti e premere X ché magari c'è nascosto qualcosa”?
Questo mentre, appunto, il mondo sta per finire. Che a livello di gameplay ci può pure stare, voglio dire: in effetti finché non ci degneremo di andare a parlare con uno di quei comprimari dalla pazienza (veramente) infinita, il palazzo in fiamme non crollerà e noi avremo tutto il tempo di controllare se, casualmente… no, perché avevo visto un'ombra lì vicino alla libreria e, aspetta, provo a equipaggiare l'Anello Che Fa Un Sacco Di Cose Ma Sostanzialmente Nulla, magari a 'sto giro serve… nulla eh? 

In quanto ricercatore compulsivo sì, lo ammetto: voglio trovare tutto, e con tutto intendo Tutto,
con la T maiuscola, tutto tutto tutto: oggetti speciali, oggetti non-speciali, Spadoni dell'Inutilità, Vestiti e Accessori e Armature dell'Inutilità anch'esse.
Le voglio tutte, e molte volte è la cosa che mi interessa di più dello Stupido Gioco.
Ma ho la mia giustificazione, è questa la cosa più importante, e in questa seduta di Collezionisti Compulsivi Anonimi voglio fare coming out e raccontarvi cosa mi ha causato tale fissazione.
Perché è anche abbastanza recente, come esperienza.
Correva l'anno 2002, e il titolo era Final Fantasy X.


Una fantastica avventura sui binari: vai da A a Z marzagrando i vari nemici, accompagnando un'evocatrice, Yuna, attraverso il viaggio fisico e spirituale che la porterà a raccogliere tutti gli spiriti da evocare, qui chiamati Eoni, fino all'invocazione finale, dunque al sacrificio della propria vita, per scacciare il male, Sin, e avere così cinquant'anni di pace.
Una meraviglia, che se non avete capito vi stra-consiglio.
Cosa successe dunque, di così infame da trasformarmi in un tizio-che-controlla-in-ogni-angolo?
Semplice: i membri del vostro party nascono con una limitazione, per la verità tipica di Final Fantasy: per quanto li possiate pompare in lungo e in largo, arrivassero anche al 99° livello, il massimo di danni che possono fare è 9999. Arriverete al punto in cui invece di spadate tirerete scoppi nucleari ma nulla: novemilanovecentonovantanove, e basta.
Inutile dire che, così stando le cose, col piffero che tirate giù quei bestioni “side quest” di cui FFX giustamente pullula. Per quanto riguarda quelli della trama principale, nessuno sforzo, se siete un poco smaliziati.
Ma se consideriamo che la versione europea era stata graziata da nemici bonus come le versioni Dark degli Eoni, o le Sorelle, robetta da dodici milioni di hp, sì: dodici-milioni e voi togliete, con ogni colpo, 9999.
Sempre.
Quando li beccate.
L'unica vostra speranza risiede nelle Armi dei Sette Astri: trovate due gioielli e il luogo in cui è sepolta l'arma, ed ecco che il vincolo di 9999 viene aggirato, e potete godervi corroboranti e soddisfacenti schianti da 12.000, 15.000… che goduria.
Peccato che – non controllo neanche su wikipedia o altro, tanto è vivo in me il ricordo – peccato che questi gioielli infami siano nascosti nei posti più impensabili, ma veramente impensabili. Di quei posti, poi, che una volta passati adieu, a mai più rivederci, auf wiedersehen: t'attacchi e fai senza.
Uno dei gioielli necessari all'arma dei sette astri di Tidus (che dite, la volevo? Era il protagonista!) si trovava in un antro alle spalle di Bahamut, uno di questi Eoni, che per chi non lo sapesse è un dragone colossale che ogni sette-otto turni vi spara una cannonata devastante e addio, sogni di gloria!
Finito il combattimento, dopo quello che definirei come il momento topico di Final Fantasy X nonché uno dei colpi di scena più azzeccati di tutta la saga, avrei dovuto, mentre l'ordine costituito delle cose crollava intorno a me, andare a scovare questo gioielluccio invisibile alle spalle, appunto, del Bahamut sconfitto.
L'ho fatto? No. Posso tornare indietro a prenderlo? No, per niente.
Dopo un po' sì, però! Torno e trovo che, soloperlaversioneeuropea, questo antro è nuovamente sorvegliato dal Bahamut però trasformatosi in Dark Bahamut, con un miliardo di punti vita (seriamente, più di dodici milioni) e col vizietto di sparare la cannonata devastante di cui sopra più rapidamente.
Mentre i miei bamboccetti, vittime delle insensate regole di FFX, continuano a fargli 9999.
Quando lo beccano.
Quando non muoiono.


E addio, dovrei rifarmi trenta ore di gioco per tornare fin lì, non ce la farei mai, non ce la faccio e non è giusto ed è COLPA MIA E BASTA! Ma dove avevo la testa?
Cosa?
Seguivo la storia?
Ero rapito, intimorito dalla piega che avevano preso gli eventi?
Schiappa.
Schiappa e basta.
Ma non risuccederà. Ok, la nave sta affondando e la gente fugge impazzita, ma io mi metto a guardare in ogni stanza, in ogni cassetto, che magari c'è la fondina +1 (tre articoli e già mi cito…) che non serve a niente.
Chi sono io, per lasciarmi qualcosa indietro?

lunedì 25 febbraio 2013

Come costruire una nave spaziale in sole quattromilaseicento mosse


Ho sempre provato una terribile invidia per gli appassionati del fai da te. Io fatico a tagliarmi la barba senza finire smerigliato come Leatherface, mentre questi diavoli dei lavori manuali si fanno belli su Instructables con giganteschi carri armati di cartone o riproduzioni fedeli di Pagani Zonda.
Ma ora basta, ora sono stufo, ora gliela faccio vedere io.


Richiamando il sempiterno potere dell'Arte Mucciaccia, proveremo oggi a costruire uno Sparviero Klingon di classe B'Rel, per giunta perfettamente funzionante!
Potrete così apparire dal nulla davanti all'Enterprise, sparare due colpi a vuoto e poi esplodere in mille pezzi! Eccitante, no?



Prima di tutto, raggiungete il vostro negozio di modellismo preferito e acquistate alcuni motorini da mini 4WD, quelli su cui avete speso una fortuna da giovani per il solo gusto di vedere le vostre automobiline andare costantemente in testa coda. Selezionateli bene, ché saranno il sistema propulsivo della vostra nave.
Ne basteranno una manciata di cinquecentomila. Seppure la spesa sembri a prima vista proibitiva, vi permetteranno di portare lo Sparviero a una mirabolante velocità di crociera di sette warp, qualsiasi cosa voglia dire.

Fatto?

Ora andate a rubare venti camion di carta igienica e confiscate nel nome del Soviet Lokee l'industria di colla vinilica più vicina.

Fatto?

Stampate questo cartamodello su un foglio da 130 metri per 88 e usatelo come base per tagliarne le forme su un foglio di compensato, ovviamente della stessa dimensione.










Fatto?

Create una forma tridimensionale con le tre parti di compensato, unendole con dello scotch biadesivo, in genere famoso per non incollare neanche due gomme da masticare ciancicate tra loro.
Ora inondate il vostro modello appena montato di carta igienica e colla vinilica diluita. Mi raccomando, usate più strati di carta igienica in modo da renderlo più solido. Ricordatevi di farvi avanzare un paio di chilogrammi di colla vinilica; vi serviranno più tardi.
Attendete che la foresta amazzonica ridotta in carta-da-culo si indurisca.

Fatto?

Per pulire il modello dalle imperfezioni, aiutatevi con una smerigliatrice angolare, mi raccomando, dalla punta arrotondata.
Colorate il vostro modello di un bel verde "Come sono minaccioso", con delle punte di grigio "MUAHAHAHHAH" sui particolari. Non sto a spiegarvi come lumeggiare o chiaroscurare il modello; chi non lo sa fare, di questi tempi?

Fatto?

Legate i motorini sul retro del vostro Sparviero con del nastro da imballaggio, creando un solo contatto per un'enorme elica. Mi raccomando, bambini: questi lavori elettrici fateli fare a vostro padre. Già, vostro padre. Quel poveraccio che ha perso un pomeriggio a cercare di far girare Windows nella lavatrice.

Fatto?

Montate un amplificatore testata-cassa valvolare da 300 watt sul muso dello sparviero e collegatelo a un lettore mp3 che spari costantemente Mi faccio in quattro di Gigi D'Alessio. Sarà il vostro cannone disgregatore.

Fatto?

Entrate nel vostro fedelissimo modello e raggiungete il ponte di comando indossando un pigiama di Intimissimi. Se volete ricreare la famosa fronte Klingon, un finto culo sul cranio sarà sufficiente per il colpo d'occhio.
Adagiatevi sulla vostra poltrona da comandante in carta igienica e tirate fuori dalla tasca la colla vinilica avanzata.

Fatto?

Aprite la boccia di colla e sniffatela fino a quando non avrete la sensazione di viaggiare nell'iperspazio!
Cosmico, vero? E tutto per non più di 15.000 euro di spesa, quattrocento ore di lavoro e sedici lavoratori a nero!



Cosa abbiamo imparato oggi:
  • il lunedì è un brutto giorno per farmi scrivere;
  • non fidatevi dei siti fai da te, fanno sembrare sciocchezzuole lavori d'artigianato tanto complessi quanto cari; 
  • i klingon hanno una fronte ridicola;
  • l'ho già detto del lunedì?

venerdì 22 febbraio 2013

Top/Flop 5 delle più improbabili azioni ruolate (a cui io abbia assistito)

Me ne stavo fuori dal portone con Deo Divvi nei due, tre gradi scarsi delle due di notte, a chiacchierare come due deficienti ipotermici dopo la sessione appena terminata. E parla di questo, parla di quello, alla fine abbiamo iniziato a rivangare i bei tempi (ludici) andati. Da lì a ingaggiare un duello all'ultimo aneddoto ludonerdico il passo è stato infinitesimo.
E così, con gli addominali che, ben nascosti, ancora mi dolgono per lo sforzo ilare sostenuto, mi è venuto in mente di scrivere questa robetta qui: una top/flop five delle più improbabili azioni ruolate a cui io abbia assistito.
Cominciamo subito e senza indugi. Una curiosità: un paio di questi indimenticabili momenti sono accaduti durante sessioni di Gioco di Ruolo dal Vivo. Con le maiuscole. Sì.

Top 5 delle più improbabili azioni ruolate (a cui io abbia assistito)



Epicness, di lilpagie001.
In quinta posizione: Rescue Fist

D&D, Eberron, una sera invernale 2005 - Il monaco morfico del party si introduce furtivamente all'interno di una torre in cui si sospettava venissero condotte un sacco di brutte cose, quali intrighi, congiure, rapimenti, torture e omessa raccolta differenziata.
Beccato dalle guardie in una stanza al secondo piano, dove stava ficcando il naso in mezzo a preziosi e segreti incartamenti, inizia a venire pestato come l'uva, imboccando un cammino che lo avrebbe condotto in breve a una morte tanto rapida quanto dolorosa.
Fuori dalla torre, in mezzo a un pittoresco giardinetto fiorito, attende il palo più improbabile della storia: un mezzodrago alato alto tre metri, chierico della Fiamma Argentea.
Il volenteroso sacerdote draconico, fischiettando con l'ostentata nonchalance di un elefante assai beneducato in una cristalleria, supera con successo una prova di "ascoltare"suggerita dal DM. Giungono alle sue orecchie i rumori della colluttazione e le grida di dolore del suo amico e compagno. Un senso di urgenza si impadronisce di lui: occorre salvare al più presto il monaco, ma come? Come giungere in tempo? Con la soluzione con cui il nostro prelato rettile è solito risolvere i problemi, ovviamente: senza andare per il sottile ma con efficienza.
Intona la formula di Giusto Potere e nei sei secondi di durata del turno lievita del 100%, raggiungendo la rispettabile altezza di sei metri.
Con determinato e bovino cipiglio, sferra un poderoso cazzotto che sfonda una delle finestre della sala del pestaggio, "sbracciola" all'interno, come un ragioniere intento a cercare le chiavi dell'auto sotto il divano (rovesciando e ammaccando nel processo svariate guardie), quindi, riconosciuto il peloso corpo svenuto del morfico amico, lo afferra saldamente, lo tira fuori dalla stanza e si dà, per finire, a una rapida fuga, macinando distanza con ampie falcate.


In quarta posizione: "Vado a fare pipì"

D&D, Ambientazione Proprietaria®, una sera primaverile 2008 - Il party, rigorosamente di primo livello, sta attraversando un deserto. Incappati in una banda di predoni trafficanti di schiavi, i nostri eroi vengono suonati come delle zampogne sotto Natale, fatti prigionieri e venduti nella successiva città.
Trattati, tutto sommato, con riguardo, in quanto schiavi di valore, vengono rifocillati e fatti accomodare in celle accoglienti, quasi sfarzose, in attesa di essere venduti il mattino seguente al mercato degli schiavi per ragguardevoli somme (un avventuriero ha sempre un discreto valore, anche al primo livello).
Tutti accettano mestamente l'ineluttabile destino, tranne il maghetto di primo livello, il personaggio inutile del party per antonomasia, che, caparbiamente attaccato alla propria libertà, decide di studiare bene ogni dettaglio di ciò a cui assiste nel palazzo, cenare leggero e coricarsi al più presto.
Dormite le otto ore canoniche per il riacquisto degli slot incantesimo, il nostro incantatore si leva con il cielo ancora buio e stellato e, diligentemente, si accinge a fare pratica sul proprio grimorio. Prepara pertanto apri e chiudi, mano magica, un raggio di gelo che può sempre servire, sonno e ipnosi.
Si appronta dunque a mettere in pratica il proprio piano: sbirciando dalla serratura della porta che lo tiene recluso nella propria cella dorata, lancia sonno sulla guardia che piantona la sua stanza, seduta dal lato opposto del corridoio. Con apri e chiudi apre il borsello in cui l'ha vista tenere le chiavi della porta, ed estrae così le dette chiavi con mano magica, facendole poi levitare fin dentro la serratura e ruotando.
Finalmente libero, si dirige al portone d'ingresso del palazzo, presso il quale incontra due guardie. I due, più perplessi che allarmati alla sua vista, lo apostrofano con un blando «e tu che ci fai in giro?», portando, tuttavia, al contempo le mani ai randelli.
Il maghetto, con prontezza, mette in opera l'ultimo atto del suo piano di fuga, lanciando sui due ipnosi, e rispondendo con un furbesco «vado a fare pipì, se mi fate la cortesia di aprire il portone…». Le due guardie, trovando la cosa estremamente ragionevole e assennata, aprono il portone, facendosi cortesemente da parte per lasciar uscire con comodo il giovane incantatore.
Il nostro eroe, dunque, dopo aver salutato e ringraziato educatamente, si incammina all'esterno, verso il sole che sorge e la libertà.


In terza posizione: Training Autogeno
(questo episodio ha avuto luogo in una sessione di gioco di ruolo dal vivo)

Sant'Agata, Giugno 2011 - Il gruppo è incarcerato in un campo di concentramento Stavkokatz, la pericolosa e organizzatissima razza di uonimi-topo provenienti dal sottosuolo. Il mago bianco Zalera viene prelevato dalla cella che condivide con altri compagni e portato nella sala torture per essere interrogato. Nel sotterraneo, i topi si avvalgono della loro avanzata tecnologia per torturare il malcapitato con sistemi atroci e inimmaginabili che agiscono direttamente sui suoi sensi.
Ad un certo punto il mago bianco inizia a salmodiare la formula di un incantesimo, toccandosi il petto.
I master presenti sul posto parlottano, perplessi ed incuriositi: «ma che sta facendo?», «Boh, sta castando qualcosa…», «Ma è la formula di…». Di colpo, il nostro Zalera completa l'intonazione dell'incantesimo, quindi dichiara «Sonno su Zalera!», abbandonando la testa ciondoloni e cadendo profondamente addormentato, incurante delle sofferenze inflitte alla sua mente dai marchingegni Stavkokatz.


In seconda posizione: Miracle Mike

Warhammer, Ambientazione Proprietaria®, una sera invernale 2000 - Il barbaro del party è stato arrestato dalla milizia della guardia cittadina al gran completo per aver dato il via a una rissa in taverna, trasformatasi in un massacro, nel quale il suddetto ha macellato e decapitato 1d6 civili e 3d10 guardie della milizia. Condannato a morte per direttissima, l'esecuzione è fissata per la mattina successiva.
Il party si avvia rassegnato al rifugio concordato, una fattoria appartenente a dei dissidenti ad alcune miglia dalla città; il barbaro attende l'esecuzione chiuso in cella, e ridotto a miseri 2 punti ferita; il giocatore del barbaro sta già rollando una nuova scheda.
Giunge il tempo dell'esecuzione e il nostro barbaro, in catene e con 2 PF, viene trascinato sul patibolo. Le guardie lo fanno inginocchiare davanti al ceppo e si ritirano. Lui, sprezzante, si rivolge al boia: «Feh! Neghereste forse a un condannato l'ultimo desiderio?». Il boia, immenso e bovino, scuote il capo: «Parla!». «Voglio che ti levi il cappuccio.» Il boia scrolla le spalle e si leva il cappuccio. «E adesso voglio che ti giri e fai vedere la tua faccia a tutti questi bastardi che sono venuti a vedermi morire!» Il boia scrolla nuovamente le spalle e si volta verso la folla.
Scattante come il lampo, nel pieno vigore dei suoi due punti ferita, il nostro barbaro balza in piedi, cinge da dietro il collo taurino del boia con le catene che ha ai polsi e, con un colpo deciso, lo spezza, lasciando cadere al suolo l'enorme corpo dell'esecutore, ormai privo di vita.
Afferrata l'ascia da esecuzione che se ne stava placidamente appoggiata al ceppo, il nostro barbaro balza in mezzo alla folla che, terrorizzata, si apre come il mar rosso. Punta deciso verso un nobilotto a cavallo, gli asporta una gamba con un'asciata ben piazzata, lo scaraventa sbrigativamente per terra e, balzato in sella all'equino, si lancia al galoppo verso la concordata fattoria, sventolando davanti alla folla terrorizzata e sbalordita un tozzo e trionfante dito medio.


In prima posizione: Metagame Lvl 80


Special Corps, Ambientazione Proprietaria®, una sera autunnale 2004 - Il party è stato reclutato ormai da qualche settimana in una base militare supersegreta dove viene addestrato a pilotare dei fichissimi e devastanti robottoni.
I giocatori, tuttavia, è tutto il pomeriggio che vogliono iniziare una nuova campagna di D&D vecchio stile, perché, si sa, la nostalgia per il fantasy classicone prende a intervalli regolari. Il DM, tuttavia, si è fatto un culo così a preparare la sessione e non ne vuole sapere.
Il party si riunisce nella sala ricreativa comune, in attesa della sessione di addestramento pomeridiana. Senza alcuna premeditazione, il gruppo è pervaso da un estemporaneo fremito di telepatica complicità.
Lo Spetsnaz russo inizia a barricare una delle due porte della sala ricreativa. Il Ros italiano e il Navy Seal americano si occupano insieme di sprangare l'altra.
Il party si riunisce quindi attorno al tavolo e inizia a raccogliere fogli, matite, dadi. Il DM, perplesso, chiede delucidazioni. «Ci mettiamo a giocare a D&D».
Il DM, mesto e rassegnato, china il capo e con tono mogio inizia: «Ok, siete in una locanda. Dietro al bancone un oste corpulento sta asciugando un boccale con uno straccio…».

Flop 5 delle più improbabili azioni ruolate (a cui io abbia assistito)



In quinta posizione: Lo Slittino Subbacquo 

D&D, Greyhawk, una sera invernale 2003 - Il party è in cima ad un lungo e ripido pendio innevato. A fondovalle infuria lo scontro. Gli individui che devono proteggere, gli alleati in possesso di informazioni e strumenti fondamentali per il prosieguo della missione, con cui si erano dati appuntamento nella valle sottostante, stanno venendo marzagrati come spighe di grano sotto una mietitrebbia. O anche come un party di avventurieri sotto una mietitrebbia, se vogliamo.
È inequivocabile: anche correndo a rotta di collo non farebbero mai in tempo a raggiungere i loro alleati prima della fine dello scontro.
Al che il valente chierico nano (sic!) ha un'idea geniale che risolverà tutti i loro problemi. Evoca immantinente una balena, che, grazie alla forma affusolata e alla pelle liscia, il party adopererà come slittino per scivolare a gran velocità a valle cavalcandola sul dorso.
Ovviamente, essendo la balena un elementale dell'acqua, nell'istante in cui sfiora il terreno scompare, sotto lo sguardo demoralizzato del fantasioso nano e sotto quello invece basito e vagamente imbarazzato del resto del party.


In quarta posizione: Mezzi Propri

Warhammer, Ambientazione Proprietaria®, una sera estiva 2002 - Il party incappa in un troll. A questo spiacevole evento si aggiunge la miseranda condizione di trovarsi privi di torce o altre fonti di fuoco, di acido o altre forme di acido, e di incantatori di qualsivoglia classe capaci di operare incantesimi offensivi a base di fuoco e/o acido. Impossibile dunque abbattere il troll in maniera definitiva: il suo fattore rigenerante lo avrebbe portato a risanarsi colpo dopo colpo, sconfiggendo inevitabilmente in malcapitati avventurieri uno dopo l'altro. Che fare?
Ma ecco che il brillante mago umano, mosso forse dall'imbarazzo per la propria incapacità di produrre fuoco e/o acido, escogita la soluzione vincente. Dopo che il party ha abbattuto temporaneamente il troll con una tattica pentolaccia, lo scaltro incantatore si caccia due dita in gola e inizia a riversare il contenuto del proprio stomaco sulle ferite dello sventurato troll, biascicando orgoglioso alla volta dei perplessi compagni: «I fucchi gaftrifsci fono afscidi!».
Un gocciolone di sudore e imbarazzo sgorga dalle tempie di tutti gli astanti.



In terza posizione: La Spada di un Falco

Warhammer, Ambientazione Proprietaria®, una sera primaverile 2005 - Il party si è infiltrato tra i ranghi dell'esercito nemico, i cui soldati si fregiano dell'appellativo di "Aquile", al fine di fare breccia nella rocca e porre fine al lungo e infruttuoso assedio. Ognuno, chi più chi meno, si è fatto un nome, fino ad arrivare a guadagnarsi la fiducia del generale in comando e del re.
Un valente condottiero, con un passato da comandante nello squadrone dei Falchi, corpo di assalto scelto dell'esercito avversario, è arrivato a guadagnarsi la carica di Comandante in seconda dell'esercito.
Durante la cerimonia di investitura, informale poiché in periodo di guerra e sotto assedio, il consigliere del re, personaggio di uno dei giocatori e rivestito di tale carica in quanto proveniente "da lontano", membro del party e traditore anch'egli sotto copertura, sulla scia dell'entusiasmo esclama: «Hah! Per vincere questa guerra ci farà proprio comodo avere al nostro fianco la spada di un Falco!».
Il gelo cala nella sala. Tutti gli occhi si voltano verso il neo-Comandante in seconda, fulminandolo.
Il povero condottiero, pallido e raggelato, fissa negli occhi lo stolto consigliere con ira demoniaca: «Volevi dire di un'Aquila, ovviamente…».
E lui dice quanto segue. Davvero. L'ha detto. Io c'ero.
«Ops… forse ho parlato troppo…»


In seconda posizione: Nel Dubbio…
(questo episodio ha avuto luogo in una sessione di gioco di ruolo dal vivo)

Sant'Agata, 25 gennaio 2013 - Il party è in un dungeon. Si ritrova intrappolato in una stanza, dalla quale si può uscire soltanto attraverso una porta incantata. La porta si attiva pungendosi un dito su uno dei due spilloni che sporgono dal muro ai suoi lati. L'uno apre la porta. L'altro uccide all'istante senza possibilità d'appello né tiro salvezza.
I personaggi si arrovellano, in cerca di una soluzione che non sia una scommessa o la va o la spacca con la morte.
All'improvviso, l'esperto ed astuto ranger ha una risolutiva idea. Si alza di slancio, si precipita alla porta e pianta gli indici ciascuno su un ago, pungendoseli entrambi. La porta si apre. Il ranger cade a terra morto. Il party esce dalla stanza, scavalcando il cadavere in imbarazzato silenzio.

PS: per questioni e necessità successive il party si trova a dover nuovamente attraversare detta stanza, e nuovamente si ritrova intrappolato al suo interno di fronte all'enigma della porta.
Due membri del gruppo, sacerdoti di un culto necromantico, interloquiscono: «Scoccia a qualcuno se rianimiamo il ranger come zombie?». All'unanimità, «No, no. Prego, fate pure».
I due si adoperano e il malcapitato torna ad una vuota parvenza di vita. I due gli ordinano di pungersi su uno spillo. Non accade nulla. Gli ordinano dunque di pungersi sull'altro spillo. La porta si apre e il party esce dalla stanza, finalmente consapevole di quale dei due aghi aprisse la porta, cosa che, premendoli contemporaneamente la volta precedente, era rimasta un mistero.


In prima posizione: Nei Suoi Panni

D&D, Ambientazione Proprietaria®, una sera primaverile 2009 - Il party si trova in una vasta città quantomai peculiare per ragioni di ambientazione su cui non mi dilungo (più che per il mio e vostro comune bene, perché era un'ambientazione talmente figa che chi l'ha ideata un giorno potrebbe anche trarne dei quattrini, e quindi col cavolo che la spoilero, che quello là poi mi scuoia…).
Vi basti sapere che di giorno era tutta bella bianca, ordinata, armoniosa e legale, mentre di notte diventava la peggio cloaca, madre di ladri, tagliagole e saltimbanchi. Tra le varie meraviglie, di notte c'era il mare (di giorno no), e dunque il porto. E al porto era di stanza la flotta dei pirati. E il comandante dei pirati comandava la città di notte. Mentre l'arcimago bianco la città di giorno.
Ma stiamo divagando.
La cosa importante è che un'unica persona, oltre al party, viveva in entrambe le città, ed era il segretario dell'arcimago di giorno e il nostromo, braccio destro del capo dei pirati, di notte. Ovviamente al tempo nessuno del party lo sapeva.
Con "al tempo" intendo dire al tempo in cui il party incontrò il buffo ometto di giorno e, per ragioni su cui ora non perdo tempo, pensò bene di farlo fuori. E qui inizia il nostro Flop 1, perché il ladro del party, frugando il corpo come da contratto, notò la prestigiosa veste double-face, elegante tunica bianca da un lato, sdrucito abito da pirata dall'altro (come fosse possibile non è noto, ma dico, in una città che ha il mare dodici ore si e dodici no si può perdere tempo con tali futili domande?).
Il ladro, appassionato ed esperto nell'arte del camuffarsi, pensa bene di impossessarsene e di indossarlo immantinente.
Trascorre così una manciata di giorni in relativa serenità, quand'ecco che vengono indetti, nelle rispettive versioni della città, i concorsi per la carica di nuovo segretario e nuovo nostromo.
Ovviamente il party ha ogni interesse ad accaparrarsi tali cariche per ragioni che – sì, avete indovinato! – non mi dilungherò a esporvi. Quindi si iscrivono.
Ed è, dunque, così che si arriva al momento in cui il giocatore, completamente dimentico del proprio abbigliamento, manda il suo leggiadro, astuto e cangiante ladro sulla nave del comandante dei pirati, dove il secondo ufficiale registra gli iscritti.
«Salve, il mio nome è Osvald e sono venuto per iscrivermi al concorso!», si presenta il ladro, con fare sicuro e smargiasso.
«Harr!», esclama il primo ufficiale, sollevando la benda e fissando, con entrambi gli occhi, uno sguardo pregno di raggelante attenzione su Osvald.
«Belli, quei vestiti, eh?».
Sul volto di Osvald, attraverso quello del suo giocatore, un intero campionario di espressioni si rincorrono l'un l'altra, velocissime: perplessità profonda; illuminata comprensione; atavico terrore; rassegnata consapevolezza.
Poi è soltanto un turbinare di lame.
E il silenzio.
Quindi, dopo un po', lentamente, il suono di dadi che rollano e della matita che scorre sulla scheda, annotando i nuovi valori.


Bene, e queste sono le top/flop five delle più improbabili azioni ruolate a cui io ho assistito. O, per lo meno, di quelle che mi ricordo.
Lo so bene che ne avete viste parecchia anche voi. Come so altrettanto bene che di alcune siete stati protagonisti.
Io ho lanciato il sasso (e non ho nascosto la mano). Ora continuate voi!

giovedì 21 febbraio 2013

Guida scherzona alla redazione di un testo


Credo un po' tutti i lettori e appassionati di fantastico abbiano almeno una volta nella loro vita pensato di pubblicare qualcosa. Che ne so, la cronaca di una lunghissima campagna GdR o un ciclo fantascientifico in sedici volumi da novecento pagine l'uno, giusto per rimanere sul semplice.
Il problema è che alla presentazione di un testo a un editore, per quanto uno abbia magari una splendida idea, un ottimo stile e un'incredibile prosa, c'è il rischio di trovare il proprio lavoro completamente coperto da strane righe rosse. Anche se siete convinti di aver scritto correttamente, probabilmente per gli standard redazionali non è vero.

E' normale per esempio che i non addetti ai lavori non trovino al volo i tre refusi che ho infilato in questa frase, perchè generalmente sono cose di cui non ci si preoccupa (grazie a Bob, aggiungerei) .

Questa dunque vuole essere un'informale guida alla stesura di un manoscritto che segua determinate regole formali, al fine di avvicinare il vostro lavoro a quello che potete visionare in un qualsiasi libro di qualità. Ma non solo, certe regole funzionano perfettamente per aprire un blog, dove alla fine dei conti dovete essere sempre gli editor di voi stessi (e vi assicuro essere la cosa più difficile al mondo).
Non seguirò un particolare filo logico, semplicemente nel tempo aggiungerò – sempre che l'idea sia recepita positivamente – consigli che potranno spaziare dall'utile al banale (ma non ditemelo quando succede o piango). I consigli in questa prima parte saranno molto generici e meno incentrati sulla nostra passione, ma senza basi come si fa a conquistare lo spazio?

Prima di pastrocchiare consigli, ci tengo a fare alcune premesse.

  • Ciò che scriverò si basa totalmente sulla mia esperienza personale;
  • Le norme redazionali, ovvero le regole di uniformazione dei testi, sono diverse per ogni casa editrice. Quindi non vi stupite se magari differiscono da quelle che conoscete o affermano addirittura l'esatto contrario. Ciò non toglie che molte di quelle che segnalerò siano piuttosto comuni e spesso le uniche storicamente “italiane”.
  • Non è necessario che vi prendiate la briga di seguire i miei consigli, è solo un modo per fare una buona figura e per imparare ad avere una buona sensibilità per gli aspetti formali di un testo. Un'opera di qualità verrà comunque scelta, a prescindere da tutto. Al massimo mi sentirete piangere sommessamente in un qualche angolino.

Non avrai altro spazio all'infuori che il primo

Lo spazio in editoria è un carattere, non un buco vuoto invisibile. Come ogni carattere, si usa quando si deve. Come due virgole suonano brutte vicino, anche lo spazio non ama molto la compagnia dei suoi simili. Preferisce di gran lunga altri caratteri, decisamente più sexy. Questo vale per ogni cosa, anche per i rientri. Insomma, in ogni caso bacchettatevi le mani se premete più di una volta la barra spaziatrice. O fatevi bacchettare, se siete quel genere di persone.

I puntini di sospensione non sono tre punti

Anche il punto condivide con gli altri caratteri un certo imbarazzo a stare accanto a un suo gemello. I tre puntini di sospensione sono un carattere a sé stante. “...” è sbagliato. “…” invece ci piace molto di più.
I puntini sono seguiti da uno spazio se all'inizio (… E poi liberò il kraken) e non preceduti da spazio se in fondo (E poi liberò il kraken…).



Ogni volta che usate il grassetto, un Eterno muore

Un testo si scrive normalmente in tondo, esattamente come gran parte di questa pagina. Il grassetto è visivamente considerato volgare, carica eccessivamente di nero la pagina e non dà tutta quella visibilità alle parole chiave come si penserebbe. Per i titoli è meglio usare il maiuscoletto e per il corpo testo il corsivo.
Parliamo comunque di testi scritti, a video fa tutto un altro effetto e io stesso uso il neretto con una certa regolarità, spesso con colori per cui in Paesi civili finirei in galera.

Gerarchia delle virgolette, questa sconosciuta

È uno dei punti meno universali di questa guidaccia. Però fra gli editori della scuola torinese, considerati i migliori, la regola che segue è spesso la più usata.

  • Per citare brani o singole parole si usano le virgolette basse o sergentine (« »).
  • Per citazioni parafrasate, citazioni nelle citazioni, modi di dire e parole con un rilievo particolare si usano le virgolette alte (“ ”).
  • Per i casi in cui le altre virgolette sono state già sfruttate si usano i singoli apici (‘ ’). 

A meno che non siate americani, potete tranquillamente evitarvi i trattini lunghi (—) per i discorsi diretti. Sì, lo so, certi romanzi fantasciocchi merabruttissimi redatti da un tizio orbo con due uncini al posto delle mani vi ha fatto innamorare di questa soluzione, ma vi assicuro che sono un inferno da gestire.

Se qualcuno riesce a usare questa regola alla prima, è probabilmente un Kwisatz Haderach

Nel caso di citazioni, se la frase inizia dopo un punto, si inserisce il punto finale della citazione dentro le virgolette.
Andammo a casa. «Non si può entrare in questa stanza. Puzza.» Allora decidemmo… 

La faccenda si complica quando la citazione è collegata precedentemente o successivamente da un'altra frase.
Andammo a casa: «Non possiamo entrare in questa stanza. Puzza».

Come vedete il punto è passato all'esterno della citazione. Nel caso di punto esclamativo, punto interrogativo o puntini di sospensione, si inserisce il segno di interpunzione sia dentro sia fuori dalla citazione.
Andammo a casa: «Non possiamo entrare in questa stanza. Puzza!».

Ci sono anche altre combinazioni, giusto per rendere la cosa più divertente.
Il dottor Bubebbe invece propose una teoria interessante «Il sedere tendenzialmente ha un odore sgradevole» ma il dottor Gian Pepildo…

L'accento si trova spesso in una grave situazione [alla quinta battuta triste potrete percuotermi con porcospini su bastoni, se volete]

In italiano generalmente si usano soltanto accenti gravi (cioè, parlò, pulì, più), eccetto che nel caso della vocale “e” in cui si distinguono una “e” acuta (perché, perdé, sé, né) e una grave (è, caffè).
Gli accenti in parole non tronche si segnalano soltanto nel caso in cui si possano confondere due termini con la stessa ortografia. Per esempio "dei" e "dèi", "da" e "dà" o "principi" e "princìpi". Mi raccomando: do si usa molto più frequentemente come prima persona presente del verbo dare che come nota musicale. Lasciate quel dannato accento a casa sua, che ci ruba anche il lavoro (il mio tempo lo ruba sicuramente spesso).
Importantissimo: l'apostrofo non è un accento nemmeno nelle maiuscole. Esistono i glifi appositi per le lettere maiuscole accentate. In un forum o su Facebook si può sopportare la grafia E'; in un manoscritto o in un blog con mire "narrative", invece, provoca tanta tanta tenerezza.
Se avete un dubbio sulla giusta inclinazione di questi benedetti accenti, c'è un sito meraviglioso che contiene l'ortografia e la pronuncia corretta di un discreto numero di parole. La sua versione cartacea, poi, è una vera manna.

Semplicità è leggibilità

Un carattere leggibile e semplice è sempre la giusta scelta. I Serif – detti anche aggraziati – sono i più indicati. Un esempio è il sempreverde Garamond. Anche un'elegante Sans-serif può funzionare, come l'Helvetica o un suo clone open source.
I font simil-cyber, gotici o medievaleggianti sono robaccia a cui è bene stiate lontani, non importa quanto vi sembrino in linea con lo stile del vostro manoscritto.
Non state poi a incasinarvi con duecento tipi di carattere diversi, considerato che poi sarà il grafico editoriale a scegliere quello definitivo.
Ah, piuttosto che usare Comic Sans, Times New Roman o Arial, soffocate bambini nella melassa. Sul serio, sono di una bruttezza ineguagliata e ineguagliabile. Ci sono molti siti che contengono ottime e sobrie font gratuite.

Prima regola sull'impaginazione per autori: non c'è alcuna impaginazione da fare

Si parla sempre dello stesso principio barboso e ricorrente: semplicità.
Una buona presentazione del vostro manoscritto a livello estetico può sembrare a primo acchito un'ottima idea per promuovere il contenuto del testo. Probabilmente è davvero un'ottima idea, ma bisogna prima imparare a farlo e avere fra le mani i programmi giusti. Perché complicarsi la vita inutilmente? Siete intellettuali, mica un maledetto e puzzolente grafico editoriale che guadagna a progetto il doppio di me.
Sigh.
Piuttosto, con un pizzico di umiltà, trasformate il vostro manoscritto in un san Francesco cartaceo.
Fate finta di battere la vostra opera con una macchina da scrivere, usando insomma solo quello che permetterebbe quel romantico strumento meccanico. Eccezion fatta della scelta del carattere e i suoi stili.
Titolo, pagina vuota, testo. Niente di più e niente di meno.
Le eventuali note aggiungetele numerate in fondo e i riferimenti nelle pagine sottolineateli con un banale numero fra parentesi(1), senza usare l'opzione presente in word che spesso fa più danni di un berserker a un ballo delle debuttanti. Lo stesso principio vale anche per l'indice e la bibliografia.
Non solo eviterete di perdere tempo, ma, nel caso il vostro lavoro venga accettato, l'impaginatore potrà tranquillamente esportare tutto il vostro lavoro senza nominare invano tutti gli archetipi divini che conosce.


E qui finisce la prima parte. Se avete interesse per la materia, fatemi un fischio ed entrerò più nel dettaglio. Magari vi potrei parlare delle maiuscole. Sì. Cosa c'è da sapere sulle maiuscole, dite? Un sacco di roba, fidatevi.

mercoledì 20 febbraio 2013

L'immaginario collettivo Fantasy

Sottotitolo: Portate pazienza e finite di leggerlo che in fondo si parla male di Twilight

Era la fine degli anni Ottanta, dei bambini giocavano nel cortile della scuola. La maggior parte di essi a pallone, ma un gruppetto di 4-5 rimaneva in disparte ad agitare spade invisibili, lanciarsi palle di fuoco immaginarie e cavalcare creature di fantasia. Quel mondo fantastico era popolato principalmente da nani, elfi, draghi e orchi: tutto ciò che rappresentava, cioè, l’immaginario fantasy a cui un bambino poteva attingere all’epoca.
A distanza di qualche anno scoprii che tutto ciò aveva un nome, si chiamava Gioco di Ruolo, e anche la mia funzione all’interno del gruppo era stata codificata: ero, a mia insaputa, il Dungeon Master. Lo appresi scartando e divorando avidamente il contenuto di quella fatidica scatola rossa con la scritta Dungeons & Dragons, emanante fascino e mistero allora, avvolta da nostalgia e ricordi adesso.


Sfogliandone le pagine ritrovai quegli stessi abitanti che popolavano i nostri pomeriggi di ricreazione: c’erano i nani, gli elfi, i draghi e gli orchi, nonché un nutrito numero di altre razze, la maggior parte delle quali confinate al ruolo di antagonisti. L’emozione della scoperta si mescolava a quel senso di tepore scaturito dal conoscere vagamente gli argomenti trattati, pur non avendoli mai approfonditi. Erano i primi anni Novanta, scoprivo con gioia il vero significato della parola stupore.
La mia fame per tutto ciò che profumava di fantasy non si saziava mai. Provai coi libri. A ripercorrere quella stessa strada oggi ricomincerei da Tolkien e mi concedo di aggiungere anche un “ovviamente” in coda a questa frase. Ma quante possibilità ci sono che un adolescente ignorante in materia preferisca un titolo come Lo Hobbit o Il Signore degli Anelli a un altisonante I Draghi del Crepuscolo d’Autunno?
Se stiamo ancora parlando di me, e non illudetevi lo stiamo ancora facendo, nessuna; quindi cominciai da lì. E rieccoli, ormai agitavo la mano in segno di saluto man mano che li incontravo: i nani, gli elfi, i draghi e gli orchi… a dire il vero non mi ricordo tanti orchi nella prima trilogia di Dragonlance, ma poco importa, l’immaginario collettivo fantasy era ancora lì. C’era però ancora spazio per qualche novità: una razza di piccoli bambin-uomini chiamati kender, al posto del classico elfo facevamo prima la conoscenza di Tanis, un protagonista mezz’elfo e così via.
Il tunnel di Dragonlance durò fino alla fine della saga dei Gemelli, poi decisi di dar retta ai settordici amici che continuavano a parlarmi di Tolkien e lessi Lo Hobbit. Fu amore a prima lettura. I bambin-uomini qui si chiamavano, per l’appunto, hobbit e sì, so benissimo in che anno sono state scritte le due opere, non sto accusando nessuno di plagio verso nessun altro. Il mio io di allora però non lo sapeva e trovò buffa la vaga somiglianza. E indovinate cos’altro c’era? Sì, esatto, ormai l’avete capito. Stava giungendo la fine degli anni Novanta, cominciavo a dimenticare il vero significato della parola stupore.

Non temete, non andrò a ripercorrere ogni singolo libro, gioco o videogioco fantasy della mia vita, anche perché un articolo non sarebbe decisamente sufficiente. Vi basti sapere che continuai per anni e anni sulla stessa strada, trovavo confortante imbattermi continuamente in presenze tra loro simili seppur con caratteristiche specifiche sempre differenti. Adoravo poter creare svariati nani diversi… ehm, personaggi diversi tra loro in ogni titolo videoludico di ultima uscita, anche se la novità introdotta si limitava a una variante di incantesimo o nel mio caso specifico una treccia per la barba più elaborata delle precedenti.
Contemporaneamente quanto inconsapevolmente però, strisciava nella mia mente una serpe nata e cresciuta negli anni, un dubbio che trova voce solo ora: possibile che in tutti questi anni nessuno si sia stufato di trovare sempre gli stessi dannati nani, elfi draghi ed orchi?
Sì, ho detto di adorarli ed è ancora vero. E no, non sono schizofrenico. A dire il vero forse sì. Ma non stiamo parlando di me. Non più insomma. Stiamo parlando di fantasy, ecco! Quello che non riesco a capire è perché siamo relegati a un immaginario collettivo composto unicamente dagli stessi elementi ripetuti ancora e ancora e ancora.
“Ma gli Elfi di Tolkien son diversi da quelli di Warhammer e in D&D ce ne sono addirittura N [inserire numero a seconda dei manuali acquistati] tipologie differenti.” Sì, vero. Ma hai notato una cosa? Hanno sempre gli stessi orecchi a punta, la medesima boria, e un’omosessualità più o meno latente, ma comunque sempre molto presente!


Romanzi in cui i draghi son creature mitologiche dimenticate negli anni, altri in cui vivono nell’epoca moderna e altri ancora in cui vivono a contatto con l’uomo e si incrociano con esso originando dei semidraghi. Squame, coda, ali, fuoco, potere. Draghi. E la cosa più buffa è che hanno provato anche a stravolgerne la natura, cambiandone il soffio, togliendo le ali, arricciando la coda e variandone il livello di potere. Curioso come rimangano, però, pur sempre draghi.

Provate ad entrare in libreria, sfogliare i primi dieci libri a caso del reparto fantasy e ditemi quanti non riportano neanche uno del poker di elementi sopra esposto. Provate a entrare in un negozio di videogiochi e fare altrettanto. Si, potreste trovare difficoltoso sfogliare i DVD, vi consiglio di limitarvi a osservare le immagini e leggere il trafiletto sul retro della confezione. Provate a entrare in una videoteca. No davvero, provateci: io non ne conosco più di aperte qui nelle vicinanze.
Se poi avete un iPhone potreste provare a scrivere “Fantasy” nella funzione cerca dell’App Store. Qui tra i primi 10 risultati annoveriamo ben 8 titoli sportivi, di cui 7 sul calcio; roba da far piangere e rimpiangere nani, elfi, draghi ed orchi.
Corre l’anno 2013, ho trent’anni. La parola stupore ora mi richiama solo una vaga assonanza con sudore. Sudore di cui nessuno si bagna più nel tentativo di farci riscoprire il significato di studore… pardon, stupore.
Quindi, vi chiederete, qual è il punto? Niente di concreto suppongo. Ho voluto semplicemente farvi parte di un senso d’insoddisfazione generale che nasce dall’incapacità di un genere di uscire dagli schemi di un immaginario collettivo affermato e funzionante. Immagino sia dovuto all’incapacità di osare, una dilagante allergia al rischio, un morbo di omologazione diffuso a ogni livello della società in cui viviamo.

Ma c’è chi se la passa peggio di noi, amanti del fantasy anticonformistico. Poco fa vi ho invitati a entrare in libreria. Ecco, torniamoci assieme. Lo vedete quello scaffale con su scritto romanzi/narrativa? È proprio lì, accanto a quello fantasy/fantascienza; vaglielo a spiegare che son due generi praticamente agli antipodi. Vabbe’, restiamo sui romanzi per ora. Lo vedete il morbo che affligge loro? Riuscite a distinguere su cosa si sta uniformando l’immaginario collettivo? E bada bene, non ho parlato di immaginario collettivo horror, romantico o di qualunque altro genere riusciate a pensare, bensì di immaginario collettivo. Punto.
Vampiri. Dannati succhiasangue, ovunque. Vengono fuori dalle fottute pareti, altro che alieni. Sì, la citazione corretta è questa e non la spesso erroneamente usata “escono”, ho controllato. Sono dappertutto, dai thriller alle storie d’amore, dai polizieschi alle ricette di suor Germana, se vi girate di scatto potreste vederne uno proprio ora alle vostre spal… no, troppo tardi non vi siete girati subito.
Che poi posso capire il proliferare di romanzi che utilizzino una creatura in origine così tetra eppure affascinante, carica del peso di dicotomie esistenziali notevoli, per picchi di tensione in narrazioni altrettanto cupe. Ma che una tale figura venga continuamente usurpata per essere spogliata della sua primigenia essenza non mi va proprio giù, specie se il fine ultimo è suscitare un sospirato “com’è romantico”. Via, non è sensato e ormai nemmeno più originale: dopo Twilight aveva già stancato, senza bisogno di arrivare al millesimo clone. Abbiate almeno il coraggio di osare, scegliete una creatura inusuale, che possa suscitare dell’interesse rinnovato. Chessò, un Kappa. Io la leggerei una storia d’amore con protagonista maschile un Kappa. Ecco perché non leggerò mai una storia d’amore con buona probabilità.


Be', tornando al problema vampiri, se non altro basta un paletto di legno conficcato ben bene nel cuore per ucciderli. Se state giocando a D&D 3.0 o 3.5; in tal caso non rimuovetelo anche dopo averli uccisi, a meno che non vi siate già disfatti del corpo o non l’abbiate decapitato e riempitone la bocca del qualsiasi oggetto preventivamente benedetto. Se siete più da gioco White Wolf invece non avrete fatto altro che paralizzarli, che comunque aiuta.
Ecco perché adoro il fantastico: tutto sommato sapere che all’interno del nostro immaginario collettivo nerd si annidano così tante sfaccettature e caratterizzazioni mi aiuta a digerire il rospo delle costanti invariabili.

Concludo questa vuota arringa con una curiosità. Spulciando Wikipedia ho scoperto che i vampiri di Twilight non sono gli unici ad avere una sola debolezza. No, non è l’essere foil di giorno e mint di notte, quella non viene considerata; pare essere il fuoco. Trattasi di un rinomato collega degli anni Ottanta...
Conte Dacula sei tosto, ma sempre in Transilvania te ne stai…



Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate, nel quale troverete anche questo stesso articolo.

martedì 19 febbraio 2013

Cinque viggì finanziati con Kickstarter su cui puntare tuttora

Non starò a dirvi quanto reputo fantastico Kickstarter. No, sul serio, l'adoro più del cioccolato fondente dopo il caffè. E io potrei uccidere, per il cioccolato fondente dopo il caffè.
Il suo funzionamento è tanto intuitivo quanto efficace: hai una buona idea, la presenti al pubblico e questi possono valutare se meriti di essere finanziata o meno. Semplice, diretto, meritocratico. Una macchina meravigliosa, senza intermediari (be', a parte Kickstarter) o uccellacci incravattati a decidere le sorti di un progetto in base a chissà quali astruse ricerche o proiezioni di mercato.
Certo, è un sistema tutt'altro che privo di rischi, per giunta a carico del cliente: il finanziato potrebbe bruciarsi i soldi in aranciate e figurine Panini, il prodotto potrebbe rivelarsi di qualità scadente o uscire in tempo per la pensione dei nostri nipoti. Per i videogiochi questo discorso vale il doppio, ché con gli anni lo sviluppo è diventato estremamente complesso e non poche software house sono fallite durante la fase di produzione.

Ci troviamo quindi di fronte a un terribile dilemma, miei cari videogiocatori con l'occhietto vispo sul portafogli. Se da una parte donare una somma a un progetto Kickstarter permette di acquistare un titolo a metà del suo prezzo finale di vendita, dall'altra tale somma non garantisce in alcun modo la qualità o la sola esistenza in futuro del videogioco su cui avete investito.
Come fare?
Be', chiedete a me, no? Sciocchini.
Vi elencherò cinque titoli dal sicuro avvenire, già felicemente finanziati su Kickstarter, che permettono tuttora un preordine con uno sconto dal venti al quaranta percento. Per scrupolo (e per evitare potenziali lamentele dei soliti frignoni), aggiungerò comunque una soglia di rischio quantificata in Punti Nukem™; più è bassa e più il vostro investimento si può ritenere sicuro.

Star Citizen

Cos'è: Chris Roberts, il papà di Wing Commander  e Privateer, si è rotto le scatole del mercato pc. Troppi porting di robaccia per console, troppo appiattimento sui soliti due-tre generi considerati sicuri e appetibili alle solite masse informi e senza nome.
Come Rocky dopo qualche film bello e una ventina d'anni in più sul groppone, Chris ha deciso di tornare sul ring e mostrare a un po' di sbarbatelli come si combatte, fra l'altro progettando un simulatore spaziale, genere praticamente morto dopo il notevole Freespace 2.
E non si accontenta di un clone di Wing Commander, no. Ci sarà una campagna in singolo, Squadron 42, molto simile per portata ed epicità alla space opera Origin, ma la vera ciccia sarà la modalità che dà il nome al gioco, Star Citizen.
Vi troverete in una Galassia letteralmente in espansione, condivisa con tutti i giocatori, e potrete fare più o meno tutto quello che vi viene in mente; esplorare i limiti più remoti dello spazio, scoprire nuovi sistemi solari e dar loro il vostro nome, lavorare come mercenari a difesa di una stazione spaziale, intraprendere una carriera come onesti commercianti o contrabbandieri, abbandonare lo spazio sicuro e darsi alla pirateria o alla caccia delle taglie. Le vostre attività potrebbero spesso confliggere con quelle di altri giocatori, ma del resto che te ne fai di una nave spaziale se ogni tanto non provi un bel duello in un campo d'asteroidi?

Un altro aspetto affascinante del gioco è la sua enciclopedia galattica, una sorta di guida (no, non per autostoppisti) che riporta in tempo reale i luoghi, gli eventi e i personaggi più interessanti, aggiornandosi in base ai successi (o fallimenti) dei giocatori. Se scoprirete un warpgate ad Alpha Centauri, sarete riportati nell'enciclopedia, vicino magari a un coraggioso esploratore che ha ucciso il temibile pirata Jimmy Mozzicanonne, terrore della Via Lattea. Direi che è un sistema più interessante, immersivo e gratificante degli obiettivi o trofei su console, specialmente considerando la loro natura unica. Di killer di Jimmy Mozzicanonne ce ne sarà soltanto uno, per esempio.

Quanto costa: 30 dollari sul sito RSI.

Soglia di rischio: Chris è un veterano dell'industria e del genere, ma si tratta di un prodotto estremamente ambizioso considerando il budget disponibile. Soltanto la struttura online, con un universo persistente che si aggiorna in tempo reale in base alle azioni dei giocatori, fa venire il mal di testa. Ciò non toglie che nella peggiore delle ipotesi avremo fra le mani un gioco graficamente bellissimo con una lunga campagna in singolo e, magari, un online abbozzato ma divertente.



Project Eternity


Cos'è: È un gioco di ruolo per computer che prende ispirazione dai classici che giravano sul vecchio motore Infinity come Baldur's Gate, Icewind Dale e Planescape: Torment, riprendendone la visuale isometrica, i combattimenti in tempo reale con pausa, la gestione di un party numeroso, un livello di scrittura decisamente sopra la media e una campagna che sfora fischiettando le sessanta ore.
Praticamente un sogno.
Come se non bastasse, a garanzia del progetto c'è il dream team dei cRpg, gli Harlem Globetrotters dei tiri di dado. Ve ne presento alcuni, giusto per farvi strabuzzare un po' gli occhi.

  • Chris Avellone - Ha scritto da solo la famosa Bibbia di Fallout, razionalizzando e arricchendo lo splendido lore della saga post-nucleare più amata al mondo. Gran parte dei testi di Planescape: Torment e Knights of the Old Republic II sono suoi, come sua è la direzione della narrazione in Fallout: New Vegas e dei suoi migliori DLC.
  • Josh Sawyer - Icewind Dale 2 vi è sembrato estremamente giocabile rispetto alla media? Ringraziate Josh, uno che sgranocchia meccaniche di gioco come fossero chicche di zucchero. Fra l'altro è così perfezionista da aver programmato un mod hardcore di successo per il suo stesso gioco, Fallout: New Vegas, ritenendolo troppo semplice.
  • Tim Cain - Fallout è Tim Cain e Tim Cain è Fallout. Già questo basterebbe per baciargli i piedi, ma no, il signore qua sopra va a fondare Troika e sforna due capolavori assoluti come Arcanum e Vampire: The Masquerade - Bloodlines, così, come se fosse una robetta da poco.
  • George Ziets - Uno sbarbatello che ha scritto quella ficata ultraterrena (sic) di Mask of the Betrayer, espansione di Neverwinter Nights 2 che da sola vale lo strazio di giocarsi la campagna della versione liscia. Ha messo le sue zampette anche sui dialoghi di Fallout: New Vegas e direi che possiamo ritenerci soddisfatti, no?

Cioè. Cosa vuoi aggiungere? Basta leggere i nomi e vedere su cosa hanno lavorato per far balzare Project Eternity al primo posto nelle erezioni nei giochi da avere l'anno prossimo.

Quanto costa: 29 dollari sul sito Obsidian.

Soglia di rischio: A meno che non abbiano infilato la testa nella pressa, al lavoro su Project Eternity ci sono le migliori menti del gioco di ruolo per computer occidentali. Vien da sé che le possibilità che sia un completo fallimento sono a dir poco basse. L'unico dubbio è sulla presenza di bug; i titoli Obsidian, per vari motivi e con diverse percentuali di colpa, hanno quasi sempre avuto problemi di stabilità del codice, andando a minare la qualità di progetti altrimenti alla soglia della perfezione.


Double Fine Adventure (Reds)


Cos'è: Se vai da una persona nata fra l'Ottocento e stamattina e gli chiedi con quale gioco sia cresciuta, è assai probabile che nomini Monkey Island.
Chi non risponde Monkey Island, probabilmente pensa a un'altra avventura grafica della LucasArts come Sam & Max Hit the Roadthe DigFull Throttle o Day of the Tentacle, degli assoluti classici senza tempo, perfettamente fruibili anche dieci o vent'anni dopo la loro uscita.
A parte un paio di psicotici, insomma, tutti amano o hanno amato le avventure grafiche. Tutti.

Eppure negli ultimi lustri hanno cercato di convincerci che è un genere decaduto come un nobile barone prussiano, ormai concettualmente stagnante e poco appetibile. Sono uscite cose piccole e notevoli come Gemini Rue o Ben There, Dan That, ma la sensazione è che mancasse un peso massimo che ricordasse ai cogl poco elastici produttori di viggì che c'è un mercato interessante anche per le avventure grafiche.
Ci ha pensato Tim Schafer con la sua Double Fine a riesumare l'amata salma dei punta e clicca con il suo progetto su Kickstarter, proponendo un'avventura grafica in due dimensioni che ricordi al mondo perché ci sono sempre piaciute un sacco.
Il gioco si dividerà fra un orfano solo in una nave spaziale alla deriva e una principessa vergine, figlia di un regno che ha il vizio di sacrificare principesse vergini a un'entità mostruosa. I due si dovranno aiutare a vicenda, senza però potersi mai toccare o comunicare, appartenendo a due dimensioni diverse. Certi puzzle, con un setting del genere, si scrivono praticamente da soli. E direi che è un bene.

Io mi fido di Tim. Voglio dire, come fai a non fidarti. Ha scritto buona parte dei testi dei primi due Monkey Island, è stato il lead designer di Day of the Tentacle, Full Throttle, Grim Fandango e Psychonauts. Poi è simpatico e sembra anche una brava persona, aspetto che non sembrerà importante per voi, ma lo è per me.
In un periodo piuttosto melmoso come questo, abbiamo davvero bisogno di ridere, di impegnare la mente, di sognare un pochino. E l'avventura Double Fine è una delle poche cose che non siano Nintendo che potrebbero alleviare le nostre sofferenze terrene e levarci un po' di polvere dalle spalle.

Quanto costa: 30 dollari sul sito Double Fine.

Soglia di rischio:  I titoli di Tim e della Double Fine negli ultimi anni si sono mostrati tanto belli nel concept e nell'estetica quanto un po' deludenti nelle meccaniche di gioco, spesso un po' troppo piatte rispetto alla presentazione e all'umorismo sontuosi. Non c'è titolo che vorrei avesse più successo di questo, lo ammetto, ma è pericoloso sperare che esca qualcosa che riscriva il concetto di avventura grafica nel nuovo millennio.



Wasteland 2


Cos'è: Pochi si ricorderanno il primo Wasteland, titolo uscito nell'ormai lontano 1988. Il giocatore prendeva il controllo di un gruppo di Ranger del deserto cento anni dopo un olocausto nucleare. Questo gruppo paramilitare, ispirato da un esercito americano ormai scomparso, ha come obiettivo la salvaguardia delle comunità isolate di sopravvissuti, sparse per le terre devastate del mid-west.
Durante le missioni di salvataggio e di difesa descritte con uno stile al limite del grottesco, si scopre l'esistenza di un'intelligenza artificiale pre-olocausto che vuole sradicare la vita "imperfetta" degli umani sopravvissuti, sostituendole con forme di vita "pure" potenziate ciberneticamente. Ovviamente il vostro obiettivo è quello di rintracciare l'IA, eliminare le sue creature e disinstallarla.
Per i suoi tempi, Wasteland era un'esperienza innovativa ed esaltante. Era un gioco di ruolo con un regolamento complesso ma non indigesto, una storia ben congegnata, un'ambiguità morale nelle scelte decisamente d'avanguardia e un'ambientazione complessa, con uno stile che rimane in equilibrio fra un realismo disperato e le roboanti esagerazioni di un b-movie catastrofico degli anni Cinquanta.
Non è un caso che il titolo Interplay abbia ispirato con le sue atmosfere e il suo humour nero la serie Fallout, tanto da esserne considerato il padre spirituale.

Dopo centordici secoli, Brian Fargo riporta il franchise Wasteland alla ribalta con un secondo capitolo che sembra una versione sotto steroidi del primo, con più scelte ruolistiche, più libertà nella creazione del proprio party, più dialoghi, più narrazione, più mappe, più gente che esplode in combattimenti a turni e più scorpioni giganti meccanizzati.
Di Brian Fargo ci possiamo fidare. Voglio dire, ha fondato Interplay. Non c'è altro da aggiungere. Voglio dire, senza di lui non sarebbe esistita Bioware, Black Isle, Blizzard, e non avremmo giocato classici come Battle Chess, Stonekeep o lo stesso Fallout. Ci sono persone che se la tirano avendo fatto decisamente molto meno nella loro carriera professionale.
A Wasteland 2 poi lavorano molti designer del primo come Alan Pavlish, Michael Stackpole, Ken St. Andre e Liz Danforth, assicurando la coerenza stilistica, meccanica e narrativa fra i due giochi. Da non dimenticare la collaborazione di Avellone, che evidentemente è troppo figo per non entrare in due dei progetti consigliati.

Un rpg strategico a turni, post-nucleare, che usa finalmente una griglia a ESAGONI, SANTIDDIO ERA L'ORA, MICA ERA DIFFICILE. Posso dire che è una figata? È una figata.

Quanto costa: lo tirano dietro. 25 dollari sulla pagina ufficiale del gioco.

Soglia di rischio: Il gioco è già a buon punto e i primi video di gameplay sono genuinamente interessanti. Rimane l'impressione di un titolo low budget, perciò potrebbe far storcere il naso a chi è abituato a titoli colorati, puliti e pre-digeriti come panini da fast food. Chi, come me, sa cosa avrà fra le mani (non un Fallout, intendiamoci) non dovrebbe rimanere deluso.




Planetary Annihiliation


Cos'è: Jon Mavor e Steve Thompson, i creatori di Planetary Annihiliation, sono due delle menti dietro a Total Annihiliation, uno degli RTS con i combattimenti su vasta scala più assurdi di sempre. No, davvero, era impressionante. Abituati agli strategici Westwood (pace all'anima sua) o Blizzard, vedere su schermo centinaia di unità, accompagnate magari da titani alti sessanta piani che sparavano laser in ogni direzione, era una sensazione magnifica e straniante.
Una guerra colorata, rumorosa, piena di unità ed effetti speciali, un conflitto che pareva un rave sotto anfetamine di quelle buone.

Qui hanno deciso di esagerare, sono assolutamente impazziti. La mappa ora è un intero sistema solare. Il numero di giocatori può arrivare anche a quaranta persone contemporaneamente, con pianeti e asteroidi creati proceduralmente da conquistare e sfruttare per potenziare la propria macchina bellica, mentre migliaia e migliaia di unità si combattono in decine di fronti diversi per decidere chi è il vero dominatore del settore. Al solo pensiero un lobo del cervello si è infilato nel freezer per essere fresco all'uscita del gioco. Non gli do torto.

Stiloso da morire, come da tradizione Uber (Saturday Night Combat avrà avuto i suoi difetti, ma certo non difettava di carattere), Planetary Annihiliation vuole ricordarci come uno strategico in tempo reale competitivo che non sia Starcraft sia possibile e, magari, anche divertente.

Quanto costa: caro. 40 dollari, alla pari di un vero pre-order. Disponibile sul sito del gioco.

Soglia di rischio: Dal prezzo si capisce come questi ragazzi abbiano fiducia nel loro prodotto e lo considerino già pronto per fare il botto, anche senza ulteriori donazioni da parte di futuri clienti. La già totale compatibilità con i mod rende questo titolo redimibile anche se uscisse in condizioni pessime, cosa che comunque dubito d'ufficio. Se amate gli RTS, mi pare una scommessa piuttosto sicura.



lunedì 18 febbraio 2013

La trilogia di Nolan, un Batman mancato




La trasposizione filmografica di Nolan del famoso personaggio della DC comics è stata un successo dal punto di vista di incassi e dal punto di vista registico, ma si può parlare di un film di Batman?
Se analizziamo la mitologia e i punti fermi di settantacinque anni di storia editoriale (il primo numero di Detective Comics in cui appare il crociato scappucciato è del 1938), soprattutto con riferimento al periodo che va dagli anni Ottanta in poi, non si può che ammettere che qualcosa non torni, soprattutto nell’ultimo film della trilogia.
La figura del Batman di Nolan riesce sì a essere affascinante per il pubblico, ma sposta l’attenzione sulla figura di Bruce Wayne, sui suoi sentimenti e i suoi dubbi  cancellando così di fatto una gran parte del fascino mitologico dell’uomo pipistrello.
Tanto Superman, che vede i suoi poteri derivare dal sole, funge da simbolo della speranza, della giustizia, della verità, tanto Batman incarna perfettamente l’archetipo dell’angelo vendicatore: il suo marchio è la paura, i suoi modi sono violenti, la sua missione è la vendetta contro una generica “criminalità”.


E qua arriviamo al nodo gordiano che rende Il cavaliere oscuro – Il ritorno un successo mancato: la rinuncia al mantello. La missione di Batman è infinita e non può avere termine se non con la morte del protagonista, come giustamente sottolineato da Neil Gaiman nel suo Cos’è successo al crociato incappuciato?, poiché non è un uomo ma un simbolo, egli rappresenta la vendetta, la notte, la razionalità contrapposta alla follia di un mondo che sembra non avere regole (pensiamo ad esempio al Joker e al suo violento nonsense).
Le stesse origini di Batman, nel fumetto, fanno parte di tutto questo: nessuna grande cospirazione, solo un patetico criminale che uccide un uomo e una donna per avere una collana di perle. Non si sta parlando dell’epica di Superman, unico sopravvissuto di un pianeta che addirittura esplode, ma di una storia comune come tante altre; quello che la rende diversa è il desiderio patologico di vendetta del bambino che assiste alla scena, un desiderio che trasformerà un comune mortale in una figura in grado addirittura di rivaleggiare, in termini di carisma, con lo straniero di Krypton.
La conclusione di Nolan toglie fascino a tutto questo: finita la grande guerra civile di Gotham City, Bruce Wayne decide di ritirarsi con la donna della sua vita, di abbandonare tutto quello per cui si è così duramente addestrato, in nome dell’amore e della pace, togliendo così il fascino al personaggio.
La migliore conclusione, tanto che per anni è stata considerata il vero e proprio finale della serie a fumetti, ci viene data da Frank Miller nel 1986 nel suo Il ritorno del Cavaliere Oscuro dove assistiamo a un Bruce Wayne ormai in là con gli anni che ha rinunciato al suo ruolo, alla ricerca di emozioni. Ricerca che lo porterà a rimettere il mantello e a continuare la sua missione, dopo aver perso tutto e aver inscenato la morte della sua identità “mortale”, concludendo così la sua metamorfosi da umano ad archetipo.

giovedì 14 febbraio 2013

Progetto Phoenix™: metodo empirico per la sintesi di un'ambientazione®

Bene, signori. Qui al Progetto Phoenix™ si lavora duro e con profitto per assicurare alla razza umana il miglior futuro possibile.
O, se non altro, si fa quel che si può nella speranza che, almeno, un futuro ci sia.
Ad ogni modo, è l'ora della pausa caffè.
Un caffè e una sigaretta: quindici minuti se te la rolli a mano, perché quelle rollate a mano, si sa, durano di più.
Però io ho smesso di fumare da quasi un mese, quindi è bene che mi tenga occupato per non ricascarci. E, ovviamente, non mollerò un solo, meritato minuto di pausa, ci fosse anche in gioco il futuro dell'umanità...
Quindi,  impiegherò questo tempo per spiegarvi quello che in questi giorni ho imparato sulla mia pelle in quanto a costruzione di un'ambientazione.
Dimostrando a voi, a me e al mondo quanto vuota e noiosa sia al momento la mia vita, o, quanto meno, la mia pausa caffè.

Hardware per Universi
Poco importa se un'ambientazione è un mondo immateriale, una realtà priva di hardware che gira soltanto nella nostra testolina bacata e in quelle di coloro con cui la condividiamo. Un'ambientazione è comunque un mondo, ed un mondo deve avere delle leggi che lo facciano funzionare.
Sul perché qualcuno possa voler creare un'ambientazione, non indago e non mi pronuncio. Sia il setting del prossimo best-seller hurban-cyber-steam-fantasy, lo sfondo per la nuova campagna di GURPS col gruppetto storico del liceo o il fondamento di una nascitura religione che soppianterà Scientology, ognuno ha le sue proprie ragioni per partecipare al gioco della creazione.
Sul come fare a farlo, invece, ecco due dritte al volo per cominciare. Anzi tre.

Primo: non si può costruire un mondo scopiazzando di qua e di là e appiccicando idee e spunti a caso.
Cioè, si che si può. Però poi fa cagare.
Ci sono una serie di parametri che andrebbero sempre definiti, o la cui assenza dovrebbe avere una ben precisa e ponderata ragione d'essere. Decidere ognuno di essi è un ottimo punto di partenza per sviluppare una realtà completa e coerente.
(Seguirà a breve un elenco semidettagliato di questi misteriosi parametri).


Secondo: a meno che non si tratti dell'ambientazione originale della Genesi®, nella quale però il set base dei personaggi è limitato a Dio, Adamo, Eva, Satana, Caino e Abele, ogni mondo ha una Storia.
(Deroga parziale al punto primo: se proprio dovete scopiazzare qualcuno, scopiazzate la Storia).

Terzo: tenendo a mente il primo e il secondo punto, è auspicabile giungere a una situazione iniziale di equilibrio.
Equilibrio non significa necessariamente pace, prosperità e unicorni che vomitano arcobaleni in ogni dove. Significa che le cose funzionano, in qualche modo. Fosse anche il peggiore. Ci penseranno poi la narrazione a sprofondare ogni cosa nel caos...


Senza mai perdere di vista questi tre precetti fondanti, vi propongo di seguito il metodo empirico per la sintesi di un'ambientazione® che è stato generato nei bunker illuminati a neon e scarsamente areati del Progetto Phoenix™, al costo di ore di brainstorming e termos interi di bevanda al ginseng.



Fase I: il Mondo Fisico


Una modellizzazione vagamente ossessiva del Mondo Fisico. Qualcosa di più abbozzato andrà bene lo stesso...

Il primo livello a cui un aspirante Demiurgo deve mettersi a ragionare è quello del mondo fisico: che realtà stiamo andando a creare?
Per poter rispondere a questa domanda in modo sensato e con il minimo sindacale d'ordine tale da rendere il discorso intellegibile, può essere utile rifarsi a tre macrocategorie che definiscono il mondo fisico in tre livelli dal più generale al più particolare:

  • Leggi fisiche. Definire le leggi fisiche è il primo passo, soprattutto se si vuole creare un mondo nuovo da zero. Le quattro forze universali funzionano a dovere? Ce ne sono altre nuove? La magia? Esiste? E, se si, come e con che portata ed effetti influenza la realtà? Ragionando su questi spunti, è sempre bene ricordare che un gioco è creato dal regolamento: regole troppo permissive o inesistenti spazzano via il divertimento. A buon intenditor...
  • Geografia. È abbastanza elementare ed intuitivo... è la forma fisica del mondo. Che si vuole fare? Un impero intergalattico, o federazione se preferite? La nostra amata terra, più o meno trasformata da olocausti nucleari e cataclismi Maya di sorta? Un cacheronzolo di paesello del Molise catturato in una bolla spazio temporale? Decidete pure in libertà, però ricordatevi che è importante.
  • Ecosistema. L'ecosistema è importante pure lui. È ciò che permette di determinare la flora e la fauna che si incontrano nelle varie aree del mondo in questione, così come il clima, che influenza in maniera imprescindibile sia l'aspetto e la vivibilità di ogni area, sia il rapporto tra razze senzienti (mondo sociale) e l'ambiente: su un altopiano roccioso battuto costantemente da venti a tre o quattrocento chilometri orari, e per questo solcato da dedali di tortuosi e acuminati canyon, soltanto una razza di goblinoidi folli e incuranti della sopravvivenza ideerebbe un sistema di spostamento tramite palloni aerostatici! Chiunque altro adotterebbe mezzi pesanti e striscianti, o, più probabilmente, andrebbe a vivere da qualche altra parte...



Fase II: il Mondo Sociale

Platone, ad esempio, era molto bravo in questo gioco...

Una volta ideati, valutati e approvati i tratti caratteristici dell'ambiente fisico in cui la nostra narrazione andrà in scena, è il momento di passare al livello superiore: il mondo sociale.
Cosa sia il mondo sociale lo dice la parola stessa: è tutto quello che deriva dall'interazione reciproca degli esseri senzienti presenti nell'ambientazione, ovvero - si avete indovinato! - la società.
A monte bisogna prendere un paio di decisioni veloci, prima di entrare nel vivo dello schema: per prima cosa bisogna definire in quante ambientazioni attive si divide il mondo che stiamo costruendo, ovvero quante aree socialmente autosufficienti esistono. Può trattarsi di pianeti differenti, settori della galassia, continenti, piccole città-stato-post-apocalittiche-nel-deserto-blindate-che-proprio-non-fanno-entrare-nessuno, insomma, zone in cui ambientare gli eventi, usciti dai confini delle quali si ha proprio un senso di altro. Può essere una sola, o possono essere di più.
Ogni ambientazione attiva, per essere equilibrata e coerente, andrebbe costruita con il metodo Nebugiat® fornitoci dall'eminente prof. Nebugiat, uno dei più preziosi cervelli del Progetto Phoenix™, e presentato più avanti.
Se ci fossero ambientazioni non attive, ovvero aree delimitate in cui non intendiamo ambientare la narrazione, almeno in un primo momento, possiamo liberamente decidere se progettarle comunque nel dettaglio col metodo Nebugiat® (ambientazione più completa e coerente, vita sociale/ore di sonno sempre più inconsistenti) o se lasciare perdere e tornarci eventualmente in seguito.
Altro aspetto abbastanza importate sono le razze senzienti: decidete quante sono (una è il minimo richiesto per ogni forma di narrazione ad eccezione del documentario), quali sono e come sono.
Se ne coesistono più d'una nella stessa ambientazione attiva, probabilmente saranno da considerare come parte dello stesso mondo sociale.
Se appartengono a mondi sociali scissi, probabilmente occupano distinte ambientazioni attive.
Se appartengono a mondi sociali scissi e occupano la stessa ambientazione attiva, è assai probabile che qualcuno abbia sbagliato qualcosa, o voi, o io.


Fase III: il Metodo Nebugiat®

Ricostruzione con attori professionisti del metodo Nebugiat®

A questo punto siamo pronti per applicare il metodo Nebugiat®, ricordando che ogni parametro non nasce da sé, statico e immutabile (a parte nelle simil-Genesi, come accennato sopra), ma si sviluppa attraverso un processo storico dal proprio punto di partenza.
Il metodo parte dalla costruzione dei principi fondanti più generali ed astratti, per scendere sempre più verso il dettaglio concreto della materia.

Per prima cosa, dunque, andrà stabilito l'Aspetto Ideologico (aka Gino), composto da:

  • Sistema simbolico (aka Cico): gli archetipi all'origine del pensiero della società in esame. Questa roba potrebbe essere un filino troppo complessa, perciò se non ve la sentite potete passare oltre senza venir troppo malgiudicati, ma consapevoli di una vostra profonda manchevolezza...
  • Mito di fondazione (aka Pico): una cosmogonia che illustri come è nato il mondo, dal punto di vista della società che stiamo costruendo. Potrebbe trattarsi di una dettagliata evoluzione fisico-chimico-biologica o della storia di un gruppo di paciosi e onnipotenti signori con tuniche e barbe bianche che scolpiscono montagne e bestie nella creta, così come essere tanto la pura e incontaminata verità quanto la più ridicola delle superstizioni popolari. Non importa. L'unica cosa che importa è che per quei tizi che compongono la società che stiamo ideando, il mondo è nato così.
  • Rappresentazione della comunità (aka Nico): che cosa distingue il membro della comunità dall'altro. In sostanza, il nome, ed il concetto rappresentato dal nome, che i membri della società danno a sé stessi (sconsigliamo vivamente il fonema X o Y, che nella lingua della comunità Z vuol dire semplicemente "uomini", perché poco originale e talmente di moda al tempo delle migrazioni sullo stretto di Bering da essere ormai abusato).
  • Rappresentazione dell'altro (aka Quoppi): il concetto è abbastanza lampante, direi. Calcolate che l'altro può essere la popolazione accanto al di là delle montagne, ogni straniero, tipo i barbari per i Greci, o un concetto più o meno astratto, tipo il Demonio!


Sulla base del sistema ideologico (aka Gino), innestermo la Tradizione (aka sir Calpurnio), ovvero l'insieme di:

  • Linguaggio (aka Bla): è abbastanza semplice da non richiedere troppe delucidazioni. Ricordate soltanto che il linguaggio di un popolo rispecchia il suo schema di pensiero. Anche solo per fare qualche esempio si finirebbe per scrivere come minimo un saggio, e, oltre a non essere la sede idonea, io non sono minimamente qualificato per farlo (ma il prof. Nebugiat si). Ergo se vi interessa documentatevi, che sono certo il materiale abbondi. Potrebbe non battervene un benemerito, ma se vi ci volete dedicare, Bla è una di quelle cose che impreziosiscono davvero tanto l'atmosfera...
  • Religione (aka Zaucher): sbizzarritevi (ricordando che, con tutta probabilità, nascerà direttamente da Sistema simbolico e Mito di fondazione).
  • Arte (aka Capra): sbizzarritevi (ricordando che, con tutta probabilità, nascerà direttamente da Sistema simbolico e Mito di fondazione)-bis.

A questo punto abbiamo delineato a sufficienza il modo di pensare, sentire e rappresentare della popolazione nascitura. Siamo pronti per ragionare sull'Assetto Sociale (aka Assetto del tessuto sociale), dato da:

  • Stile di vita (aka Schinoppio): è l'insieme delle condizioni generali in cui si vive in quel dato posto e in quel dato tempo. Comprende il livello tecnologico, le conoscenze scientifiche, il grado di benessere, ecc...
  • Costumi (aka Bula): via, i costumi, le usanze! Si capisce no? C'è la schiavitù? Si va in giro con le mutande in testa? Ci si dedica senza inibizione né malizia a libidinosi ed incestuosi convegni orgiastici allo scopo di socializzare equilibratamente? Queste cose qui, insomma.
  • Leggi (aka Diritto): il sistema di diritto su cui si basa la società. È meno scontato di quanto appaia (sic!). Non occorre stilare interi codici giuridici, ma è importante chiarire se c'è un diritto civile, il giudizio dei saggi, la legge della giungla, una teocrazia, etc... 

Ultimo passaggio del metodo Nebugiat®, la definizione dell'Assetto Politico (aka Circo), nello specifico:

  • Politica (aka Carlo): grossomodo la forma di Stato e di Governo, ovvero, c'è il re, c'è un consiglio, un impero, la repubblica, una chiesa, la ruota della fortuna? Può inoltre essere interessante definire un po' di politica internazionale: i rapporti tra le varie realtà sociali e gli intrighi di palazzo fanno sempre bene all'atmosfera.
  • Aspetto militare (aka Fedele): ci sono i soldati? Se si, chi sono, che ruolo ricoprono nella società? Quanto peso hanno? Un fiorino!
  • Finalità economiche (aka Sghei): non si tratta per forza dei denari, potremmo anche essere ancora al baratto. L'aspetto fondamentale di questo ultimo punto è l'analisi delle immancabili correnti del dare avere, dello scambiare beni e servizi, e di tutti gli interessi che questo mette in moto sia a livello micro che macro.

Fabbricanti di ambientazioni professionisti all'opera

Bene, mia ridente schiera di aspiranti Slartibartfast, le cose principali da tenere di conto per creare un'ambientazione ex novo dovrei averle raggranellate tutte, ma, cosa ben più importante, la pausa caffè è finita da dieci minuti abbondanti.
Provate, sperimentate, studiate e non esitate a proporre feedback o fare domande.

E ricordate: il team del Progetto Phoenix™ lavora alacremente per regalare a tutti voi un domani migliore.
O, se non altro, un domani e basta.