Backstage del trailer di Cyberpunk 2077. Con lingerie a vista. Per tenere fede al titolo. |
Come ben sapete uscirà Cyberpunk 2077. Si prospetta essere un gran bel giochino, davvero. Lo aspettiamo tutti con impazienza. Siamo molto felici, perché sarà un grosso fully open world in cui potrai andare in giro a fare le cose. Rivestito di vellutata pelle sintetica antiproiettile e farcito con quintali di miracle blade 3 serie perfetta impiantati sottopelle, da fare invidia allo chef Tony.
Finalmente potremo passeggiare in lungo e in largo per Night City, e scoprire se quei creativi giovinotti, lì alla CD Projekt RED, se la sono immaginata così come l'abbiamo sempre vista noi nelle nostre crude e sublimi campagne di Cyberpunk 2020.
Eh… lo so. Ci basta anche solo pronunciare la parola Cyberpunk e subito siamo lì a fare un sospiro profondo e fissare il vuoto in alto a sinistra per un po', mentre le immagini di mondi paralleli abbastanza vicini vengono caricate a parecchi terabyte al secondo nella nostra corteccia.
Ce ne stiamo là, a bighellonare per lo Sprawl al crepuscolo, l'orizzonte coperto dalle immense arcologie che oscurano l'ultima luce del sole.
È l'ora in cui c'è meno gente in giro e lo Sprawl è quasi deserto, almeno rispetto alla City. Certo, ci sono cose da fare, reti interne da esplorare, ICE da crackare davanti a informazioni da rubare e conti da svuotare, funzionari delle Zaibatsu e sicari della Yakuza da seminare e innesti a basso costo e di altrettanto bassa qualità da far revisionare.
Ma tutti loro possono aspettare un momento, ce ne occuperemo tra un po'. Ora è il crepuscolo e ce ne vogliamo stare un attimo a contemplare questo panorama suburbano che non è campagna e non è città, e di certo non è un bel posto, ma è lo Sprawl, per tutti i Loa, e in un certo senso è il centro del mondo.
Le informazioni passano da qui.
Se ti fermi un momento affianco al campetto, senza ormai più canestri, e fai un bel respiro, ti sembra di poter sfiorare ogni cosa. I satelliti commerciali in orbita, i piani alti dei palazzi corporativi in cui si decidono le sorti del mondo, perfino l'ultimo degli stronzi che, nel suo loculo a ore, sta aprendo un cartone del latte sintetico (che sa di pesce) con le forbicine che ha innestate nell'indice.
Perché, belli gli eroi, belle le storie e belle le avventure, ma quello che amiamo del Cyberpunk, di questo mondo terrificante, malato, sovrappopolato e crudele, è l'atmosfera che si respira, è il gusto che ci lascia in bocca, come un boccone con mille spezie, di cui non riconosci nessun sapore e con in mezzo forse pure qualche droga. È il fatto che c'è tutto, e quello che non vedi è soltanto un poco più in là.
William Gibson, Trilogia dello Sprawl |
Quando nel 1977 il geniale, profetico (e incolmabilmente ignorante in ogni questione riguardante l'informatica) William Gibson pubblicò Fragments of a Hologram Rose, compì il primo passo verso la creazione di uno dei movimenti letterari che più hanno affascinato e affascinano.
William Gibson è il messia e Bruce Sterling il suo profeta, e se vi interessa un minimo la storia del Cyberpunk, del suo messia e dei suoi dieci apostoli con gli occhiali a specchio (e dovrebbe interessarvi perché è strafiga), seguite il classico link per wikipedia, però consultatelo dopo, ché altrimenti partite per la tangente e poi vi dimenticate di finire di leggere l'articolo.
Non voglio mettermi a fare la lezione sul Cyberpunk, o Mirrorshades, perché altrimenti o finiremmo per schiacciarci le ore (ovvero io ci schiaccio le ore a scriverlo e voi vi spallate dopo dieci, massimo dodici minuti e smettete di leggere), o sarei inevitabilmente generico e superficiale. Vorrei soltanto fornire qualche spunto di riflessione sul perché piaccia così tanto, nonostante avrebbe mille motivi per non piacere a nessuno.
Una realtà infernale, dove l'evoluzione umana ha raggiunto un nuovo stadio, dove l'individuo ha smesso di essere l'organismo più complesso, diventando una cellula di qualcosa di più elaborato, sia esso una tribù suburbana o una corporazione. La razza umana vive qualcosa di simile a quanto accadde quando dei gruppetti di protozoi decisero di consorziarsi e dare vita a esseri pluricellulari.
In questo mondo, sovrappopolato a un livello insostenibile, l'individuo non significa più nulla.
Tutti si perdono nel numero, tanto i reietti suburbani, quanto i potenti corporativi. Anche questi ultimi, pur vestendo oro, dormendo nella seta tra le donne più perfette e decidendo politica, economia e clima prima di colazione, non sono altro che ingranaggi, importanti quanto vuoi, della corporazione. Per essa vivono e per essa muoiono.
Le corporazioni decidono, le corporazioni governano il mondo al posto di governi sempre più deboli e inutili, le corporazioni sono i membri della nuova specie dominante sul pianeta.
Ma in questo oceano di nessuno che sgomitano per tenersi stretta coi denti una vita che vale meno delle scarpe che hanno addosso, ognuno può essere qualsiasi cosa. Nessuno si aspetta più niente da nessuno, perché a nessuno importa di nessuno. C'è solo da scegliere a che tribù appartenere, che aspetto avere, che forma assumere, che realtà abitare.
La tecnologia è evoluta al punto tale da trasformare la realtà, ma, attenzione, non con l'asettica distanza delle fantascienza hardcore. Lo fa per le vie sporche e puzzolenti delle nostre città, con PC e telefoni che usiamo tutti i giorni, solo un po' più sofisticati.
Il Cyberpunk sta alla Fantascienza come l'Urban Fantasy sta al Fantasy: è più vicino, è dietro l'angolo, ci dà la sensazione che sia a portata di mano, che potremo viverlo, che stia per arrivare.
Ed è attraverso questa tecnologia poco distante che il mondo del Cyberpunk ci apre le porte a una trasformazione graduale, a una fuga libera.
Verso il non umano, ma passo dopo passo, con gli impianti cybernetici e la body modification che ti alienano poco per volta.
Verso mondi paralleli, virtuali, più fluidi e puliti, con il cyberspazio e i suoi cowboy, che tanto rassomigliano al piano astrale e a chi ci viaggia, per quelli che ne hanno mai sentito parlare.
La città, o meglio la conurbazione, puzzle di Sprawl e City, immensa, è sempre un luogo cosmopolita e globale all'ennesima potenza, come si può notare guardando film come Blade Runner, Johnny Mnemonic e, soprattutto, Nirvana (a mio avviso il miglior film Cyberpunk della storia, quasi un manifesto, fottutissimo motivo di profondo orgoglio italiano).
Ogni cosa vi trova posto, ogni etnia, ogni tecnologia, ogni vizio, ogni credo, ogni ceto, ogni stile.
Ed è proprio per questo che tutto sommato siamo tenuti a mostrare una certa tolleranza per quei fessacchiotti che se ne vanno tutti contenti alle serate con maschere antigas sul muso, tubi per innaffiare fluorescenti tra i capelli e mutandoni imbarazzanti addosso, definendosi saiberpànc. Non hanno capito un'ocarina di cosa significhi Cyberpunk, il più corretto archetipo cyberpunk è probabilmente un figone con la pelle liscia, l'abito elegante nero e un palmare in mano, ma tra le varie tribù dello Sprawl ci sarà di certo qualche meno fortunato conciato a quel modo…
Il punto è che il Cyberpunk è sì fottutamente Cyber, ma è prima di tutto Punk.
È disagio, è contestazione, è ribellione a un potere incontrastabile, irraggiungibile e impersonale che stringe nel pugno ogni cosa, che non lascia neppure un misero atollo con due palme in Polinesia dove sia possibile sfuggirgli.
È il contesto perfetto per essere eroi, per combattere senza quartiere con un fine che giustifica ogni mezzo. E, per di più, in una realtà in cui finalmente non è più lo spadone a rimettere i torti, ma la testa, ché a impiantarsi nell'avambraccio l'intero set miracle blade 3 serie perfetta di cui sopra si fa sempre in tempo.
Quando poi il vate Gibson, nel secondo e terzo capitolo della trilogia dello Sprawl (Count Zero e Mona Lisa Overdrive), infila i Loa vudù nel cyberspazio, la ricetta si completa, aggiungendo quel pizzico di magia che non fa mancare più nulla-ma-proprio-nulla.
E allora ecco semplice e lineare il motivo per cui piace tanto: il Cyberpunk è l'ambiente perfetto per stimolare l'immaginazione, tutta l'immaginazione, nient'altro che l'immaginazione.
L'immaginazione… già… Del resto nella nostra attuale realtà cosa ci potrebbe far pensare ci sia altro in ballo?
- Più di 6.000.000.000 abitanti, di cui 1.500.000.000 cinesi e 1.200.000.000 indiani. Conurbazioni che superano gli 80.000.000 abitanti (Taiheiyo Belt, Giappone). Shibuya, cazzo! Shibuya!
Shibuya, cazzo! Shibuya! Con graziosa nonna promozionale. |
- Sulle corporazioni non sto a perdere tempo.
- Dei gruppi di potere occulti ormai parlano tutti, con gli omaggi della nostra rockstar preferita Mury-o Monty.
- Il tribalismo underground c'è sempre stato. L'individuo non conta più un cazzo da un po', ormai.
- I cyborg? Eccoli:
- Per la realtà virtuale e l'intelligenza artificiale non siamo ancora pronti ma ci stiamo attrezzando. Per il momento ci accontentiamo di chiacchierate con Siri.
E questa gente scriveva trent'anni fa… Il Cyberpunk non è più solo un genere letterario: è il nostro presente.
Nonché, come suscritto, il contesto perfetto per essere eroi, dove il fine giustifica ogni mezzo. Perciò leggetene, guardatene e giocatene a volontà, a pieni occhi e a piene mani, primo, perché è fighissimo e, secondo, perché è un bignami perfetto di come fare a sopravvivere nei prossimi tempi, che non si prospettano tanto leggerini.
E mentre aspettiamo che diventi sempre più cyber, leviamoci i tubi da giardino fosforescenti dai capelli e vediamo di renderlo un po' più punk!
2 Response to Cyberpunk e Lingerie
Grandissimo articolo!!!
Io, da sempre, aspetto con impazienza l'avvento di una società simile...speriamo in bene (o forse male?)
d'accordo con l'articolo, d'accordissiom con "NIRVANA"
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