giovedì 30 maggio 2013

Un D&D a Mo(n)do mio - Druidi e religione di Casadu

Eccoci alla terza parte: oggi partiamo descrivendo i druidi che, diciamolo subito, sono rimasti un po' sul classico e richiedono poche righe. La vera sorpresa arriva sotto.


I druidi hanno una storia complicata legata alla loro particolare filosofia di vita; la fede druidica è stata per molti secoli una fede parallela a quella dei pantheon classici, più vicina al mondo naturale che a quello del divino. Nel continente di Bihar la Vecchia Fede venne assimilata dagli dèi della natura, rimanendo all'interno della religione ufficiale come un culto misterico e perdendo la sua influenza sulla popolazione. Fu dopo la Guerra Divina che i druidi tornarono in auge, non avendo perso i loro poteri, e nell'arco di un paio di secoli si staccarono di nuovo dai pantheon per rifondare il proprio ordine, composto da Circoli organizzati intorno ai vecchi cerchi di dolmen e menhir costruiti sulle potenti linee geomantiche del mondo.

Nelle terre di Casadu i druidi non sono mai stati assimilati ai sacerdoti, essendo considerati intercambiabili con essi. La differenza tra sacerdoti e druidi in Casadu consiste solo nel diverso approccio con gli spiriti: i primi si preoccupano della ritualistica quotidiana e della trasmissione della saggezza, i secondi invece si isolano dalla comunità e vivono un approccio più vicino al mondo della natura.



Archetipi consigliati
Gli archetipi consigliati non vogliono certo limitare la scelta del giocatore, servono solo ad indicare le varianti della classe più comuni nel continente di riferimento.

Archetipi consigliati a Casadu: Ape Shaman, Bat Shaman, Jungle Druid, Lion Shaman, Saurian shaman, Serpent Shaman.


E dato che oggi abbiamo parlato di Casadu, il continente simil-africano della mia ambientazione, mi sembra giusto quantomeno narrarvi della sua religione.


Casadu



Il continente di Casadu, che risiede a sud di Bihar, è una terra ricca di natura selvaggia ancora tutta da esplorare. Abitate da uomini dalla pelle nera, chiamati mawi, e tormentate dagli Mb'Ui, iene su due zampe, le terre di Casadu vengono viste spesso come una landa primitiva povera di cultura, ma non è così. La civiltà dei mawi è ricca di magia e tra la loro gente si possono trovare tutti i generi di incantatori che si trovano in altri luoghi, i loro guerrieri sono abili con le armi tanto quanto quelli di qualsiasi altro continente e la loro fede, più vicina allo spirito stesso della natura, non ha subito crisi di sorta dopo la guerra divina.

La religione dei Mawi

In primo luogo, al centro di tutte le religioni Mawi vi è la credenza in un Dio unico; la figura di 

questo Dio Creatore è simile in tutte le religioni di Casadu: dopo aver creato il mondo se ne è disinteressato e interferisce raramente con le vicende degli uomini. Pur essendo garante dell'ordine stabilito delle cose, non vi partecipa più e rimane quindi al di fuori della relazione con gli uomini. L'Essere Supremo è raramente oggetto di venerazione e di culto. Ad esempio, il Dio del popolo Ikuyu, chiamato Nogai, si è ritirato in cima al monte Yaken e non partecipa più alle vicissitudini delle sue creature. Tuttavia, gli Ikuyu pregano sempre rivolgendo il volto verso la montagna in segno di rispetto.

Il Dio creatore è allo stesso tempo buono e cattivo: incute timore perché i suoi rari interventi possono essere violenti, ma la gente gli è anche grata per la sua generosità.
La figura dell'Essere Supremo è l'entità più importante di una serie molto numerosa di esseri spirituali. Essi agiscono da mediatori tra l'Essere Supremo e gli uomini. Nelle religioni mawi i vari spiriti sono diventati più importanti dell'Essere Supremo, che è sentito come troppo lontano. È a loro che gli uomini si rivolgono per vedere esaudite le loro richieste. Gli spiriti si distinguono in spiriti di origine non umana e spiriti un tempo mortali.
Gli spiriti di origine non umana sono a volte collegati con determinati luoghi naturali, ad esempio lo spirito del bosco o lo spirito del mare. Gli spiriti della natura spesso non hanno una personalità ben definita, sono i guardiani del territorio dove vive una determinata popolazione e con la quale instaurano delle complesse relazioni sociali. 
Altri spiriti invece sono identificati con fenomeni naturali, come lo spirito del tuono, lo spirito del vento, della tempesta, della pioggia e così via. Tutte queste entità spirituali possono essere benefiche o malefiche o addirittura possedere una natura ambivalente. A volte sono amichevoli e ben disposti nei confronti degli uomini, altre volte possono essere molto ostili. Alcuni intervengono raramente, altri sono sempre presenti nella vita di tutti i giorni, alcuni si spostano facilmente mentre altri sono sedentari. 
Tutte queste entità spirituali si dispongono lungo una scala gerarchica per ordine di importanza, e la loro posizione codifica i rapporti tra di loro e tra loro e gli uomini. 
Alcuni di questi spiriti entrano in relazione con gli uomini attraverso la trance o la possessione. A volte esistono delle vere e proprie famiglie di spiriti che periodicamente possiedono una persona e le indicano in che modo agire per il bene del clan o della comunità intera. Si tratta ad esempio degli spiriti Ori tra gli hasasa del Regin o dei Kasimba tra gli elaz dell'Ireos. 

Alla categoria degli spiriti ancestrali appartengono invece gli antenati. La morte non trasforma automaticamente un parente in un antenato, ma sono necessari dei rituali accurati che in un certo senso accompagnano la persona deceduta nell'aldilà e gli permettono di acquisire la nuova essenza spirituale. In tutte le società Mawi, il legame tra i vivi e i morti è molto forte: i defunti devono essere sempre tenuti in considerazione e appagati con offerte di vario genere. Essi mantengono saldamente le loro posizioni all'interno della struttura familiare e nulla incute maggior timore che il suscitare la loro ira. Gli antenati costituiscono la relazione più immediata con il mondo spirituale, sono in grado di garantire la prosperità, la salute e la fecondità ai loro discendenti. 

mercoledì 29 maggio 2013

Collectible or Living?



Quest’anno è il ventennale del famoserrimo Magic: the Gathering. Un’età niente male per un capostipite dalla salute invidiabile d’un genere che invece non se la passa proprio benissimo.
I Giochi di Carte Collezionabili, Collectible Card Games per gli anglofoni e CCG o GCC per gli amanti degli acronimi e delle sigle speculari, sono stati una droga per me fin da subito. Anzi una famiglia di droghe. Sì, perché un gioco di per sé porta dipendenza, e parecchia nella maggior parte di casi, ma io sono andato oltre e sviluppavo una dipendenza per le dipendenze. Probabilmente, molto probabilmente in realtà, non sono nemmeno l’unico: sono pronto a scommettere che una buona parte dei lettori sta già alzando la mano.

La prima dose la prendi tra i banchi di scuola, vedi un gruppetto di amici che sta sempre in disparte in un angolino a ricreazione e ti domandi che diavolo stiano facendo. Maneggiano degli affari simili a figurine, le scambiano anche, ma non tirano mai fuori un album e non le staccano mai. Ah no, ecco, un raccoglitore ce l’hanno ma… e quello che diavolo è? Convinto di volerne sapere di più ti avvicini, metti in mute la coscienza che si sbraccia per farti capire a gesti quale enorme errore tu stia per fare, saluti, fai le prime domande e ti viene rivolta quella fatidica, quella letale: «Vuoi provare? Ti presto le mie». L’inizio della fine.

I pusher più abili ti portano attraverso le tue prime partite, alimentano il tuo famelico bisogno di averne di più, di sapere quali colori esistano, quali tipologie di creature (ah, l’illusione di far mazzi su ogni tema, che nostalgia) quali combinazioni di carte siano le più usate, quali siano le tipologie di buste d’espansione, quali le differenze, quanto costino. Eccoci. A un passo dal baratro il pusher esperto ti dice tutto, incalza, ti regala delle carte dal valore complessivo di un chewing-gum masticato, sputato, raccolto, rimasticato, risputato e calpestato con forza, dopodiché ti accompagna a comprare i tuoi primi pacchetti. Per consigliarti, diceva lui, perché la fuori è pieno di avvoltoi, diceva lui, impegnato a sistemarsi la maschera da uomo sopra il becco ricurvo. E ti spinge nel baratro.

Potrei continuare a parlare di quel vortice vendicativo in cui ogni giocatore storico (inutile far finta, sì, anche tu lì, tu che fai no con la testa) si ritrova coinvolto, quel processo automatico che ti porta a fare almeno una volta uno scambio vantaggioso sfruttando la poca conoscenza del malcapitato, memore di quante volte l’abbiano fatto con te all’inizio del tuo percorso. L’ho fatto anch’io a discapito di un amico d’infanzia. Non manca di rinfacciarmelo ogni volta che ci vediamo, quindi fidatevi: il karma mi ha già punito e l’ha fatto con interessi smodati. Comunque si diceva di cambiare argomento e lo faremo.
Sì. perché i tempi sono cambiati, la rarità delle carte è indicata sulla carta stessa e i relativi prezziari sono a portata di smartphone. Sì, ve ne ho già parlato, infatti la smetto. Il punto è che anche le aziende produttrici si sono messe al passo coi tempi, guarda caso.



Negli anni Novanta proliferavano i cloni di Magic, ne nascevano in continuazione, ad una velocità che aveva dell’allarmante. Per concepire gli Zerg di Starcraft probabilmente si sono ispirati al bancone dei negozi nerd dell’epoca, e in Italia il fenomeno era anche piuttosto limitato. Ricordo come se fosse oggi un mio viaggio in Inghilterra nei primi anni del nuovo millennio, quando probabilmente il tutto raggiunse il suo apice, fomentato anche dal fenomeno Pokémon. Nello stivale avevo acquistato praticamente lo starter di ogni gioco esistente, oltralpe e oltre la Manica la quantità di starter a disposizione superava di gran lunga la portata del mio portafoglio.
Curioso come tra questi titoli vi fossero anche il Richiamo di Cthulhu, Netrunner, il Signore degli Anelli, Warhammer, il Trono di Spade e tanti altri. I più attenti di voi hanno probabilmente già capito dove voglio andare a parare. Il punto è che ce n’erano tanti, veramente tanti; fin troppi. E infatti le loro teste hanno cominciato a cadere, una dopo l’altra sotto la mannaia della cessata stampa, mossa del boia successiva o contemporanea alla cancellazione di eventuale attività torneistica ufficiale.

Traditi dalle stesse aziende produttrici, spesso i giocatori portavano avanti la loro passione ugualmente con entusiasmo che durava nei mesi, anche negli anni, ma che prima o poi era destinato a svanire. Fino a un giorno. Un giorno in cui alla Fantasy Flight Games si sono svegliati e hanno fatto due conti. Qual è stato il fattore che ha condannato i CCG a crollare uno dopo l’altro in un impietoso domino inarrestabile? Probabilmente il peso economico e d’impegno che comporta quella prima C: il collezionabile. Uscite costanti, non sempre interessanti per tutti gli utenti e soprattutto vastissime oltre che costose. Sì, perché se anche poteva esserci qualcosa che ti serviva a ogni costo in una nuova uscita, ti toccava scavare in un mare di altra roba inutile prima di procurartela. E mica una sola poi! Nossignore, tre o quattro copie a seconda del gioco e delle necessità.


Insomma torniamo all’ufficio della FFG.
«Cosa possiamo fare per riproporre quei giochi, perché dannazione meritavano davvero, senza dover entrare nuovamente in quel giro di schiaffi economico smisurato?»
«Io c’ho un’idea» la voce stridula anche se appena schiarita d’un nerd in fondo alla sala «e se li travestissimo da Giochi da Tavolo?».



E così fu, nacquero i Living Card Game, che come il nome stesso suggerisce sono forse l’ultima forma vivente di gioco di carte. Che poi è pur sempre collezionabile, ma senza la follia legata alle sue prime incarnazioni. Sì, Magic è ancora vivo e vegeto, è stata l’apertura dell’articolo. Ma quanti altri possono dire lo stesso? Le eccezioni sono ormai pochissime e sfido oggigiorno a lanciarne uno nuovo e durare più di tre anni. Ovviamente aspetto i vostri commenti in cui mi dimostrate che sbaglio. No, ho detto oggigiorno, World of Warcraft ha avuto albori in tempi non sospetti quando i LCG non erano ancora completamente sdoganati.

Collezionabile, dicevamo, perché dopo la confezione base escono comunque delle piccole espansioni, ma lo fanno con un ritmo e una formula decisamente più gestibile. Innanzitutto la dimensione, una media di dieci-venti carte, spesso in triplice copia o comunque in numero sufficiente per non dover effettuare più di un acquisto, cadenzate ogni mese circa in confezioncine autonome che da sole rispondono a tutte le esigenze del giocatore e del collezionista. In effetti un colpo di genio. Il che ci riporta ai titoli snocciolati prima.
Il Richiamo di Cthulhu, Netrunner, il Signore degli Anelli, Warhammer ed il Trono di Spade sono tutti ottimi esempi di questa trasformazione e del rinnovato successo di pubblico riscontrato con essa.

Sì, bene, ok. E quindi? Quindi nulla, sull’articolo c’è il tag sapevatelo, è la solita arringa vuota. Fondamentalmente mi premeva rimarcare come una categoria di prodotti a me così cara sia stata mutata negli anni per trovare una formula vincente che le consentisse in qualche modo di sopravvivere agli eventi. Sorprendentemente mi è piaciuta e volevo invitarvi a farne la conoscenza. Sorprendentemente perché sono un tradizionalista, accolgo con scetticismo i cambiamenti. E se va bene a me…



Vi lascio con una speranza più che una considerazione. Tra tutte le droghe cartacee con cui ho inebriato la mia mente negli anni passati, d’una più di tutte sento mi pesi l’astinenza. Un gioco ormai defunto che ha significato tanto per molti di noi, uno sguardo rivolto ai tutori, all’assottigliarsi del fattore casualità. Oggi, come ogni giorno, metto un fiore sulla sua tomba, sperando che quel nerd alla FFG si schiarisca la voce e proponga di aggiungerlo alla lista dei soggetti da riportare in vita. La speranza, si sa, è l’ultima a morire.
Mi manchi, Vs System!




Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate.

martedì 28 maggio 2013

Videogiocatori usati, come nuovi



È stata una settimana dura, durissima, per chi segue con una certa regolarità le discussioni sui giochini elettronici nell'interwebs; la presentazione di xbox One è stata un tale fallimento mediatico da far parlare di sé per una settimana intera, una finestra di tempo enorme per gli standard da fast food dell'informazione online. Poche piattaforme al loro primo contatto con il pubblico, un momento in cui si dovrebbe entusiasmare il pubblico con poco, sono state salutate con pernacchie, lancio di pomodori pelati ancora nei barattoli e insulti sulle potenziali disfunzioni erettili dei presentatori come la nuova creatura Microsoft.
Vero, l'interwebs ha il vizio di prendere tutto sul personale e non conosce limiti alla propria vis polemica, ma le critiche alla macchina da gioco della casa di Redmond sono così universali da chiedersi se, tutto sommato, per una volta non siano tutte piuttosto fondate. Alcune sono più legate alla forma della presentazione, estremamente americanocentrica e focalizzata su servizi che poco hanno a che vedere con quella che dovrebbe essere la funzione principale di una piattaforma di gioco, cioè giocare.


Chiedere 5 dollari di Live al mese per sfruttare i 70 spesi per l'abbonamento alla tv via cavo, per giunta assolutamente funzionale senza bisogno di altri scatoloni fra le balle, è GENIO PURO.

Altre invece vanno a toccare più nello specifico il modo stesso con cui abbiamo sempre usufruito delle console e dei loro giochi. E là, specialmente là, le critiche non solo sono fondate, ma assolutamente sacrosante. Sono due i punti, per giunta vigliaccamente non esposti durante la presentazione ma lasciati svolazzare fra un cinguettio e l'altro di Twitter nelle ore successive, che hanno alzato un coro unanime di sdegno: la necessità di una connessione internet per autenticare ogni giorno il proprio account e il (semi)blocco al mercato dell'usato.
Ora, con molta calma e senza tirare BBBUGNI fortissimi contro il muro, tratterò soltanto il secondo.



Io non sono uno che compra parecchi giochi usati. Anzi, direi che è una cosa che non faccio mai, a meno che non si tratti di qualche perla di retrogaming. Né ho mai portato roba che non uso più in qualche negozio in cambio di cash o sconti su nuove uscite, ché ho sempre pensato che alla fine mi convenisse meno di quanto potesse sembrare a primo acchito.
Ciò detto, l'idea di ammazzare il mercato dell'usato con licenze a singolo uso, o nella migliore dell'ipotesi con una decina di dollari di "tassa sull'usato" su ogni copia di seconda mano, è disgustosa, limitante e, personalmente, contraria a qualsiasi etica commerciale. Ne parlai qualche mese fa, se vi ricordate. Se non ve lo ricordate, dateci un occhio. Parla di Barbapapà, ma soprattutto spiega già subito perché sia una cosa sinceramente immorale.
E non pensiate che stia parlando di Microsoft, che ritengo poco più dell'ambasciatore di una proposta che circola in certi ambienti da almeno un lustro; niente mi leva dalla testa che questa ideuzza non sia di qualche droide protocollare di stanza a Redmond, ma piuttosto di simpatici colossi dell'entertainment come Ubisoft, EA e Activision. Sono loro e soltanto loro che da anni provano in tutti i modi a fotter massimizzare i propri introiti su ogni copia fisica presente sul mercato, sono loro che sono venuti fuori con gli Online Pass, i DLC nei negozi il giorno dell'uscita, le edizioni limitate che valgono quanto un gioco liscio di dieci anni fa, i preordini e le microtransazioni in giochi da settanta euro che, per definizione, non ne avrebbero proprio bisogno (ho già fatto una transazione e col piffero che era micro; ora voglio tutto e lo voglio subito).



Questi colossi non sono cattivi, intendiamoci. Sono semplicemente stupidi. Hanno una visione del mercato così ottusa da non capire perché continuino a perdere soldi. Non si mettono seduti al tavolo e si chiedono cosa abbiano sbagliato in fase di progettazione se un gioco che ha venduto milioni di copie come Tomb Raider sia un fallimento economico, non prevedono come certi franchise siano destinati naturalmente al declino quando sovrasfruttati né cambiano le proprie strategie d'uscita quando al terzo fps militare producono meno introiti di un concerto di Nilla Pizzi.
Loro non sbagliano. Voglio dire, pagano centinaia di migliaia di dollari professionisti che spieghino loro perché sono i migliori al mondo nel settore.
Sono piuttosto gli altri, sempre gli altri, che stanno rubando loro denaro. E quindi mena Blockbuster che noleggia i giochi. E quindi picchia il pirata che pirata. E, infine, rompi le ossa al tipo che tira su dieci euro con la sua copia di Call of Battle 15 e alle catene di negozi che hanno la faccia tosta di fare business sul mercato dell'usato invece di morire in silenzio, visto il margine di guadagno su ogni copia nuova venduta (due euro su settanta; fate voi).
I publisher sono sull'orlo del precipizio, con un mercato che rischia di implodere come negli anni Ottanta portandosi un sacco di gente con sé, e l'unica soluzione che hanno trovato per respingere il fantasma della contrazione del mercato è stata cancellare ulteriori diritti al consumatore, annichilendo nel processo l'indotto creato dalla compravendita di titoli usati. Stanno barattando la nostra libertà di consumatori e, scusatemi la demagogia, migliaia di posti di lavoro per qualche anno in più in prima fila sull'abisso, come se il vuoto che li risucchierà prima o poi si sposti da solo se resistono abbastanza.

E ora aspettiamo l'E3. E le sorprese che temo arriveranno da parte di altri ambasciatori. Intanto, con garbo e discrezione, rispolveriamo le nostre cartucce del NES. Che provino a levarcele, se hanno il coraggio.

lunedì 27 maggio 2013

Action Figures, che passione!

«Seint83, parli sempre della tua frustrazione sessuale, ma come mai non quagli?» 
«Hai presente camera mia? Hai presente la collezione di farfalle, vecchio stilema del broccolatore? Ecco, anche io ho una collezione, una di quelle di cui però ti devi vergognare come un cane se speri di avere dei rapporti con persone che non facciano parte della confraternita nerd!» 
«Ah, stai parlando di...» 
«Esatto: action figures.»

Ebbene sì, signore e signori, il vostro caro autore è da parecchi anni che colleziona quelli che volgarmente vengono definiti pupazzetti, ma che agli occhi dell’esperto hanno il nome di action figures, e sì, signore e signori, sono uno di quelli che non li toglie dalla scatola! (Fischi da parte del pubblico.)

Orbene, cosa spinge un uomo di oramai trent'anni a investire le sue scarse finanze in pezzi di plastica? 
La giustificazione morale che di solito si dà un collezionista è quella di investire in pezzi di valore, che con gli anni aumenteranno di costo diventando un vero e proprio capitale, ma, a differenza di quell’orribile film 40 anni vergine (ringrazio le mie ex-morose che mi hanno impedito di finire nella categoria, ma che in cambio mi hanno aiutato a collezionare psicofarmaci e sedute di terapia comportamentale), un vero collezionista non rinuncia alle sue action figures, né ora né mai.  
Alcuni scelgono un personaggio, come Superman o Batman, e pedissequamente cercano in giro per le fiere del fumetto tutti i pezzi prodotti in suo onore; altri, come me, preferiscono prendere quelle che li ispirano, magari con una predilezione per un personaggio – che ne so, Lanterna Verde – e hanno delle collezioni meno tematiche ma più fantasiose. 

Dato fondamentale per definire il vero collezionista, oltre a essere vera croce quando ci si rapporta con il mondo reale, è il fatto che i tessssori debbano rimanere dentro le loro confezioni. 
"Perché?", chiederanno solitamente i profani. Qua le risposte variano dall’economista che sostiene che “fuori dalla scatola perdono di valore” – non chiedetemi perché, chi lo scoprirà forse prenderà un Nobel, fatto sta che se cercate l’action di Larfleeze su eBay vedrete differenze epocali tra quella protetta e quella loose – all’uomo di fede che solitamente sostiene che «non lo so, è così e basta».

Ora, oltre ad essere un ottimo anticoncezionale, le action figure spingono l’animo del nerd verso un livello superiore. No, non intendo spiritualmente, ma proprio geometricamente. Se nel mondo dei comics possiamo ammirare i nostri beniamini solo in due dimensioni, i pupazzetti ci permettono di aggiungerne una terza; vi posso assicurare che, se di buona fattura, vedere alcuni personaggi nella gloria del 3D,  senza bisogno poi di stupidi occhialetti, è una goduria immensa.

E poi per noi, nati negli anni Ottanta, cresciuti con He-Man e i G.I. Joe, c’è anche un fattore da viale della Memoria: in quel periodo i pupazzetti erano pupazzetti e per noi avevano un valore puramente ludico, tanto che poi diventavano un’eredità da lasciare ai fratelli più piccoli o agli amici di famiglia o ai bambini che non potevano permettersi giocattoli (dannata famiglia di sinistra! Berlusconi, sei arrivato troppo tardi per salvare i miei Masters of the Universe dal comunismo!). Peccato che crescendo ci siamo pentiti di non averli tenuti e quindi buttarsi nel mondo del collezionismo è un modo per rivivere la nostra infanzia, quando ci emozionavamo per il nuovo He-Man, quello con le ginocchia snodabili.
Insomma, saranno una cosa che molti dei nostri amici non nerd non capiranno, saranno una cosa di cui vergognarsi (e se vedete le foto in questo articolo, che sono di camera mia, capirete che non è proprio un ambiente virile e sexy), ma alla fine non posso che ringraziare chi ha avuto l’idea di creare dei semplici pezzi di plastica, che in fondo ci permettono di provare la gioia, anche in età avanzata, di essere un po’ bambini.

venerdì 24 maggio 2013

Real Life "Fucking" Super Heroes: Parte Terza

Sono appariscenti. Sono eccentrici. Sono affascinanti, minacciosi, ridicoli. Sono coraggiosi, generosi, altruisti. Sono probabilmente pazzi e non del tutto stabili psico-emotivamente.

SONO DEI CAZZO DI SUPEREROI.

Per davvero.


Real Super Heroes doing Good



Ok eccoci di nuovo.

Ci avevi promesso la Chinese Redbud Woman! Vogliamo la Chinese Redbud Woman!

Avete ragione ragazzi, è vero. Ma lo sapete come sono: scrivo in un italiano gradevolmente corretto (o, almeno, mi piace pensarlo), spesso uso delle parolacce divertenti, talvolta mi ritrovo financo a discettare di argomenti suppergiù interessanti, ma poi finisce sempre che tento di menarvi per il naso sparandovi a bruciapelo foto di avvenenti donzelle, consapevole della vostra debolezza in materia…
Ad ogni modo ogni promessa è debito, quindi si comincia.

Chinese Redbud Woman

La vera Chinese Redbud Woman. Oppure no?
Nel maggio del 2011, a Hong Kong, compare per la prima volta per le strade un'eroina mascherata, che porta conforto alla povera gente, distribuendo vestiti e soldi e, be'… portando un po' di brio, ecco.
Di lei nulla si è saputo e nulla si sa, tranne il nome che si è scelta: Chinese Redbud Woman, che in italiano suona più o meno  Donna Cercis Chinensis o Donna Pianta Parente Della Magnolia Che Esiste Solo In Asia E Fa Dei Bellissimi Fiori Rosa. È una dei pochi R.L.S.H. ad aver mantenuto saldamente segreta la propria identità.
A distanza di pochi mesi, tuttavia, una sua emula (quella qui accanto, oppure no) appare per le strade di Pechino, forse sua erede spirituale, forse opportunista sfruttatrice dell'altrui popolarità. Ha mutuato dall'originale nome e costume, ma è mediaticamente assai più attrezzata, documentando le sue imprese umanitarie su un piccolo blog personale, che riscuote subito parecchio successo.
La Chinese Redbud Woman non spicca per storia o avventure particolarmente brillanti all'interno della comunità dei Real Life Superheroes, ma va detto che è forse l'unica attiva in Asia. E ovviamente, be', ecco, che ha un impatto estetico di un certo rilievo. Sarà mica per questo che in Cina stanno per farci un film?
La sua figura ha generato discussioni e divergenze di vedute e opinioni nel web fin dall'inizio, come conferma una selezione randomica di commenti ai post del suo blog:

«What a body…»

«This is another kind of charity, sexy charity.»

«For sure her motivation is to become famous. Is it necessary to dress like this when doing good?»

«Her breasts are really big.»

Visto che la buona samaritana d'oriente è stata inserita come palese mezzuccio, non faccio il lavoro a mezzo servizio e, prima di passare a un pezzo da novanta come Master Legend, vi lascio una foto dell'attrice che la impersonerà nel film.

Chrissie Chau interpreterà Chinese Redbud Woman nell'imminente film. Direi che ci siamo.

Master Legend

Master Legend
Master Legend è un pezzo grosso. Fumettisticamente parlando, è il Real Life Superhero più completo di tutti: combatte il crimine, aiuta i deboli e la sua identità è ancora segreta dopo quasi trent'anni di intensa attività. Ha poteri magici e sfida tanto i malviventi per le strade quanto gli spiriti maligni sul piano astrale. E in tutta questa frenetica attività, quanto gli avanza un attimo di tempo, suona la chitarra in un complesso metal e si dedica a qualche guarigione mistica.
È uno dei pionieri del movimento R.L.S.H. e ha  delle origini da manuale.

Cresciuto a New Orleans, figlio di due pendagli da forca, ebbe un'infanzia a base di molestie e violenza.
Stando ad alcune interviste rilasciate da Master Legend, suo padre un giorno uccise il suo cane, poi ne fece una zuppa e lo costrinse a mangiarla. Cane o non cane, quel che è certo è che il padre era un alcolizzato violento, che ebbe la bella pensata di suicidarsi quando il giovane Master Legend aveva quattordici anni. L'anno dopo la madre lo disconobbe e lo cacciò di casa a pedate, così si ritrovò a stare con la nonna, una creola praticante del voodoo, che gli insegnò «a distinguere il bene dal male», e un sacco di sistemi mistici per tenere le due cose ben distinte.
Qui la storia inizia a farsi interessante e iniziano a partire le palle di fuoco, anche se l'eroe mascherato che covava dentro il piccolo Master Legend si era già manifestato da un pezzo. Il tutto, ovviamente, va attribuito al ritrovamento di un pacco di fumetti di supereroi nella spazzatura, divenuti immediatamente il testo sacro e la fonte di ispirazione del nostro eroe.
In terza elementare, con i resti di una t-shirt e un paio di lacci, Master Legend si fabbricò una maschera e una casacca che teneva nello zaino. Quando i bulli della scuola vessavano i bambini più deboli e timidi, il piccolo Master Legend si cambiava di soppiatto, per poi saltar fuori all'improvviso, sgominare i prepotenti, sparire immediatamente e ricomparire, di nuovo vestito normale, sui banchi di scuola prima che chicchessia potesse capire cosa fosse accaduto.

Seguendo gli insegnamenti della nonna, Master Legend apprende i misteri del voodoo, studiando parallelamente la stregoneria e altre arti mistiche.
In un'intervista, che trovate qui (e vi consiglio di vedere anche la seconda parte, perché non potete certo perdervi la dimostrazione dell'Iron Fist e del Master Blaster), Master Legend racconta di quando andò in pellegrinaggio al cimitero di St. Louis, a pregare sulla tomba della grande Mambo Marie Laveau per ottenere la concessione di superpoteri con cui poter meglio fronteggiare le forze del male lungo le strade, che pattuglia ormai dall'età di sedici anni.

Master Legend, Ace e Captain America
Master Legend è il leader della Justice Force, la lega di R.L.S.H. operante nell'area di New Orleans e St. Louis, nonché uno dei fondatori di Team Justice, la prima organizzazione no-profit di supereroi della storia.
Con il suo fidato sidekick Ace, ha combattuto un sacco di battaglie, nel corso delle quali è stato accoltellato svariate volte e ha collezionato ben due proiettili in corpo. I due collaborano da diverso tempo e dividono il loro super-tempo tra la lotta al crimine pattugliando le strade, l'invenzione di congegni e armamenti finalizzati alla propria missione e le iniziative umanitarie. Master Legend inoltre impiega il tempo dedicato al sonno per combattere gli spiriti maligni sul piano astrale.
Tra le dotazioni di Master Legend non possono non essere citati l'Iron Fist, ovvero una struttura di metallo che copre l'intero avambraccio e che sfonda con estrema facilità i blocchetti di cemento, e il Master Blaster, ovvero un cannone di un metro e mezzo che spara proiettili di ogni tipo, tra i quali anche contenitori in plastica delle sorprese delle uova di Pasqua farciti con peperoncino e altre spezie da guerriglia. 

Master Legend impugna il Master Blaster nella Master Cave

In ambito umanitario una menzione speciale va alla "missione calzini": Master Legend ha infatti riscontrato come le organizzazioni umanitarie distribuiscano ai senzatetto vestiti, coperte e, talvolta persino scarpe, ma siano sempre gravemente manchevoli di calzini. Master Legend porta i calzini a coloro che non ne hanno.

Be', ci sarebbe da scrivere per ore su questo impavido genio di Master Legend. Vi sembra un buffone sparacazzate o, peggio, un povero squilibrato che non riesce a distinguere fantasia e realtà? Potreste avere ragione, in effetti è molto probabile che almeno una delle due cose sia vera.
Ma oltre a questo Master Legend è un simbolo.
È conosciuto e molto amato e rispettato dalla sua comunità.
Dedica la sua vita da quasi trenta anni a questa assurda missione.
Ha ricevuto una menzione d'onore dal dipartimento dello sceriffo di Orange County per aver contribuito, insieme all'inseparabile Ace, a ripulire le strade e cercare e soccorrere i dispersi dopo l'uragano.
E nella zona di Orlando ci sono un sacco di senzatetto con i piedi caldi anche d'inverno.
Decidete da soli cosa ha più peso, siete grandi ormai.

La prossima volta, come al solito, vi parlerò di altri super eroi senza super poteri ma con super qualità, e, siccome sono e rimango il solito cafone di sempre, tra questi vi parlerò anche di lei:

The Handler






















giovedì 23 maggio 2013

Spam per amore: I racconti dei Demiurghi



Il legame fra scrittura creativa e giochi di ruolo è vecchio quanto, be', i giochi di ruolo. Vi sarà capitato di partecipare a una campagna particolarmente brillante e, alla sua degna conclusione, alzarvi in piedi con aria trionfante gridando: «Giovani, è venuto il momento di vergar su carta tali mirabolanti imprese, poiché non renderle di pubblico dominio è senza dubbio un crimine contro l'umanità tutta!». Oddio, forse non vi siete mai espressi con queste parole o con questa enfasi, ma è assai probabile che concetti del genere vi siano frullati nella testa una volta o due.

Quando l'ambientazione creata per l'occasione funziona perfettamente e i giocatori si rivelano estremamente credibili nell'interpretazione dei propri personaggi, spesso il risultato è narrativamente così solido e affascinante da chiedersi come una storia collettiva, nata poi in maniera così spontanea, possa raggiungere tali livelli qualitativi. 
Siam tutti potenziali romanzieri, allora? Ha-ha-ha. Per favore, cercavo di essere serio, per una volta. Ovviamente no, non siamo tutti potenziali romanzieri; non esistendo ancora marchingegni capaci di estrapolare le nostre suggestive esperienze ruolistiche direttamente dal cranio per riversarle poi su Word, non tutti (leggasi: praticamente nessuno) hanno l'abilità o la pazienza per convertire una storia orale in una rigorosa struttura narrativa su carta.
Ciò detto, fra i pochi fortunelli dotati di abilità e pazienza sufficienti per lo scopo, possiamo nominare certamente i Demiurghi (Elios Tigrane, Azia Medea Rubinia Antinea e la divina Bastet al calamo e alla redazione; il Magister Grafitarum Andrea Tentori Montalto alle illustrazioni; Ivar Ragnarson al fantasy tradizionale e il misterioso Magister Ludicum al design del loro gioco di ruolo). 

Le illustrazioni presenti in questo articolo sono di Andrea Tentori Montalto.



Chi sono i Demiurghi, mi chiedete? Un collettivo di autori. Sì, un altro. Che vi devo dire, noi mortali litighiamo su quale pizza d'asporto ordinare con gli amici, mentre i nostri ospiti sembrano dotati sempre di menti talmente ben accordate da poter lavorare collettivamente su processi intimi e delicati come la scrittura creativa.
E cosa fanno, i nostri Demiurghi? Principalmente scrivono racconti, tutti ambientati nello stesso universo. No, niente lande fantastiche dai nomi anglosassoni, niente elfi, nani e orchetti-che-bruciano-i-villaggi-lasciando-orfani-desiderosi-di-vendetta-e-avventure. Siamo invece a casa nostra, nell'Europa controllata dalla splendente Roma, durante quella che viene comunemente chiamata la crisi del terzo secolo; Diocleziano sale al potere e si trova di fronte un Impero mai così esteso e allo stesso tempo fragile, con instabili equilibri di potere interni e pericolose rivolte barbare esterne. Nelle sue mani è il destino di una delle più grandi civiltà classiche e le sue scelte avranno ripercussioni sul futuro di milioni di persone.

«Ma Nedo, non parli in genere di fantastico?» Sì, infatti. Fatemi finire. L'Impero Romano dei Demiurghi è simile a quello che possiamo studiare nelle cronache del tempo, ma alcuni avvenimenti che hanno delineato il futuro di Roma non sono mai accaduti e altri hanno avuto esiti diversi da quelli ufficiali. Si tratta, insomma, di una vera e propria ucronia, con la Storia che mette la freccia a destra e svolta verso strade ancora non battute. 
Una di queste strade, la più importante in questo caso, ci porta a domandarci cosa sarebbe successo se Diocleziano, per difendere Roma dai tanti pretendenti al trono e dai tanti pericoli nascosti nei più remoti angoli dell'Impero, avesse creato un'organizzazione segreta detta Specula, formata dalle migliori menti e dalle migliori spathae che il regno potesse offrire.
Proprio il braccio armato della Specula, la Legio M Ultima, è il protagonista dei racconti dei Demiurghi; le donne e gli uomini che hanno donato la loro vita e la loro assoluta ubbidienza all'Impero ci accompagneranno in un interessante tour fra i luoghi più pericolosi ed esotici dell'antichità, sfidando i nemici di Roma e, alcune volte, dell'umanità tutta.
«Ma Nedo, ma dov'è il fantasy, allora? Hai detto che non ci sono elfi e nani e tutto il resto.» Oh, ma voi zitti mai, eh? I nostri ospiti hanno detto no a (quasi) tutte le influenze nordiche, ma i miti e le leggende mediterranee sono alla base di gran parte delle avventure della Legio M Ultima, donando quel tocco di magia e mistero che, insomma, male non fa.

Questo è Domiziano. "Ciao, Domiziano!"


Vi ho incuriosito? Sì che l'ho fatto, non mentite. Per evitare di scrivere per altre sette ore, vi consiglio di dare un occhio al blog dei Demiurghi, dove troverete i loro racconti, i loro disegni e degli interessanti approfondimenti storici ed archeologici (i ragazzi hanno studiato, ve lo dico io).



E ora è il momento de

LA SOLITA INTERVISTA SCONCLUSIONATA DI NEDO

Nedo: Come i supergruppi, anche i collettivi di scrittura hanno una genesi, no? Magari ci sono meno sieri del supersoldato o raggi cosmici o nemici terribili con i poteri cattivi di menare, ma insomma, il risultato è lo stesso. Come vi siete incontrati e, soprattutto, come vi è venuta in mente l'idea dei Demiurghi?

Risponde BastetDunque, è partito tutto da Azia ed Elios che si conoscono praticamente dalla notte dei tempi (e visto che Elios è di Atlantide, non è esattamente un eufemismo): il primo nucleo di idee è nato anni fa proprio da dei brani tratti dalle sessioni di Lex Arcana giocati da loro due. Questo, combinato con la passione per il fantasy e con l'amore viscerale per la storia romana  e più in generale, del mondo antico  ha dato vita al progetto Demiurghi.
La struttura di base dell'ambientazione è nata durante infinite sessioni di gioco di ruolo, (Lex Arcana, AD&D modificato, Awesome Adventures et al...) pranzi luculliani, notti insonni, panini al volo e sms... coinvolgendo pian piano la sottoscritta prima come consulente storico-religiosa e di costume e poi come scrittrice a tutto campo (in realtà Elios mi ha trovata miagolante, affamata e zuppa di pioggia dietro a un portone e mi ha adottata). Per il Magister Grafitarum, al secolo Andrea Tentori Montalto, invece la cosa è diversa. Illustratore e fumettista amante del fantasy, appassionato per forza di cose di Roma Antica  vivendo nella capitale o la ami o la odi, due le cose!  l’incontro con noi è stato molto semplice ed esaltante.
Per il nostro Magister Ludicum le cose sono andate ancora diversamente: appassionato di gioco di ruolo e di cosplay, ha trovato curioso il nostro connubio. Poi pare gli sia piaciuto, dal momento che un giorno sì e uno anche ci delizia di qualche nuova idea esordendo con «stanotte pensavo che...». Se ve lo state chiedendo: non lo sappiamo, ma abbiamo buoni motivi di credere che sia un vampiro, visto e considerato il suo pallore e che sembra non dormire mai!
Dai raccontini e dalle sessioni di gioco è nato il blog, dal blog la pagina Facebook...il resto è tutto da leggere, e il concetto che sta alla base di tutto è, per dirlo alla nostra casereccia maniera, che ce piace a tutti er fèntesi e Rrroma.

È facile condividere una visione comune fra più persone? Quante suppellettili, virtuali o meno, sono volate contro le pareti per trovare un terreno comune su cui costruire il progetto?

Facile? No, non lo è affatto. Però lo diventa, nonostante qualche inciampo lungo la strada. Mi spiego meglio: all’inizio è tutto bello e tutto figo, uno lancia un’idea e gli altri ci si buttano sopra a pesce, con tutto l’entusiasmo. Poi, con il trascorrere degli anni, si sente l’esigenza di mantenere il confronto e crescere, approfondire, migliorare. Lungo questo percorso alcuni dei "fondatori", per così dire, si son tirati indietro, altri hanno proseguito e altri ancora si sono aggiunti. E non è mai stato facile, perché nel frattempo il materiale non ha mai smesso di aumentare, cambiare e migliorare.
Quello che ci ha sempre caratterizzato è stata la capacità di esaltarci a vicenda, completare il quadro gli uni degli altri, anche se non son certo mancate le diatribe in materia, alle volte anche piuttosto accese. E... be', io credo di aver perso il conto delle volte in cui siamo finiti a tirarci dietro roba, e siamo gente che con i coltelli da lancio ci sa fare.
Però alle volte con i coltelli venivano fuori delle cose interessanti sulle pareti e riuscivamo ad avere tutti una visione da cui partire a esaltarci e tirar fuori nuove idee. La maggior parte delle volte, le migliori caratterizzazioni ci son venute fuori così, per gioco.
La nostra fortuna è di poterci dedicare ad aree di competenza interdipendenti, ma che non si sormontano (non troppo almeno) e quindi siamo, anche se con l’acqua alla gola (e qui a Venezia è una cosa preoccupante) in grado per ora di affrontare le così tante porte che ci si sono aperte, imboccandole tutte contemporaneamente senza per nostra fortuna dover per forza di cose fare delle scelte. Per il futuro... speriamo di riuscire a tener botta a tutto!

In totale controtendenza con gran parte della narrativa fantastica contemporanea, avete preferito basare il mondo della Specula su l'antica Roma. Certo, grandissimi autori, specialmente negli anni Ottanta, sono diventati famosi per saghe ambientate in uno dei nostri pochi momenti storici in cui la gente non ci prendeva in giro per quel fattaccio di pizza, mandolino e mafia, ma nondimeno rimane una scelta interessante. Me la vuoi spiegare? Anche romanzandola, se ne hai il coraggio. Ha!

Non te la posso romanzare altrimenti l'articolo lo scrivi tra due anni minimo, considerato il livello di perfezione paranoica che tendiamo a infliggerci tra di noi e a noi stessi.
È appunto cominciato tutto da Lex Arcana, gioco di ruolo basato nella Roma antica per cui Azia ed Elios hanno fatto da beta-tester. Poi, siccome per loro era un po’ stretto di regole e ambientazione, e siccome non si voleva scopiazzare, è partito lo studio del periodo storico migliore, la strutturazione di questo corpo paramilitare e tutto quanto ne viene poi di contorno. Perché, si sa, quando le cose ti piacciono, sono come le ciliegie: una tira l’altra. E allora ecco l’ucronia (sempre in evoluzione), ecco le classi dei cattivi, ecco i mostroni da ammazzare, e via discorrendo. Quando a questo si è aggiunta la mia passione personale per i miti e le religioni del mondo antico, ci siamo accorti che c'erano troppe ottime potenzialità per non svilupparle: non sarebbe stato un fantasy con i soliti draghi, elfi, nani e troll, ma c'erano gli intrighi della corte degli imperatori, un Impero grande e variegato minacciato sui confini, fedi diverse in lotta e convivenza, genti e culture di ogni genere... e i mostri? Scilla e Cariddi (per prenderne due a caso) credetemi, non hanno nulla da invidiare a un tarrasque. 
Fu così che i personaggi iniziarono a raccontarci le loro storie.. .una cosa che abbiamo in comune è che spesso ci sentiamo come "usati" da loro per uscire e prendere vita con la scrittura.

 «No, Nedo, lo so che stai per fare quella domanda. Dài, quella domanda là che sembra che c'hai il dente avvelenato, mannaggia a te.» Sì, esatto, parlerò ancora di editori e scrittori emergenti. Qual è la vostra esperienza con il mondo editoriale dello Stivale? Avete già provato a far pubblicare i vostri racconti in un formato fisico? Quali sono le vostre esperienze in merito? Prendo i fazzoletti o per una volta mi date qualche buona notizia?

Be', comincia con il prendere i fazzoletti. L’esperienza è stata tragicomica: da un silenzio assoluto a un «be', se paghi...» al passaggio obbligato attraverso il self-publishing. Questo in realtà è partito inizialmente come sfizio personale di Azia con un suo racconto lungo, Domine et Serva, poi Elios ha voluto seguirne le orme ampliando un racconto che è diventato un romanzo attualmente in elaborazione, Una vita, mille vite, di cui abbiamo apposita pagina su Facebook che aggiorniamo a ogni morte di papa, in pratica. Però dalla sinergia dei due è partito il tutto, forse anche galvanizzati dall’esser arrivati dritti sul podio ex aequo al terzo posto di un concorso nel 2010 con questi due racconti. Il pensiero è stato: "forse non scriviamo poi così male..."
Attualmente abbiamo all’attivo un eBook "da viaggio", come amiamo definirlo, Requiem, che è una mia creatura; sta per uscire sempre in eBook la nuova edizione rivista, corretta e ampliata di Domine et Serva di Azia e per settembre sempre un altro racconto lungo della nostra vulcanica rossa.
E giungiamo infine a... ecco! Squilli di tromba, rullo di tamburi! Una grossa casa editrice nazionale (non facciamo ancora nomi, nulla è ancora stato definito) che, valutati questi nostri primi scritti, ci ha espressamente chiesto un lavoro organico e organizzato in antologia che ci è costato un anno e mezzo di lavoro e che attualmente è al vaglio della loro redazione. Dal momento che l’editore sembra essere molto ben predisposto, abbiamo buone speranze di vedere pubblicato ufficialmente qualcosa di nostro nel prossimo anno. Speriamo...
Parte della nostra esperienza negativa comunque sono state le case editrici che si fanno pagare per pubblicarti, e la cosa triste è che leggendo alcuni libri pare che nemmeno offrano un editing decente. Altro punto negativo gli autori che si autodefiniscono i nuovi Tolkien, Martin o Salgari, dimenticandosi l'umiltà che sta alla base di questa passione e puntando tutto sulle vendite o sui commenti di critici compiacenti.

Avete anche un Magister Ludicum! No, cioè, che figata. Avete già qualche progetto in cantiere per un gioco di ruolo fatto e finito? Posso giocarci, tipo ora? Voglio roteare daghe e parlare nel mio pessimo latino!

Per il momento, per tutti quelli che vogliono spolverare il dizionario di latino e menare colpi di gladio è possibile giocare con un’ambientazione generica esplicata sul forum di dragonisland.it dove attualmente stiamo tenendo un Play by Forum!
Sempre di gioco di ruolo si tratta, ma molto più narrativistico e consente di approfondire un’introspezione dei personaggi che alle volte al tavolo non si riesce a raggiungere. Per nostro personale diletto questa ambientazione  strutturata da Azia ed Elios, sempre loro  l’abbiamo usata sia con il regolamento di AD&D Second Edition, sia con il gioco indie Awesome Adventures, con notevole divertimento.
Il nostro Magister Ludicum é l’ultimo acquisto dei Demiurghi, profondamente appassionato di GdR e giochi in generale.
Una cosa tira l’altra e grazie all’onnipresenza di Azia (le cui capacità di admin, blogger, promoter e quant'altro si combinano notevolmente bene con i poteri di teletrasporto della sua spada), siamo entrati in contatto con la realtà ludica di Acchiappasogni e del loro Destino Oscuro: ne è nata una bella collaborazione e molto probabilmente nel 2014 potremmo vedere l'uscita ufficiale   rigorosamente sotto il marchio "I Demiurghi"  del primo volume dell’ambientazione della Specula per il GdR Destino Oscuro.

Visto che laggente ha sempre furia e ci piace Twitter, in centoquaranta caratteri spiegate ai nostri severi lettori perché dovrebbero seguirvi d'ora in poi.

Azia: Cioè... con i wall of text di risposte che ti abbiamo dato, tu pensi davvero che noi siamo in grado di rispondere in soli 140 caratteri? Ahahah!
Elios: Perché con noi ti diverti, ti svaghi e impari al tempo stesso. Siamo italiani e amiamo l'Impero!
Bastet: Per un nuovo modo di vedere la Storia. Per sognare sulle onde del Mare Nostrum o tra le colonne dei Fori. Per amare di nuovo la nostra terra.
Magister Ludicum: Fantasy, amore, avventura, azione, mistero e Roma antica... serve altro?



Be', è stato una roba breve, no?
Vi ricordo nuovamente di visitare il loro blog e, se non puzzate, dovreste darvi una bella letta al loro primo ebook, Requiem
Ora vado a ordinare una pizza, rigorosamente da solo.

mercoledì 22 maggio 2013

Enascentia - Il Processo Creativo



Nedo: «Deo, ma tu non stavi tipo scrivendo un libro?».
Io: «Beh sì, mi fa piacere tu abbia letto la firma».
Nedo: «Ti andrebbe di buttare giù un articolo sul tuo processo creativo?».
Io: «Appena capisco cos’è, volentieri».

Oggi ho capito cos’è. O meglio, oggi ho deciso di cosa voglio parlare, a prescindere da cosa volesse realmente chiedermi Nedo con quella domanda, rischiando addirittura di avvicinarmici. Oggi ho deciso da dove cominciare: dall’inizio. Pensate un po’ che tipino anticonvenzionale.

Il mio sogno nel cassetto è sempre stato scrivere un romanzo fantasy. Un pensiero così stereotipato tra gli appassionati del genere da vederli spesso comprare un cassetto esclusivamente per poterci mettere dentro questo sogno. Non so esattamente quale procedimento mentale si origini nella mente del lettore, se sia più dovuto all’entusiasmo per il genere così troppo più grande da sentirsi quasi in dovere di contribuire alla prolificazione dello stesso, se sia più legato all’ispirazione intrinseca che porta con sé la scoperta di nuovi mondi, nuove razze e nuove “regole” che governano gli universi così generati, o ancora se intervenga quella vena polemica macchiata anche da un goccio di presunzione che porta a dire “ma io avrei cambiato questo, tolto quello, introdotto quell’altro”.



Spesso il cassetto rimane poi chiuso per talmente tanto tempo da dimenticarsi dove sia la chiave. A volte custodisce già un manoscritto, più spesso poche pagine, ancor più spesso solo una bozza e talvolta un post-it con su scritto «ti devo una trama». Io ho perso e ritrovato la chiave diverse volte. Una in particolare è degna di nota, l’ultima, quella che poi mi ha anche spinto ad aprirlo il fatidico cassetto. A buttare il post-it e iniziare da lì.
Quella chiave si chiama Roberto, un mio caro amico d’infanzia. Uno di quelli con cui giocavo a una brutta copia stentata di D&D live solo con la fantasia. Coi grembiuli al posto dei costumi. A otto anni. Senza sapere cosa fosse D&D.
«Uff Deo, ancora sta storia; ce l’avevi già raccontata qui
Bravi, siete stati attenti. In ogni caso lui era un componente di quel gruppo, formatosi a ricreazione nel giardino delle elementari. A distanza di anni, almeno venti direi, abbiamo avuto modo di risentirci grazie a quei social network che tanto ho disprezzato in passato ma che in occasioni come questa, poche senz’altro ma non per questo meno importanti, son stato contento di aver creato l’account.

«We Deo, come te la passi? Ancora perso tra maghi e guerrieri?»
«Oh Roby, quanto tempo! Eh sì, gli anni son passati ma le passioni son sempre le stesse.»
«Bene. Io nel frattempo ho aperto una casa editrice. To’, ti lancio una chiave, riapri il cassetto.»
[Nota: potrebbero non essere le testuali parole della conversazione]

Ma forse vi siete anche stufati di sentire i casi miei e preferireste sapere qualcosa di più sulla creazione del mondo fantasy, a partire dal nome: Enascentia. Da dove ho cominciato? Sicuramente non dal nome. Quello ho dovuto tirarlo fuori il giorno prima della pubblicazione del primo capitolo. Tra l’altro è stato merito di un altro caro amico; se non fosse stato per la sua illuminazione avrei continuato a brancolare nel buio.
Ho cominciato ponendomi delle domande. La prima domanda è stata: come attirare l’attenzione di un lettore? Nessuna risposta. Allora mi sono chiesto: voglio avventurarmi in un fantasy classico o cambiare un po’ le carte in tavola? Per sapere cosa penso del fantasy classico oggigiorno, mi spiace ma dovete ribeccarvi il solito link di prima. La risposta a entrambe le domande era la stessa, ossia rompere gli schemi. Creare un universo nuovo, composto da nuove razze, nuove regole e un nuovo punto di rottura che originasse interesse e possibilmente facesse ruotare attorno a se stesso tutte le altre novità introdotte.
Si, perfetto, ma quale? Perché non rompere un cardine così importante da sconvolgere la normale narrazione dei fatti? Ora devo solo trovare qualcosa che abbia stufato, un cliché trito e ritrito da poter eliminare e generare interesse attorno a questo sconvolgimento.

Pensa Deo, pensa… La magia? No, via, la magia piace e poi chi vuoi prendere in giro, è tra le cose che ti affascina di più dell’ambito fantasy. Poi la magia va, anche solo in forma estremamente semplice, à la Harry Potter, ma piace. I combattimenti? Si vabbè, ora l’hai proprio sparata a caso, eh? La gravità! Un mondo di esseri fluttuanti! Sì, ma a che pro? Che spunto narrativo ti danno gli esseri fluttuanti? Al massimo ci puoi fare una razza che governa le leggi della gravità, ma che sia così per tutto il mondo ce n’è proprio bisogno?
Ma poi chi ha detto che deve essere per forza un cliché fantasy? Può tranquillamente essere un cliché della narrazione in generale. Ci sono un sacco di cose che comincio a non sopportare più da quanto sono stereotipate. Lo sterminio di intere popolazioni lasciato sullo sfondo a favore di un presunto lieto fine solo perché viene salvato il protagonista col quale l’autore ti ha fatto familiarizzare fino a quel momento, per esempio. Cristo, ma lieto fine di che, sono morti in settordicimila per ’sto demente, dovrei esserne anche contento? Difficile da estirpare alla base però. Oh, ecco un’altra cosa che non sopporto: i colpi di scena legati alla famiglia. Ma perché diavolo deve SEMPRE venir fuori che la chiave di volta è il padre di tizio, la madre di caio o grado-di-parentela-X di Sempronio? Poveri Tizio e Caio, poi; perché devono essere quasi sempre considerati orfani all’inizio, che poi orfani alla fine del discorso lo sono con estrema rarità? O ancora scoprire pagina dopo pagina che due perfetti sconosciuti sono in realtà fratello e sorella, padre e figlio, marito e moglie lobotomizzati e poi fatti incontrare di nuovo… Le parentele a sorpresa hanno rotto le scatole! Ora pensate a dieci libri/serie tv/fumetti o altre forme espressive a scelta che state attualmente seguendo e ditemi in quante di queste non c’è un colpo di scena legato ai rapporti familiari. Io sono a 0/10, in tutta onestà. Ferma tutto. Genio, ci sei: questo si può rimuovere.

«No, Luke, sono un déjà vu.»


Ad Enascentia le persone non nascono, vengono create. Si ritrovano improvvisamente al mondo già adulte, senza ricordi, visto che non hanno ancora mai vissuto un giorno di vita, ma con le nozioni che avrebbero normalmente esseri viventi di quell’età: sanno camminare, correre, parlare, mangiare, saltare ecc…
Ovviamente questo porterà a porsi delle domande, molte domande, al punto di doversi anche dare delle risposte, più o meno definitive. Queste dipenderanno dall’attitudine della razza d’appartenenza, chiamata anche Tribù, sia a livello di predisposizione fisica sia d’indole mentale. Esistono sempre dieci Tribù principali in un dato momento in Enascentia, dieci visioni diverse del mondo, dieci approcci filosofici a volte complementari, altre affini e altre ancora contrastanti. Gli spunti creativi che si possono trarre da qui in avanti sono potenzialmente infiniti. O almeno lo sono stati per il sottoscritto.

Non dirò altro sull’argomento, ve lo lascio scoprire con la lettura dei libri, dove verrà trattato gradualmente. Sì, parlo di libri al plurale perché il serial book Il Cubo di Enascentia, già disponibile su lettereanimate.it e amazon.it, non è l’unica opera in fase di creazione, ci saranno anche i libri veri e propri, in formato anche cartaceo oltre che digitale. Probabilmente mi adopererò perché non vengano pubblicati in trilogie, per puro gusto d’anticonformismo più che altro. Fine del momento di autopromozione.
Se la cosa può interessare, in futuro vi farò dare altre sbirciate al processo creativo dietro a Enascentia. Qualsiasi cosa voglia dire.
  



Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate.

martedì 21 maggio 2013

Più imbranato di uno zombie



«Ehi Seint83, sono Big Cat. Stavo pensando: ti andrebbe di fare un featuring? Sai, una cosa stile hip-hop, dove c'è T-zio ft. Caioh e a nessuno frega una beneamata sia di T-zio sia di Caioh.» 
“Big Cat, cadi a fagiolo: oltre a essere stato un rapper negli anni Novanta, periodo che ho dovuto dimenticare allagandomi il cervello di alcol, ho sempre desiderato scrivere un pezzo in rima.” 
«Sto leggendo la tua parte ora, ma non vedo rime.»
«Ho dovuto rinunciare, perché l’unica parola che mi veniva in mente che facesse rima con il soggetto della recensione di oggi, Dead Trigger, è nigger. C'ho paura delle gang di Los Angeles e di Spike Lee, quindi lasciamo perdere, ok?».


BIG CAT

Notizia bomba, amici: a giro c'è ancora gente che si trincera dietro il banalissimo cliché (come un normale cliché, ma più banale) "A me mi piace [parlano anche male] che il cellulare faccia solo una cosa bene: telefonare!”. Sì, è gente che sopporta pochino anche gli sms, gente che quando cominciarono a diffondersi i suddetti telefoni continuarono a preferire fino all'ultimo la cabina a gettoni, gente che quando inventarono il telefono continuavano a preferire la lettera manoscritta e magari consegnata da un domestico, gente che, inorridita alla vista della demoniaca Penna a Sfera, giurava eterna fedeltà alla penna d'oca, con tanto di inchiostro e tamponi vari. Gente così, insomma, di quelle che ci passi sopra con l'autobus per zittirli e da morti si fanno cremare in una pira vichinga pur di non abbracciare la modernità.
Se invece, come me, ritenete che se uno deve sempre portarsi dietro un elettrodomestico, tanto vale faccia più cose possibile, vi sarà capitato di usare la mattonella di dimensione sempre maggiori anche come fonte di intrattenimento videoludico. A me capita spesso, dato che, a parte mia madre e il promoter italianissimo Maulizio Lossi di Tle, non mi chiama mai nessuno e una carica della batteria mi durerebbe fino al 2015.

Videogiochi, gente! Ovunque, tipo mentre guido. O mentre sono al parco. No, magari non è il caso. Quando, allora? Ci sono: sull'autobus, tanto son giochini semplici e rilassanti. Mh, dipende. Di certo non giocherete sull'autobus né sul treno né in fila alle poste a Dead Trigger, recente creazione di Madfinger Games. Gli stessi di Dead Island per Pc, per capirsi.
Non ci giocherete perché è coinvolgente, è cattivo, anzi spietato, e finireste per crepare ripetutamente e bestemmiare, comportamento stranamente ancora non sdoganato in fila alle poste.
Qui signori, ma soprattutto signore, rispetto ai vecchi giochini per cellulare abbiamo fatto un discreto salto in avanti.

"Obiettivo: Non farti uccidere!". No, te lo scrivo, che poi magari ti dimentichi.
Andiamo con ordine: la solita apocalisse zombie bla bla, vi unite a un manipolo di sopravvissuti che non vedrete mai e che dovrete aiutare, si presume in cambio di cibo, armi e fig altro cibo.
La schermata principale è la visuale aerea di una città, col suo bel negozio dove comprare il necessaire per la caccia allo zombie, la banca, una slot machine per la quale vi verranno forniti un tot di gettoni ogni giorno, e le varie missioni principali ed extra, disseminate qua e là.
Sostanzialmente ci sono tre tipi di missioni:
  1. Trova il pacco: No, non è un passatempo imbarazzante da spiaggia da fare con i vostri amici, qui piuttosto dovrete andare da A a B, prendere un pacco, tornare ad A, dopodiché apparirà il secondo pacco e voi andrete stavolta da A a C e ritorno. In tutto questo ovviamente sarete letteralmente subissati di zombie che spunteranno da ogni dove e come.
  2. Daje allo zombo: In questo tipo di missione dovrete spiaccicare un mucchio di zombie. Davvero. Ma nel caso non vi fosse chiaro, l'icona per queste è un teschio. Rosso. Ma non vi fosse ancora chiaro, all'inizio della missione l'inequivocabile KILL ALL ZOMBIES vi fornirà un prezioso indizio.
  3. Difendi qualcosa: in questa terza modalità sarete di guardia a, solitamente, due entrate di un palazzo. O a due furgoni. O a due botteghe “Profumo di umano”. Gli zombie vogliono entrarvi, voi – esatto – li farete a brandelli e con la vostra magica Schienaggiustatutto riparerete i vari portoni e furgoni di cui sopra semplicemente sostando nelle immediate prossimità.
Ok, smettiamola di prenderlo in giro: è un gioco per cellulare, è realizzato benissimo, è parecchio divertente e gli zombie sono marci, cattivi, nonostante i ridicoli occhi verdi e luminosi, e animati bene. Anzi, benissimo.
Troppo bene.
Maledizione, troppo, troppo! Scavalcano transenne e balaustre, strisciano attraverso angusti cunicoli e soprattutto, diosanto, corrono! E voi no, col cavolo! Voi siete l'equivalente di un carrello della spesa, armato fino ai denti (ok, l'analogia col carrello è durata poco) e in grado di ruotare su voi stessi, grazie tra l'altro a dei pregevoli comandi che vedono una zona in basso a sinistra facente da stick col quale muoversi avanti, indietro e lateralmente e una parte dello schermo – personalizzabile nella disposizione delle icone e nelle dimensioni – sulla destra, con la quale mirare, sparare, ricaricare ecc.
Quindi sì, il nocciolo della questione è proprio questo: va bene le orde zombie, ma nella maggior parte delle missioni vi troverete a essere sbranati da divoracervelli spuntati alle vostre spalle, mozzicati da quello che, neanche un secondo fa, era soltanto un pallino sul margine esterno del radar. Infatti, sebbene appunto siate dotati di un radar, l'inaspettata verve con la quale i nemici vi corrono incontro festosi al suono di “Uuuuhhhh!” lo rende praticamente inutile, anche dopo aver sbloccato il suo upgrade.



A proposito di upgrade: in questo gioco ci sono i dollari e c'è l'oro; la maggior parte delle armi con le quali schiantare teste agevolmente & stilosamente, nonché varie delizie come torrette laser usa e getta eccetera, si comprano con quest'ultimo. 
In qualche modo anche i poveri sviluppatori dovranno pur fare i soldi; ma si tratta del solito sistema pay to win col quale si devono comprare tutte le armi più fiche da subito e chi non spende non spande (cadaveri)?
No, non è così, anzi l'intera faccenda dell'oro è così ben studiata e bilanciata che difficilmente si rivelerà un intralcio. Intendiamoci: spendendo pochi euro potrete munirvi fin da subito di mitragliatrici a canne rotanti, salute maggiorata e quant'altro, ma l'oro che ogni giorno vi verrà elargito in cambio del semplice completamento di una missione bonus non è pochissimo. Per chi ha qualche minuto libero, poi, è possibile guadagnare un bel po' di pecunia virtuale installando e provando vari altri software gratuiti più o meno correlati – spesso orribili, ma di solito basta installarli e giocare un paio di livelli.
Per cui sì, la distanza tra videogioco da cellulare (proposta: cellugioco!) e videogame tradizionale si è accorciata di un bel pezzo (non certo solo grazie a Dead Trigger) in termini di realizzazione, atmosfera e soprattutto di puro spasso, anche se ritengo che un joypad non potrà mai essere raggiunto – meno che mai sorpassato – da un sistema touch screen.
Quindi i giochi per cell- OHMIODIOLOVOGLIO!


SEINT83


Ok Big Cat, pemettimi di intervenire e dire, con la mia solita acidità, quello che vedo: Dead Trigger è il classico gioco di zombie che ormai ha stufato. 
Sulla questione tecnica non mi permetto di intervenire, non sono un programmatore e sono uno di quelli che, pur avendo uno smartphone, non scarica dozzine di giochini (magari qualcosina di retrogaming, ma si sa, sono un romantico), ma voglio intervenire su un problema che falcidia il mondo videoloudico e quello dell’immaginario, per la precisione su uno stereotipo degno del peggior manifesto lombrosiano: gli zombie che corronoOk, signori, uno zombie che corre (e va bene che in Dead Trigger non tutti lo fanno, ma si deve punirne uno per educarne cento) per me è come un vampiro che sbrilluccica, Che ci volete fare, sono un conservatore; a me piacciono gli orologi a molla, i borsalini e gli zombie che arrancano.



Altro dubbio che mi è venuto giocando: perché cavolo hanno gli occhi luminosi? SPOILER ALERT: andando avanti nella trama scopriremo che le origini dei cadaveretti ambulanti sono dovute a un virus scappato di controllo da un centro di sperimentazione (oh oh oh, che novità! Nessuno ci aveva mai pensato prima e non ci ha fatto una saga di sei capitoli più numerosi spin-off), quindi gli occhi luminosi, che mi hanno fatto immaginare una storia incentrata su demoni e possessioni, sono un optional inutile. 
Inutile come tutte le armi che vengono introdotte nel gioco, prive di un motivo di esistere se non come motodo cheap per semplificare il gameplay, tanto che a ogni missione ci consigliano anche l’arma giusta per l'evenienza (sono finiti i tempi dei survival horror dove con uno sturalavandini dovevi affrontare Gorgothas, dio del male).
Insomma, la più grande novità di Dead Trigger è che è un gioco di zombie per cellulare (ma vi consiglio il tablet) fatto bene, con buoni comandi per il touch e che ha la grande capacità di non pesare un ciulo sul processore, Dati non da poco, per carità, ma purtroppo non offre niente di nuovo per l’appassionato del genere. Il titolo di Madfinger altro non è che un fps con mostri generici dotati tutti della stessa skin, con una storia che alla fine ci pone davanti il solito virus impazzito e che non offre sorprese di nessun genere; quasi nessun colpo di scena (a parte lo zombie vestito da Babbo Natale), comprimari poco interessanti e stereotipati (abbiamo il classico scienziato, il classico militare e, di conseguenza, la classica noia) e la sensazione che ormai le storie con morti viventi abbiano perso quel gusto per la novità che avevano un tempo (non è un caso che Resident Evil si sia buttato sul concetto di armi biologiche di massa, proponendoci sempre più mutanti e meno cadaveri). 

E comunque alla fine mi tocca cedere:
«Yo yo yo, ecco gli zombi
E con sto pezzo senti come pompi,
per farli fuori serve un headshot
e non stare a cantare in my name not
stacci dietro e spara come rambo tre
falli fuori senza chiederti un perché
non guardare il radar usa gli occhi ahimé, 
la morte ti attende con un morso eh
non temere cosa salta fuori dal balcone
basta che non strilli come un coglione
prendi in mano il tuo shotgun
e shoot first come solo han»
E ora tutti insieme!
«Dead trigger, dead Trigger, 
meglio che Resident Evil 5 dove sparavi ai…» 
(rumore di una macchina che si ferma e di alcuni colpi di pistola).