venerdì 28 giugno 2013

50 sfumature di un genere orribile


A cosa servono i generi letterari? A poco.
A trovare meglio lo scaffale giusto del libro che stiamo cercando in libreria, ad esempio. O a permettere alla gente di pecorare come tanto ama, potendo atteggiarsi a dire: "io sono un fan di questo", "io invece di quello". Sicuramente a dare ai critici e ai saggisti qualche rado e scivoloso appiglio con cui aderire agli specchi su cui si arrampicano incerti nei loro sproloqui. E, infine, a farmi scrivere ogni tanto qualche articolo sul Cyberpunk. Non molto altro, direi.

Il genere è di per sé un brutto concetto. Imbriglia l'opera dentro gli schemi, incatena la fantasia con regole e stilemi (tiè, senti che rima!).
Per come la vedo io, un bravo narratore non dovrebbe mai dire: «voglio scrivere un thriller» o «sto lavorando all'ideazione del concept di un giallo storico con elementi di realismo magico, toni di Mythic Fiction e una spruzzata di senape».
Piuttosto, deve lasciare i canali aperti alla fantasia, inseguire e cacciare le idee forti che vanno a costituire lo scheletro di una buona storia.
Poi di che genere è lo si vedrà dopo, lo diranno i critici, i lettori, scriverò un articolo sul Cyberpunk, e il mondo continuerà a girare come deve, con una spruzzata di senape.

Dopo questa doverosa quanto delirante premessa (io posso dirlo, voi no!), debbo però soffermarmi un attimo sull'eccezione che conferma la regola, perché, sì, in verità, in qualche caso i generi sono parecchio utili.
Sono utili per orientarsi, sono utili per poter esercitare una sana forma di autocensura ove necessario, evitando così che sia lo Stato a doversene fare carico con roghi di libri nelle pubbliche piazze e indici di libri banditi per manifesta bruttura.

Via, caliamo la maschera: dopo milleseicentottanta caratteri, spazi inclusi, che ci giriamo intorno, è ora di dirlo: stiamo parlando del cancro del Contemporary Fantasy: il Paranormal Romance.

L'attore Robert Pattinson in una delle sue più intense ed espressive interpretazioni.
Il Contemporary Fantasy è una gran bella cosa. Un mondo vasto e infinito che raccoglie in sé innumerevoli possibilità e vari sotto-generi.
È Contemporary Fantasy il Nessundove di Neil Gaiman, il Mondo di Tenebra della White Wolf, la Promethea di Alan Moore, Harry Potter e tutte quelle belle cose in cui si raccontano storie ambientate nel nostro mondo, o in mondi simili al nostro, dove la magia, il sovrannaturale, la meraviglia invadono in misura variabile la trama del reale.

In questo volume ci sono costrutti con l'uccello enorme. Ovviamente va letto.

Il Contemporary Fantasy ci regala emozioni forti e profondamente radicate, dandoci la netta sensazione che la magia sia dietro l'angolo
La stramba signora del piano di sopra diventa una sacerdotessa pagana che celebra riti arcani a tre metri in linea d'aria dal nostro salotto. Il farmacista del turno di notte è un vampiro schivo e meticoloso. La vecchia linea morta della metropolitana è stata chiusa e abbandonata dopo che dei lavori di ampliamento avevano aperto una galleria che si affacciava dritta dritta su un inferno. Il panettiere è un lupo mannaro. Lo spirito dell'asfalto si accoppia con gioia con quello della velocità ogni volta che una macchina si fa i viali a centotrenta nel cuore della notte. Il postino è in realtà un temibile cacciatore di mostri, la cui vita è stata segnata dal massacro dei genitori in tenera età, operato dai lupi mannari del branco del panettiere.

Tutto questo è, potenzialmente, del sano Contemporary Fantasy, e, più precisamente e puntigliosamente, Urban Fantasy, ovvero Contemporary Fantasy ambientato in scenari urbani.
Ma è proprio qui che si nasconde la più grande insidia, perché tutto questo è appena a un passo dalla tragedia, dalla morte di ogni buon gusto, dall'orrore, quello vero.

Basta versare sul nostro buon farmacista del turno di notte un vasetto di brillantini e la magia sacrilega è compiuta.
Troppe volte con qualunquista, populista e dolosa indifferenza si abusa dell'etichetta di Urban Fantasy. È sbagliato. È improprio. Non si fa.

Se i protagonisti sono dei quindicenni in piena crisi ormonale, ci sono elevate probabilità che non sia Urban Fantasy.

Se sullo sfondo il mondo va a fuoco e la razza umana si dirige ignara tra le braccia dell'apocalisse, ma tutto ciò che conta, ciò che conta davvero, è se la giovine ed insipida umana amerà il lupacchiotto o la fatina il vampiro, sarà difficile che sia Urban Fantasy.

Sembra la copertina di un Harmony. Non è un caso.

Se l'eroina è una mezza vampira nata dalla relazione extraconiugale tra un arcangelo famoso, in seguito riscopertosi gay, e un'affermata donna d'affari, che è in realtà l'ultima sacerdotessa guerriera maga dell'antica stirpe delle sacerdotesse guerriere maghe della Dea Maga Guerriera, uccisa da una banda di motociclisti vampiri nel tentativo di proteggere l'amata figlioletta-che-non-ci-fosse-stata-lei-li-avrebbe-ammazzati-tutti-in-un-soffio-però-invece-no. La stessa banda di vampiri che ha rapito e quasi trasformato in vampiro la nostra eroina però poi è arrivato il padre arcangelo gay famoso a salvarla e quindi è solo mezza vampira, con tutti i poteri dei vampiri ma che può camminare al sole. Da quel giorno, ogni notte, lei dà la caccia ai mostri di ogni specie, facendone strage, mentre di giorno è una superdonna in carriera, alla guida della compagnia milionaria ereditata dalla madre. Ma tutto questo non ha nessuna importanza di fronte alla più profonda verità dei fatti: lei ha un'emotività fragile e un cuore spezzato, perché non ha mai trovato il vero amore, e sogna di potersi un giorno abbandonare tra le braccia del suo uomo, come una donna vera, normale, di essere lei, per una volta, quella che viene protetta e non quella che protegge, e questa è, alla fine, l'unica cosa che conta davvero, ebbene, se le cose stanno così, potete stare sicuri, cazzo, che no, non è Urban Fantasy.

Questa robaccia è il veleno che inquina la narrativa moderna, che svilisce l'eroismo, che ha corrotto per sempre la un tempo nobile parola romanticismo, che ha trasformato la Sedicenne nell'essere che domina e governa il mercato dell'intrattenimento. Questa robaccia è il Paranormal Romance.

Hanno già rovinato l'industria musicale, le regazzine. State attenti, il prossimo potrebbe essere il vostro hobby preferito.

Ma.

Miei cari amici, non disperate. C'è un ma.
Ma ci si può difendere. Perché il Paranormal Romance si può riconoscere. Si può riconoscere ed evitare, con coscienza, attenzione e determinazione.
Per comprendere come fare, analizziamo nel dettaglio un suo aspetto a caso, nella speranza di isolare una regola generalmente valida.

Prendiamo un vampiro. Ora priviamolo dei suoi poteri oscuri. Tutti. Cosa rimane? Se la risposta è "un oscuro e inquietante individuo, abbiente e di nobili natali, machiavellico come un ragno e roso da un passato tormentato che lo ha reso spietato, freddo e votato a sentimenti negativi, quali la vendetta, l'invidia o la più pura e semplice malvagità", be' che dire, è quasi sicuro che questo personaggio abiti in una storia annoverabile in un qualsivoglia genere letterario rispettabile e dignitoso.
Se, al contrario, la risposta è "una dolce fatina metrosessuale, raggiante di diafana bellezza emo e in odore di pedofilia", ecco, amici miei, siamo, ahimè, di fronte ad un lampante e purulento caso di Paranormal Romance.

Da qui il postulato: "Sia data un'ambientazione moderna in cui compaiono elementi sovrannaturali e fantastici. Se la storia, una volta sottratte le relazioni amorose e melense tra i personaggi X, Y e Z, continua ad avere un senso e una sua rispettabile ragion d'essere, narrativamente parlando, allora è pressoché certo che si tratti di un rispettabile genere di Contemporary Fantasy. Se invece, all'atto di sottrarre le relazioni amorose e melense, l'intero impianto narrativo si fa del tutto inconsistente e crolla, siete di fronte a un conclamato caso di Paranormal Romance".

«Come? Un'intera saga è basata sul mio ciclo mestruale? Mostrerei stupore, se avessi i muscoli facciali per farlo.»


Qualora vi capitasse di imbattervi in un caso di Paranormal Romance, per prima cosa mantenete la calma. Quindi gettate il manoscritto che avete in mano in un contenitore per rifiuti cartacei e abbandonate l'area ostentando agio e indifferenza (la carta è una risorsa preziosa e non va sprecata, neanche se vituperata in cotal guisa). Nel caso in cui, invece, ciò risultasse impossibile, lasciate cadere a terra l'oggetto contaminato e fuggite correndo e agitando le mani in aria, urlando a squarciagola così da mettere in guardia le altre potenziali vittime nelle vicinanze.

Amici cari, l'infezione è diffusa e il pericolo è grande, ma con l'uso delle dovute precauzioni e una buona campagna di sensibilizzazione la narrativa fantastica non è ancora perduta.
Vi saluto con la raccomandazione di fare molta attenzione e di proteggere le persone care attorno a voi, soprattutto gli adolescenti, più soggetti a contrarre la contaminazione.
Buona fortuna, e Calliope vegli su di voi.

giovedì 27 giugno 2013

Dieci meravigliosi artefatti che nessuno vorrebbe possedere - Seconda Parte


Nella scorsa puntata abbiamo trattato dieci artefatti dall'immenso valore comico, assolutamente inutilizzabili, che dissuaderanno i vostri giocatori dal focalizzarsi troppo sulla caccia ad oggetti meravigliosi e poco sull'interpretazione.

Qualunque persona che abbia fatto il master sa di cosa parlo: puoi creare un setting interessante, una narrazione ricca di spunti e copiose situazioni affascinanti da ruolare, ma arriverà sempre il solito Baluba che farà spallucce, ti guarderà con aria bovina e sbotterà: «Sì, ma cioè, giochiamo da addirittura tre ore e non ho ancora trovato il Gladio dell'Esplosione degli Universi?».

Come fare per insegnargli la lezione? Semplice: dargli ciò che vuole. Solo ironicamente.

Oggi torniamo sul luogo del delitto con una nuova carrellata di oggetti stupidi, incredibili, inutili e fantasiosi che vi faranno vincere il premio "Master dell'anno" anche a gennaio.



Bacchetta del Tacco Fantasma


Creata da un mago dispettoso e misogino, questa bacchetta è estremamente utile per far cadere signore di alto lignaggio mentre passeggiano per i giardini reali, facendo scomparire per un breve istante un tacco delle loro costosissime scarpe.


Camicia di Forza dei Giganti

Cucito come esperimento psicologico da un sarto alchimista di stanza in un sanatorio, questa camicia di forza dona al suo possessore uno strapotere fisico da creatura di taglia gigante. Spesso abbinato a una cintura di forza dei giganti, ben stretta sulle caviglie, renderà un matto incredibilmente possente, per quanto impossibilitato a muoversi.


Lo Scudo Fiscale



Questo scudo torre apparteneva a Khal Kakazz, un chierico nomade legale-neutrale dalla puntigliosità spesso molesta. Ogni attacco portato al suo possessore viene deflesso nel caso il colpo contenga qualche vizio di forma nella sua enunciazione o sfrutti in maniera errata il regolamento.
Purtroppo ciò vale anche per chi brandisce lo scudo, ma non solo: per funzionare vuole sapere per filo e per segno i nemici da affrontare, i loro punti ferita, gli attacchi speciali, la loro aspettativa di vita media, il valore catastale dei loro immobili, il reddito… farne uso in battaglia potrebbe rivelarsi piuttosto macchinoso.


L'Alleato Plantare

Evocato dal Piano delle suole traspiranti, l'alleato plantare si inserirà all'interno di una calzatura, conferendo equilibrio perfetto e movimento veloce. Per una strana reazione con il piano materiale, il piede a contatto con l'alleato plantare puzzerà come un formaggio impastato da un Lich per i seguenti dodici mesi.


Il Bastone della Vecchiaia



Donato da un dio misericordioso a un uomo solo e sul viale del tramonto, il bastone della vecchiaia è forse uno degli artefatti più riveriti nei circoli segreti di bocce. Conferisce a chi lo impugna un'estrema autorità e una fortissima capacità persuasiva, colpisce con doppia forza i bersagli più giovani del possessore, riduce a quattro ore a notte il tempo di sonno necessario al riposo e fa liberare istantaneamente un posto a sedere su ogni mezzo pubblico. Può lanciare alcuni incantesimi molto specifici, come una versione irresistibile di charme di massa, utilizzabile però solo su addetti ai lavori nei cantieri edili.
Il possessore però verrà trasportato istantaneamente all'età fisiologica di due anni di distanza dalla sua morte per vecchiaia, con tutti i malus del caso.


Di' 20

Artefatto maggiore di Loki, il Di' 20 è un icosaedro di legno smaltato dalle proprietà assolutamente uniche, chiamato "meta-artefatto" per la sua capacità di modificare contemporaneamente più di una dimensione. Si dice che il possessore del Di' 20 possa avere successo in qualsiasi attività, purché prima lanci il dado al suolo e urli ad alta voce «VENTI!». Purtroppo è considerato ovunque un comportamento puerile, se non addirittura antisociale, ed è richiesto di passare un'altissima prova di volontà per sfruttarne le sue potenziali capacità.


La Corazza di Lamer



La genesi di questa armatura di scaglie è persa nelle nebbie del tempo. C'è chi crede sia stata fabbricata e incantata da un satirimante come critica sociale. Altri sono sicuri sia un dono distorto della Dea dei Mille Volti. Ciò che è certo è la sua peculiare abilità, spesso narrata in poemi epici finiti malissimo. La Corazza di Lamer è capace di evocare una volta al giorno una tempesta di idioti patentati, uno sciame vivente di imbecilli che si frapporranno goffamente fra chi la indossa e i suoi avversari.
Purtroppo i tonti apparsi non scompariranno mai, rimanendo a fianco di chi li ha richiamati fin quando egli non morirà. Ed essere circondati da scemi è un buon metodo per morire presto e dolorosamente.


La Dama di Compagnia

Considerata la migliore creazione di John Diceroll, il famoso ludomante, la Dama di Compagnia è una scacchiera contenente le pedine della dama, che gioca con te muovendo i neri e che intrattiene piacevoli conversazioni con il suo possessore. La scacchiera riderà a tutte le battute cretine o sconce del suo padrone, lo farà vincere sempre, parteciperà volentieri come attrazione principale alle sue cene eleganti e non lo prenderà in giro, caso ipotetico, per la sua bassa statura.
È un oggetto però difficile da mantenere se non si è estremamente facoltosi; la scacchiera dopo poco inizierà a minacciare di far sapere a tutti che siete un lunatico che si intrattiene con un giovane gioco da tavolo dei Regni del Sud se non le offrite 2500 monete d'oro al mese.


La Maschera di Bellezza


Pensato da una stregonessa che voleva sentirsi magnifica prima di andare a letto, la maschera di bellezza è un liquido vischioso da spalmarsi sul volto, capace di alzare istantaneamente il proprio carisma ai livelli di una semidivinità. Purtroppo tale beltà è nascosta sotto siffatta pellicola di guano di piccione e verdure di stagione, con il risultato di apparire come orrendi mostri fangosi.


Lascia a Due Nani

Si mormora che ser Paente percorse a piedi più di quattrocento leghe per trovare il Potente Ampli Fòn, il più famoso fabbro magico del continente. Conscio delle straordinarie abilità artiginali di Fòn, Paente chiese con voce vibrante: «O potente Ampli Fòn, forgiami l'ascia a due mani più affilata che c'è!». Il fabbro guardò il cavaliere stranito, ma non fece domande.
Passarono mesi e ser Paente ripercorse le quattrocento leghe per impossessarsi infine dell'arma che tanto desiderava. Ampli Fòn, la cui durezza d'orecchi era tanto ben nascosta quanto leggendaria, gli porse un campanello dorato, simile a quelli spesso usati per chiamare la servitù.
«Ser, non so a cosa possa servirvi, ma eccovi un "lascia a due nani più frittata che c'è".»
Questo particolare oggetto magico richiama da un portale due nani piuttosto golosi di uova in padella, pronti a seguire i comandi del proprio padrone in cambio di copiose quantità di frittata.



Finita la carrellata, voglio proporvi un gioco stupido quasi quanto gli artefatti che avete appena letto.

Secondo voi, quali sono la storia e le proprietà magiche dell'artefatto "Giacomo di Maglia"?
Commentate in calce a questo articolo o su Facebook e il vincitore, oltre ai soliti Punti Stima, vedrà la sua creazione nella prossima puntata della rubrica, ovviamente con un ringraziamento da parte della redazione.


A proposito di ringraziamenti: questo coacervo di idiozie che avete appena letto non sarebbe stato possibile senza il supporto e le idee di V. D. e Deo Divvi, le cui affinità col sottoscritto quando si tratta di sparare minchiate inizia a essere quasi preoccupante.

mercoledì 26 giugno 2013

Ni No Kuni in una parola: Gajardo!


Non so se capiti anche a voi, ma per quanto mi riguarda il tempo libero da poter dedicare ai videogiochi è sempre meno. Titoli su titoli per console varie accumulano polvere, abbandonati in un angolo prima di essere portati a termine, alcuni addirittura ancora sigillati. La situazione per pc non differisce di molto, non fa altro che trascinarsi su un desktop virtuale e rendersi così immune quantomeno alla polvere.
Nota mentale: più jpeg, meno action figures.

Ciononostante, ogni tanto mi cimento nel mio passatempo masochistico preferito: consultare la rete alla ricerca di un nuovo RPG, preferibilmente JRPG. Fugo subito ogni dubbio, la J non sta per Jenga, come la maggior parte di voi avrà sicuramente pensato, bensì per l’insospettabile “Japanese”. Bizzarro il mondo dei videogiochi, nevvero?


Insomma ci impiego proprio le ore, accumulo liste di giochi annunciati che probabilmente non usciranno mai, o che non varcheranno il confine asiatico, scanso molteplici titoli erroneamente finiti nella categoria pur non appartenendovi e ne scarto altrettanti spacciati per tali ma che poi alla fine si rivelano essere poco più di action/sparatutto, se vi va di lusso col passaggio di livello, altrimenti manco quello.

Poi l’anno scorso vedo lui: Ni No Kuni. All’epoca già uscito in Giappone, veniva descritto come un vero, classico JRPG, con qualche ibridazione soprattutto sul sistema di combattimento, ma in buona sostanza degno erede di Cloud, Squall, Gidan e Tidus. E basta.
Eppure c’era qualcosa che non mi convinceva. Lo stile grafico dello Studio Ghibli era sì bello ma anche fiabesco, fanciullesco: temevo fosse targettizzato a un pubblico troppo più neofita, avevo paura del titolo da effetto Wii, più “per tutti” che per gamer.
Passano i mesi e me ne dimentico completamente. Nel frattempo lui se ne esce anche da noi in Europa e la comunità di gamer comincia a giocarci. Io niente, continuo a dimenticarmene e sorprendentemente non lo incontro più nelle sporadiche sessioni di “fatti-del-male-guardando-ciò-a-cui-non-puoi-giocare”. Nome all’altezza del livello qualitativo dell’attività stessa.




Un mese fa leggo l’aggiornamento di stato di un amico, uno di quelli coi gusti simili, che quando consiglia un’esperienza di gioco raramente ti delude. Perché di tempo per i videogiochi non ne ho, ma per Facebook…
Vabbé, tana per me. Insomma leggo che gli stava piacendo, e anche parecchio. Valuto la cosa attentamente finché guido già spedito verso il rivenditore di fiducia e lo compro più o meno istantaneamente. Un po’ per la voglia di giocarlo subito (ri-tana per me), un po’ perché so che Miyazaki piace anche a lei, propongo alla mia ragazza, appena arrivata da me, di provarlo insieme.
Semplicemente il gioco perfetto. Inizialmente più dedicato con tutta probabilità a un pubblico neofita, in questo caso rappresentato da lei ancora agli esordi nella sua esperienza consoleistica, avanzando col gioco coinvolgeva sempre di più anche il vecchio veterano più abituato a combattimento su griglia o a turni ben marcati.

Ad oggi è diventata una droga. Per entrambi. Ce ne siamo resi conto proprio domenica scorsa, accendendo la Play alle 11:00 per poi spegnerla alle 22:00. Con molta, moltissima fatica e forza di volontà.
L’elemento che forse mi sorprende più d’ogni altro quando mi fermo a pensarci, quindi solo ora e solo perché mi è venuto il tarlo di scriverci un articolo, è l’essere una forma di divertimento tranquillo, spensierato, no stress. Ora ho capito a cosa si riferiva quel mio amico accennando al fatto che esercitava su di lui una sorta di effetto terapeutico. Una descrizione nella quale mi ritrovo a meraviglia.


L’elemento fiabesco c’è eccome ma non stona affatto con l’esperienza di gioco offerta, sempre più profonda e costellata di missioni secondarie con le quali intrattenersi. Perché diciamolo: se sei alla ricerca di un JRPG non intendi metterci meno di cinquanta ore per finirlo. E anche cinquanta sarebbero un po’ pochine. JRPG nel mio personalissimo vocabolario è diventato sinonimo di “fai la storia principale finché serve, poi esplora il mondo da cima a fondo”. Bada bene, non free roaming puro. Per me il free roaming è ancora destabilizzante, per quanto sia consapevole della sua larga diffusione, anche a livello di gradimento.
Continuo a preferire il gioco diviso per gradi, che ti fa da tutorial finché ti serve e poi ti lascia quantità di spazio libero progressive ed esponenziali. Un po’ come una mamma vecchio stampo, che porta il bimbo al parco in braccio, poi lo accompagna per mano, poi lo fa giocare da solo “ma non allontanarti troppo”, poi lo fa andare a giocare dall’amico previa consegna di indirizzo o numero di telefono e poi… poi prima o poi cresce e si perde nel mondo. Ecco. Ora sono arrivato proprio a perdermi in quel mondo fantastico.
L’effetto è stato più o meno quello del Garden di Balamb che si alza in volo. L’emozione di poter finalmente andare in quel posto, quello che lo vedi ennemila volte e non capisci come caspio arrivarci, quell’isoletta nel nulla che urla “qui c’è nascosto qualcosa di segreto e troppopiùpotenteassai!”.
Dio vi benedica, isolette nel nulla.


Ma perché Gajardo? Chi l’ha giocato già lo sa. A chi deve ancora giocare posso solo dire questo: ho adorato il lavoro di localizzazione in lingua Italiana. Evento più unico che raro. Sono pochissimi i film, telefilm, fumetti e cartoni animati che possono vantare un’ottima resa nella nostra spesso bistrattata lingua. Ancor meno i videogiochi. Non tanto a livello di doppiaggio, nemmeno presente in questo caso specifico, mi riferisco più alla resa di concetti particolari, gap culturali o nella maggior parte dei casi semplicemente arguti giochi di parole. Confesso che non conosco la versione originale, ma i giochi di parole italiani sono incantevoli. Io poi che adoro fondere due parole in una ho trovato un universo a misura di Deo. Un Deoverso, tanto per fare un esempio. In questo sono stati dei maestri.
Tornando al nostro “Gajardo!”, il riferimento è dedicato al nostro tutorial con le gambe, anzi, con le gambette: il mitico Lucciconio, la cui parlata bizzarra è stata resa in un convincentissimo romanesco riadattato per essere inteso dal grande pubblico.


Insomma, sia che siate alla ricerca di un’esperienza di gioco rilassata e rilassante o di un titolo avvincente e longevo,  Ni No Kuni potrebbe essere proprio ciò che fa per voi. Se poi volete provare il mio stesso esperimento, fatemi sapere com’è andata. Noi ci rimbalziamo serenamente il joystick, tra l’uno e l’altra, col partner che guarda a turno e quasi si diverte di più del “collega” indaffarato/a a tener viva la squadra.

MINI SPOILER ALERT
Che non vi dico poi chissacché di trascendentale, ma i più sensibili intanto li ho avvisati

L’appagamento maggiore lo sta ricevendo il mio animo da “spuntatore”. Alla base del neologismo “farmare”, l’attività dello spuntatore consiste nell’avere una quantità di cose da poter fare che vanno via via svolte e quindi mentalmente o fisicamente “spuntate”, depennate possibilmente imitando il baffo della Nike.
Lo spuntatore ha gioito nel ritrovare sempre nuove missioni in vecchie città. Lo spuntatore ha reso grazie quando è arrivato al torneo dei famigli, già grato al concetto stesso di famigli e al numero di essi contenibile nell’apposita tana. Lo spuntatore era comm-osso (!!!) quando è entrato per la prima volta al casinò degli scheletri. Infine, ma solo perché alla fine ancora non ci è giunto, lo spuntatore è letteralmente impazzito ad andare in volo alla ricerca dei vari tesori disseminati un po’ ovunque. La meraviglia, il paradiso della spunta.






Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate.

martedì 25 giugno 2013

A 50 lire dalla leggenda


Nonostante abbia compiuto i miei 3X anni, mi sento ancora piuttosto bene. Anzi, veramente bene. Anzi, ho cominciato a fare palestra perché, non volendo tradire il bambino che fui, perseguo tuttora l'obiettivo finale di assomigliare a Kenshiro (anche se – oh, stupido me bambino – sono biondo, mingherlino, con sopracciglia praticamente invisibili; poi dove lo dovrei trovare uno che mi faccia sette buchi addosso, magari senza uccidermi nel processo?), per cui sono anche più grosso, e sano, di com'ero dieci anni fa.

Non così grosso e sano, ma ci stiamo lavorando.

Sono talmente, quindi, diciamo, ehm, esperto delle cose del mondo da aver giocato ai videogames in sala giochi pagandoli in lire!
Come dite, anche voi? Ok, ma io con le 200 lire. Ma quanto fa vintage, come si dice oggigiorno? Eh?
Ah, qualcuno nella folla (la tipica folla davanti ad un computer, no?) alza la manina dicendo che anche lui l'ha fatto? E allora beccati questo: ho giocato in sala giochi usando le 50 lire. Cinquanta.

Questa è per pochi...


Ho giocato usando le monete da 50 lire, ebbene sì: come se oggigiorno usassimo una moneta da 20 centesimi per giocare. Sempre che uno trovi una fessura dove inserirli. O un cabinato, già che ci siamo.
Solo che ai tempi erano alquanto difficili da trovare, e io e mio fratello le accumulavamo fino a cifre ridicole (tipo, guarda, 600 lire) per poi andare a gettarli a pioggia al Barone Rosso, sotto casa.
Maledetto Red Baron; con le dovute proporzioni, me lo sarei potuto comprare, il tuo aereo… no, vabbe',  ma almeno un libro sugli aerei sì, però.

Dannate 50 lire, piccolissime, maledette! Ti scappavano da tutte le parti, le perdevi e dopo che succedeva? Qualcuno te le ridava?
Eh?
Sì, che c'entra: erano solo 50 lire, la nonna te le ridava anche, ma vuoi mettere l'incazzatura? E io, da piccolo, mi incazzavo di brutto, soprattutto coi giochi. Ho visto api inferocite somigliare a un placido bonzo che contempla i germogli dell'albero di ciliegio, rispetto al sottoscritto a cui scivolavano fra le mani monetine sfuggevoli come manguste.

Ricordo perfettamente i pestoni, le botte e le urla: in effetti vi era una vera e propria componente fisica nel videogiocare in sala che non si può assolutamente trovare in casa (anche perché se spaccate i controller sono cavoli vostri, non potete far finta di nulla e uscire fischiettando evitando lo sguardo interrogativo del barista); e proprio questa componente fisica mi fregò, e mi fregò di brutto.

La Storia Nostalgica di un'Incazzatura™


Posso dare per scontato che conosciate tutti Yie Ar Kung-Fu?
Ok, non lo farò: è un gioco del 1985 in cui impersonate un tale Oolong, che deve farsi strada combattendo una dozzina di avversari fino a guadagnare il titolo di Campione e così vendicare il padre (perché? Che gli hanno fatto? Perché vincere un torneo dovrebbe rendere giustizia a qualcuno? Boh! L'ermetismo dei giochi da sala è tuttora imbattuto).

Il gioco, da molti giustamente considerato il padre dei beat 'em up à la Street Fighter, vede divertenti lottatori dai nomi storpiati (come per esempio Buchu, ispirato al wrestler Abdullah the Butcher al quale somiglia) o descrittivi dell'arma con la quale vi faranno rimpiangere di non esservene rimasti a casa a fare i compiti. Tipo: oh mio Dio, sta arrivando il temibile Sword! E – riuscireste a crederci? – ha con sé una spada!

Voi ovviamente siete a mani nude, tanto per dire.
Almeno non vi chiamate Bare, o Hands.



Finita la scuola, le mie giornate in vacanza si svolgevano così: sveglia, colazione, lavata ai denti, sala giochi (dopo mille suppliche) vicino casa; dilapidazione di cinquantini, cubettosi avversari che si puliscono il sedere con la mia dignità, pranzo (arrivando in ritardo).
Nel pomeriggio abluzione al mare tanto per, fuga ninja in sala giochi, massacro (a mio danno), cena (arrivando in ritardissimo).

La mia era una missione. Ormai battevo agevolmente Buchu che, colpito nelle parti basse, faceva emettere al cabinato un gracchiante «ni-hao», della serie "ciao, gonadi, vi volevo bene". E Star con le sue... sì, stellette ninja, dalla dimensione di un-pixel-uno. E Nuncha col suo – bravissimi! – nunchaku. E Pole col suo – esatto! – bastone.
Non progredivo poi di molto: raramente battevo Chain, che con la sua catena-in-inglese mi colpiva a distanza facendomi schiumare dalla rabbia, e credo che il crudele sadismo con cui Fan (che vi colpisce con i ventagli, ovviamente) mi faceva puntualmente a pezzi sia stato, per anni, inarrivabile.

Però una volta.

Eh sì, è una di quelle storie col “però una volta”. Ero in costume, come sempre in fuga disperata dalla spiaggia. Colmo di cinquantini. Determinato. Il giorno prima ero stato addirittura sconfitto da Buchu (che vi colpisce col suo bucio. Ah. Ah. Ah.) che vi ricordo essere il primo avversario.

Era il momento di farla finita.

Comincio a giocare, aggressivo ma misurato, come un ghepardo che muove i primi passi per inseguire un'agile gazzella nella steppa, immersa in una coltre di spessa nebb-… vabbe', insomma, ero sul pezzo.

Bam, bam, bam! Prendi questo! Mosse a me sconosciute ma effettuate come per magia piovono sui miei avversari, riducendoli in briciole – ovvero a gambe all'aria i maschi, e sdraiate su un fianco le femmine.
Già, LE femmine: batto Fan, vado avanti, nessuno in tutta la sala giochi era mai arrivato a tanto, e nessuno se è per questo mi cagava un granché, ma non importava: era la mia battaglia, la mia storia.
Ero io che lottavo per conquistare quel titolo (nel migliore dei casi una schermata con scritto in engrish «you the Champion») ed era mio il padre che dovevo vendicare da chissà quale terribile sgarbo.

Arrivo al nemico finale, Blues.



Blues. Ancora mi tremano le mani, a sentire il suo nome, e ancora oggi considero il blues… un genere musicale, non il mio preferito certo, però a volte ci può stare.

Questo Blues non indossava nulla di blu, se ne fotteva della pentatonica minore e soprattutto era la vostra copia spiccicata, a livello di moveset.
Mi balza addosso imperioso, con le gambette poderose, mi molla una serie di calci, pugni, calciopugni™ e una rovesciata del tipo Giuro-Ricordo-Tuttora, io controbatto, mi agito, a questo punto la calma è solo un ricordo: mi aggrappo al joystick e pesto sui bottoni e mi dimeno e sudo e poi quel rumore.
Il rumore metallico di una pioggia di monetine mi avverte che la mia pila di spiccioli è crollata.
Dramma emotivo: le cinquanta lire si sparpagliano per tutta la sala giochi e, mentre vengo sconfitto dal mio avversario, cerco affannosamente quattro monete che mi permettano di continuare, di sfidarlo ancora.

Ne trovo tre.
Panico.
Mio fratello aveva finito le sue, e non mi può aiutare.

Trovo l'ultima e scatto come un ghepardo che sono due settimane che gli scappano le gazzelle, ché a star nella steppa è dura, e aveva quasi preso l'ultima e non ci può credere che gli sia scappata, inserisco una moneta, due, tre, e il cabinato simultaneamente inizia il conto alla rovescia.

3, 2, 1.

Infilo la quarta moneta.

GAME OVER

Non ci ho mai più giocato.

lunedì 24 giugno 2013

Futuri imperfetti

Ok, l’altra volta abbiamo parlato di mondi passati, di effetto farfalla, di viaggi nel didietro del tempo, oggi invece si guarda in avanti, si guarda al futuro!

Si dice spesso che il futuro sia sempre tutto da scrivere e intrinsecamente imprevedibile. Questa asserzione è nella gran parte dei casi vera, tranne in due luoghi specifici: nel campionato di calcio italiano e nel mondo dei fumetti.
Dato che sul mi faccio aggiornare su ruberie varie ed eventuali soltanto dai commenti su Facebook, mi limiterò a parlare del mondo dei comics, dove la vita è più agrodolce e dove non esistono arbitri.
Futuro, futuro, futuro, che si può dire su questo argomento?
In ottica narrativa, questo concetto viene sfruttato molte volte in senso bidirezionale (o qualcuno si trasporta da o qualcuno viaggia verso il futuro).
È assai più complicato del passato perché, pur avendo meno conseguenze sul tempo narrativo del presente, lascia comunque dei dubbi nella mente del lettore. Questi, conscio dell’effetto farfalla (ne abbiamo parlato qui), si rende conto che il suo presente non è altro che l'agglomerato delle scelte e delle conseguenze del passato, e quindi deve sempre seguire quelle regole narrative di cui abbiamo già sviscerato i limiti.

Se la DC addirittura ci spara un’intera serie su quel piccolo mondo antico fogazzaro, Legione dei Super-Eroi nel 31° secolo, la Marvel ha provato a sua volta ad incasinarsi la vita, conscia però che la sua gestione dello spazio-tempo permette maggiore libertà: quello a cui si assiste è uno dei futuri possibili, che però ha pari dignità di tutti gli altri e che, bontà del sistema a bivi nel multiverso, può esistere indipendentemente da quello che accade nel mondo del presente.

La DC invece, per semplificarsi la vita, usa il classico sistema della linea retta, cioè un mondo che ha una storia già scritta fino alla sua fine e che, pertanto, è soggetta ad alterazioni in tutta la sua continuity ogni volta che uno stronzo viaggiatore del tempo arriva nel passato e porta anche solo un microonde più efficiente da casa.

Ed ecco dove abbiamo il primo e più grande problema della storia della DC: la Legione del 31 secolo!



Questa bellissima idea ha talmente tanti buchi che, alla fine di tutto, è stato necessario reboottarla infinite volte solo per adeguarla ai cambiamenti che avvenivano nell’universo del presente.
Ebbene sì, cari amici, perché gli intelligentoni hanno dimenticato un piccolo particolare: dato che ogni serie ha i suoi autori e dato che a ogni cambiamento di autore si creano delle piccole incongruenze tra una storyline e l’altra, pensate all’effetto valanga che questo è in grado di scatenare se lo sceneggiatore che segue la serie più in là negli anni non ha una perfetta conoscenza di tutto quello che è accadutp.

Esempio più clamoroso di tutto questo è stato il fatto che la Legione nascesse su ispirazione di Clark Kent/Superboy; peccato che, dopo la prima Crisi, John Byrne abbia cancellato, nel primo Superman, il fatto che l'Uomo d'Acciaio sia mai stato Superboy.
BAM! Che diavolo si fa, ora? Ci troviamo con un'intera serie che parte da un presupposto che non esiste più.
Per salvare il salvabile, è stata creata una storia arzigogolata in cui esisteva una sacca temporale in cui Clark Kent è stato davvero Superboy e che, in qualche modo, era collegata al futuro del trentunesimo secolo, fungendo così da ispirazione per la Legione! Capite di cosa stiamo parlando? Tentando di semplificare il futuro con una linea temporale netta e precisa, ironicamente non si fa altro che incasinarsi la vita.


Capite che futuro, presente e passato non sono così semplici da gestire e che servirebbe un’elevata conoscenza di tutta la produzione per cercare di evitare problemi che possano infastidire anche il lettore meno puntiglioso?

Soprattutto se si lavora con l’universo spazio-tempo a linea retta per cui qualsiasi cambiamento ha delle conseguenze dirette sul futuro, l’attenzione da rivolgere a certi progetti deve essere molto alta.

Se con i viaggi nel passato abbiamo l’effetto farfalla sul presente, con quelli dal futuro abbiamo l’effetto farfalla sul presente del viaggiatore, con il rischio di creare paradossi di non facile soluzione che rischiano di annullare l'esistenza stessa del viaggiatore (il classico esempio, parlando di cinema, di Marty McFly).
Un rischio meno logico e più editoriale risiede nella possibilità di illudere il lettore con delle idee interessanti e radicali per poi non poterle rispettare, magari per mere scelte commerciali o di vendibilità di un marchio.

Un esempio, mi chiedete? Nel nuovo reboot DC, la storia di Harvest e di Superboy SPOILER dà per scontato che Lois Lane e Kal El avranno un figlio e che quel figlio verrà poi clonato nel nuovo Superboy.


Questa scelta crea già dei presupposti che, purtroppo, non potranno fare altro che incasinare la vita degli sceneggiatori, soprattutto perché già la figura dei figli è sempre un problema (ne parleremo un giorno), ma anche perché se Lois e Kal poi non quagliano (e sappiamo come gli editori siano restii a trasformare appetibili single in padri e madri di famiglia), un intero personaggio dovrebbe sparire dalla continuity. Insomma paradossi e loop, destini già scritti e cose così, ecco quello che otteniamo giocando con il futuro, la domanda è: ne vale la pena? Ai poster (commentate!) l’ardua sentenza..

venerdì 21 giugno 2013

Lokee: le conseguenze di quello che avete fatto.

Ebbene sì: abbiamo ideato un nostro logo ed è proprio un kiwi vestito da vichingo.
Si, lo sappiamo che i veri vichinghi non portavano buffi elmi cornuti, ma voi siate buoni e non diteglielo, che si è impegnato tanto a farsi il costume e poi ci rimane male.















Salve, amici. Se siete qui, questo pezzo parla di voi.
Ho pensato un bel po' a come imbastirlo. Che diamine, è un argomento che dovrei conoscere bene, eppure è anche una delle cose più difficili da mettere per iscritto. Si presterebbe molto di più ad una chiacchierata serale, con un bel boccale pieno di birra in mano e almeno due o tre vuoti accanto.

Ho pensato che potesse essere il caso di dare dei cenni storici, di riportare dei numeri, di costruire un discorso armonico, equilibrato ed efficacemente comunicativo. Ma alla fine non mi ha convinto, o, più probabilmente, sono pigro.

Storico e numeri? Ecco qui: Nerd Bloc nasce nell'ottobre del 2011, generata dalla frizzante atmosfera di attesa per il Lucca Comics e dalla voglia di fare qualcosa di nostro e nerd.
Iniziamo a spippolare un po', andando per tentativi, pubblicando roba che ci pareva buffa o, alla peggio, interessante, ed esprimendoci in un modo che aveva uno stile tutto suo, che era ricercato eppure ironicamente gradevole, che colpiva con una prosa… via, sono tutte cazzate, perché in realtà è come parliamo normalmente, ovvero come dei professori di lettere lobotomizzati che danno sempre e a chiunque del lei perché non si ricordano chi sono.

Le migliori menti di cui Lokee dispone si riuniscono in una seduta di pianificazione strategica.
Questi quassù, invece, siamo noi con le facce da cretini.


In poco tempo, circa tre giorni, la gestione della pagina ha assunto la struttura di una cellula operativa dell'A.N.A.S.: tutti stanno a guardare, noialtri, e uno solo fa le cose, Nedo. Con l'unica differenza che gli operatori dell'A.N.A.S. ogni tanto fanno a turno.
Com'è, come non è, le sciccose corbellerie di Nedo hanno pian piano cominciato a piacere. Supera il centinaio, supera il migliaio, dopo un po' abbiamo superato anche il decimigliaio. Lo so, non si può dire, ma se è per questo non si può dire neanche "sciccose".

È vero: su Facebook ci sono pagine con decine di milioni di utenti.
Ciò non di meno, dodicimilacinquecentoeppassa fan non sono pochi, e tutto ciò diviene ancor più ragguardevole se si pensa che non abbiamo mai speso un euro in promozione, anche perché siamo sia poveri sia tirchi, né ci siamo mai presi la briga anche solo di invitare qualche amico, perché siamo anche estremamente pigri (Nedo un po' meno, ma ha pochissimi amici).

Se però fosse tutto qui, ci sarebbe ben poco di cui stare a parlare: io starei buttando un'oretta a scrivere questa, uhm, cosa, e voi stareste buttando enne per cinque minuti per leggerla.

Quello che ha stupito, affascinato e molto, molto soddisfatto è il modo in cui i fan, o meglio, il modo in cui voi avete reagito.
Il rapporto, con alcuni personale e quasi intimo (lo so, è una parola che fa un po' senso, ma a volte bisogna usarla), è sempre stato all'insegna di alcune tacite convenzioni, più uniche che rare nel cyberspazio: discussioni sgarbate e flames pressoché inesistenti, ilare e diffuso utilizzo dell'eloquio e delle forme di cortesia, maturità di ragionamento e di osservazione, sempre accompagnata a bufferrima ironia.



Insomma, la comunità della pagina non si limitava a rispondere alle proposte e allo stile degli admin, ma li indirizzava e li plasmava, andando pian piano, e in maniera del tutto spontanea e caoticamente ordinata, a creare un'identità comune e più complessa.
È così che nel novembre 2012 Nedo ci fa: «Ho avuto un'idea: perché, oltre a guardarmi mentre amministro la pagina, non mi guardate anche mentre curo un blog da collegare alla pagina? C'è una bella comunità ormai. Occorrono spazi un pelino più strutturati, e le note di Facebook non se l'è mai incu…, insomma non sono mai interessate a nessuno».

Noi abbiamo detto: "Buona idea!", ed ecco qui che è nato Lokee. Poi si sono aggiunti dei validi e stimati sodali, si è creata la versione minorata di un bel think tank, e ora siamo qui.

Il blog, un articoletto oggi e uno domani, ha iniziato a popolarsi.
A quanto pare, sempre per il discorso dei numeri, siete venuti a spulciare tra i nostri sproloqui oltre ottantacinquemila volte (si scrive così: 85000), di cui dodicimila solo questo mese.
E quindi, tra una cosa e l'altra, abbiamo detto: «Be', si sta effettivamente creando una bella comunità. Sarebbe mica male incontrarci di persona…».
Così abbiamo partecipato alla Play di Modena, spiccando come nostro solito per idiozia e pagliaccismo (sì, posso dire anche questo!).

Nell'ordine: Zà-zà, Nedo Blocchi ed Ebenezer Marachella.


E poi al Florence Fantastic Festival.

V. D. diffonde la conoscenza di Nerd Bloc e Lokee. Purtroppo non pareggia la buona volontà con altrettanta arguzia…


E all'Agliana Moonlight Cosplay.

Frank e il suo lecca-lecca ci mostrano come alla fine tutto sia sempre proporzionato, nel rispetto del ∏ e della sezione aurea.


E tanta strada il nostro dadone gonfiabile verde ha ancora da fare.

Direi che il riassunto storico è finito. Un paio di numeri ve li ho detti, così, tanto per vantarci un po', noi e voi. Altri li trovate sparsi in giro, tipo gli oltre seicento commenti di risposta alle prime dieci Pillole Ruolistiche.
Potrebbe quindi essere anche l'ora di arrivare al punto.

Il punto è che voi, e dunque, grazie a ciò, noi, siete/siamo una comunità, una realtà che sta prendendo forma e sostanza.

Probabilmente i più attenti di voi, o più che altro quelli a cui frega almeno mezza ceppa, si saranno accorti che c'è qualcosina che bolle in pentola, un piccolo osso per dare una parvenza di sapore al brodo.
Ebbene sì: ce lo avete fatto credere e noi ci abbiamo creduto. Siamo una comunità.

Armati di coraggio, abbondante irresponsabilità e martello, abbiamo rotto il nostro salvadanaio a forma di rospo con l'ombrello contenente anni e anni di paghette accumulate. Dopo aver speso quasi tutto in action figures, bustine e miniature, abbiamo investito l'esigua rimanenza nell'acquisto di un nostro dominio, il brullo terreno dove presto Lokee andrà ad abitare. Poi, pian piano, un mattoncino alla volta, cercheremo di costruire una casetta, per lui e per tutti i suoi amichetti, tutti noi e tutti voi. E magari un domani chissà, tutti insieme riusciremo a fare un palazzo, magari un castello.

Anche se per i primi tempi sicuramente il tutto ricorderà di più la tenda da campeggio sul terreno di J.D.

Tranquilli, non vi tedierò oltre con dettagli tecnici o preview propagandistiche su quanto seguirà. Lo vedrete passo passo, ogni volta che si aggiungerà il nuovo pezzettino che siamo riusciti a costruire.
Semplicemente, voi ci avete fatto capire che ci siete. Ora noi, un palloncino alla volta, stiamo cercando di addobbare la sala per la festa.
Ecco, volevo dirvelo, almeno ora lo sapete. Siete tutti invitati. Dress code: cosplay, armature, costumi a tema (quelli sexy verranno selezionati all'ingresso), pettinature strane, innesti assortiti.

La bella e brava cosplayer Gloria Sweet Angel immortalata a Modena Play, quivi inserita come thumbnail per le allodole.
Insomma, qualsiasi capo o accessorio che vi identifichi come appartenenti alla resistenza virtualmente armata contro l'oligarchia delle banalità.


EDIT DI NEDO
Aggiunto il link diretto alla fanpage di Gloria, ché in effetti a non inserirlo subito siamo stati davvero, davvero distratti sotto questo punto di vista. Spero che Sweet Angel ci perdoni, altrimenti doppio turno a guardarmi lavorare per V.D., così impara!

giovedì 20 giugno 2013

PILLOLE RUOLISTICHE - Un mago, un guerriero e un ladro entrano in una locanda...



Stavo cercando dei biscotti al supermercato, di quelli che non lasciano troppe briciole nel latte se li pucci con violenza, quando ho avuto un'illuminazione: sulla nostra pagina facebook mancava qualcosa di interattivo, di buffo e che fosse in linea con il nostro stile e le tematiche che spesso trattiamo. 
Mentre venivo investito dalla straordinaria offerta di frollini integrali che si sfaldano solo con una reazione termonucleare di fusione, esploravo i recessi più oscuri della mia mente alla ricerca di un'idea che potesse funzionare.
E poi l'ho trovata, l'idea. E anche le Campagnole della Coop con cui si può impastare anche il cemento, già che c'ero.

In quel momento catartico in cui avevo sistemato per i prossimi mesi la mia prima colazione, finalmente trovai una rubrica che potesse diventare fica e spassosa e profonda e creativa e coinvolgente.
Sotto le luci al neon del supermercato, erano appena nate le pillole ruolistiche, piccoli scenari interattivi in cui i nostri amici di pagina potevano decidere il destino dei loro eroi nei commenti.

Certo, l'idea poteva anche essere buona sulla carta, ma come avrebbero reagito i nostri compari?
Bene. Molto bene. Direi straordinariamente, quasi in maniera commovente. Le nostre prime dieci pillole, senza troppa fanfara o patetici tentativi di promozione, sono state commentate 600 volte, con una naturalezza e spontaneità che non ci aspettavamo; come se alcuni dei nostri amici di pagina non attendessero davvero altro.
Ma è successa anche un'altra cosa fantastica; non solo gli utenti si divertivano a rispondere, noi stessi ci divertivamo da morire a leggere le risposte, spesso brillanti, umoristiche e dotate di un pensiero laterale fantastico.

Perciò oggi ho deciso di pubblicare le nostre prime cinque pillole, facendole seguire da una selezione di commenti che ci ha davvero ucciso dalle risate. Per chi non è presente in tale selezione, non si crucci: erano tutte bellissime e meriterebbero di essere lette, ma lo spazio che possiamo allocare su questo blog è quello che è.

PILLOLA 1


Siete un bardo dal fascino inequivocabile e dalla lingua pronta. Avete convinto una giovane dai nobili natali a giacere con voi. I nobili natali di cui sopra però vi colgono sul fatto. Sono armati di bastoni.
Cosa fate per uscire da questa spinosa situazione?


PILLOLA 2



Siete un vampiro. Un giorno il vostro Principe vi chiede di incontrarlo con la massima urgenza. Potrebbe volere delle spiegazioni per quello spiacevole incidente in cui avete dato fuoco al suo luogotenente, chissà. Aprite la spessa porta che dà sul suo salone e lo vedete seduto, con espressione accigliata. Aspetta che siate voi i primi a parlare. Cosa dite?


PILLOLA 3



Persi, assetati e affamati in mezzo al deserto, trovate ai piedi di una duna una lampada incrostata di sabbia. Istintivamente, passate una manica sulla sua superficie per pulirla, facendo apparire un enorme Jinni color malva.
Lo spirito, dopo un'occhiata tutt'altro che benevola, tuona: «Saluti, Mortale. Vi offro l'oppunità di esaudire qualsiasi desiderio vogliate. Sappiate però che per ogni parola userete, vi taglierò un dito».
Qual è il vostro desiderio? E quante dita perderete?


PILLOLA 4


«VUOI IL MIO ORO, UMANO?»
La voce tuonante di un drago rosso vi scuote dagli effetti dello charme. L'idea di fronteggiare un Antico armato solo della vostra spada, mentre un gruppo di sconosciuti avventurieri che consideravate senza un motivo fratelli se la sta filando, è tornata a non sembrarvi particolarmente brillante.
Siete a pochi metri e minuti da diventare un cavaliere arrosto al cartoccio. Che fate?


PILLOLA 5



Sei stato assoldato da un gruppo di avventurieri per saccheggiare un vecchio mausoleo. Il luogo è pieno di trappole insidiose, serrature impossibili e pericoli nascosti fra le sue mura ammuffite. I tuoi compagni si aspettano molto da te, vista la tua fama di straordinario ladro esploratore. Ti trovi davanti all'entrata, con il tuo set da scasso in mano. Non hai la più pallida idea di come si disinneschi anche un petardo e fatichi ad aprire i barattoli di cetrioli, ché in realtà l'unica tua dote è quella del millantatore. Cosa fai?


Tutti i vincitori, come da tradizione, sono stati premiati con copiosi Punti Stima™, moneta con cui, un giorno, potranno riscattare meravigliosi artefatti, come questi qua.

Se volete partecipare anche voi o semplicemente leggere tutti i commenti di ridere, questo è il link all'album completo, aggiornato (quasi) tutti i giorni.

Buon ruolo a tutti, amici miei.

mercoledì 19 giugno 2013

Di carte, sudore e fair play


«Ehi, Deo, che fai sto week end?»
«Mah, nulla, le solite cose: provo a scrivere e mi ritrovo a giocare a qualcosa, dimenticandomi come sono arrivato a farlo. Perché?»
«Ci sarebbero i nazionali dei Living Card Game a Spilamberto.»
“Ah figo. Cos’è uno Spilamberto?”
«Amena località in provincia di Modena. Dài che si gioca a Netrunner!»
«Ok, mi avete convinto. Cos’è un Netrunner?»

E così la settimana prima dei nazionali, o forse eran due ma sappiamo benissimo che non interessa realmente a nessuno, imparo a giocare a suddetto giochino. 
C’è un modo molto semplice per capire se mi è piaciuto o meno un gioco di carte: in caso affermativo comincio a pensare al deckbuilding. In questa specifica circostanza non ho fatto in tempo a tornare a casa che avevo già compilato due liste da far montare al mio paziente amico Leo, spacciatore ufficiale di giochini di carte alternativi.

Due liste non solo perché sono avido nonché goloso, ma anche perché qui di mazzi non ne basta uno, sarebbe troppo facile: ne servono due. Stringendo all’osso, in sostanza l’ambientazione fantascientifica/cyberpunk vede dei capaci hacker, i Runner, confrontarsi coi sistemi di sicurezza all’avanguardia delle grandi Corporazioni, per infilarsi nei loro database e carpirne i segreti. 

Il primo di una lunga serie di fattori innovativi è la modalità in cui viene disputata una partita: ad ogni sessione o match di un torneo, ogni giocatore si cimenterà sia nel ruolo della Corp che del Runner, usando un mazzo differente per ciascuno di essi. Ecco quindi spiegata la doppia lista.

Alcune carte. Cosa fareste senza le mie didascalie, eh? Festa?! Bastardi!

Poco sopra parlavo di innovazione. Be', sì: in un certo senso distorto. Parlo di innovazione perché abituato a tutte altre tipologie di giochi e set di regole, ma in realtà il LCG di Netrunner, come spesso accade, è una nuova incarnazione di un gioco già esistito in precedenza. Da notare, già che si siamo, anche altre finezze come la differenza di azioni eseguibili dalla corp e dal runner; la possibilità di scegliere se pescare, guadagnare risorse (crediti), giocar carte o partire per una “run”: la cosa più vicina ad un attacco che esista nel gioco; avere i propri “punti vita” rappresentati dalle carte attualmente in mano ecc…

Ma torniamo a Spilamberto. Cioè col discorso intendo. Spegni la macchina, Hodor!
«Hodor?»
Sì, molto in effetti. Non a caso la manifestazione ha un nome preciso, scelto con tutta probabilità basandosi attentamente sul luogo, un palazzetto sportivo blindato, e al periodo, metà Giugno, appena dopo l’arrivo dell’ondata di caldo simpaticamente chiamata Ade.
"Dadi e sudore". Non ho controllato ma probabilmente poco più in basso nella locandina veniva specificato “Da quest’anno anche senza dadi!”.

Sì, lo so, la locandina è del 2011, ma è troppo più bella!


E insomma arriviamo là tutti belli e convinti, ma più che altro convinti, ma più che altro arriviamo là. I tavoli dedicati a WH40K aprivano la sala a una serie di tornei dedicati sì ai giochi di miniature in cui i dadi imperano, ma anche a quelli di carte per l’appunto. 
Menzione d’onore al Trono di Spade, veramente tanti tavoli per un gioco che non sospettavo avesse un così ampio seguito a livello competitivo. Sì, ok, cavalca l’onda della serie HBO, però giocare il mazzo Lannister contro lo Stark del vostro miglior amico non è la stessa cosa di partecipare a un nazionale. O forse sì, non ne ho idea.
Fatto sta che arriviamo all’area dedicata appunto a Netrunner. Un numero contenuto di giocatori per un nazionale in generale, 22 se la memoria non m’inganna, ma decisamente dignitoso per un gioco non collezionabile e soprattutto difficilmente reperibile. Ma a breve arriva l’edizione italiana, non temete!

Attendiamo gli ultimi due ritardatari, direttamente dalla lontanissima Bologna, e ci sediamo ai tavoli. E qui accade la magia. Una partita dopo l’altra trovo avversari di una simpatia e di una tranquillità che non sapevo esistere. Ogni mossa effettuata con chiarezza, nessuna applicazione di regole cavillose al limite della vendetta personale, avversari che arrivano a dirti “ma sei sicuro che non vuoi prendere quel [inserire vantaggio random] in più? Guarda che puoi farlo solo a inizio turno”: per chi, come me, arriva dal mondo competitivo di altri giochi di carte, per lo più collezionabili, il paradiso. 

Chiunque legga queste righe senza aver mai partecipato a un grosso torneo di Magic, per fare l’ovvio esempio più diffuso, non saprà di cosa io stia parlando e forse nemmeno si capacita di come io possa anche solo pensare a dover giocare in maniera cavillosa e stressante: è pur sempre un gioco dopotutto. Niente di più vero. E niente di più irrealistico.

La foto del primo turno ritrae bene la situazione Netrunner, ma rende decisamente poca giustizia alla sala, molto più gremita di così, ve lo garantisco.








La scoperta di questo nuovo ambiente di gioco meraviglioso ha esercitato su di me l’effetto rilassante di una Spa. O almeno credo, un’altra esperienza a me ignota. 

Una cosa è sicura, dopo tanti anni spesi a girovagare di torneo in torneo, ho ritrovato un caro vecchio amico perduto. Non sei tu sarcasmo, tornatene nei commenti di quell’altro articolo! Bentornato, Fair Play, era veramente troppo tempo che non ti vedevo a un tavolo da gioco. Per essere del tutto sinceri non è esattamente così. Però ti assentavi sempre, almeno una o due volte a torneo, io poi m’innervosivo quando non c’eri e mi rovinavo anche i bei momenti trascorsi insieme. È stato bello, per un volta, non perderti di vista mai, dall’inizio alla fine.

Che il futuro del gioco di carte sia davvero in mano ai LCG? Giocarli con gli amici mi ha portato a pensarlo, giocare un nazionale me ne ha dato la conferma: non so se sia il futuro dei giochi di carte, sicuramente è il mio futuro nei giochi di carte, quantomeno il futuro più prossimo.



Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate.