martedì 25 giugno 2013

A 50 lire dalla leggenda

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Nonostante abbia compiuto i miei 3X anni, mi sento ancora piuttosto bene. Anzi, veramente bene. Anzi, ho cominciato a fare palestra perché, non volendo tradire il bambino che fui, perseguo tuttora l'obiettivo finale di assomigliare a Kenshiro (anche se – oh, stupido me bambino – sono biondo, mingherlino, con sopracciglia praticamente invisibili; poi dove lo dovrei trovare uno che mi faccia sette buchi addosso, magari senza uccidermi nel processo?), per cui sono anche più grosso, e sano, di com'ero dieci anni fa.

Non così grosso e sano, ma ci stiamo lavorando.

Sono talmente, quindi, diciamo, ehm, esperto delle cose del mondo da aver giocato ai videogames in sala giochi pagandoli in lire!
Come dite, anche voi? Ok, ma io con le 200 lire. Ma quanto fa vintage, come si dice oggigiorno? Eh?
Ah, qualcuno nella folla (la tipica folla davanti ad un computer, no?) alza la manina dicendo che anche lui l'ha fatto? E allora beccati questo: ho giocato in sala giochi usando le 50 lire. Cinquanta.

Questa è per pochi...


Ho giocato usando le monete da 50 lire, ebbene sì: come se oggigiorno usassimo una moneta da 20 centesimi per giocare. Sempre che uno trovi una fessura dove inserirli. O un cabinato, già che ci siamo.
Solo che ai tempi erano alquanto difficili da trovare, e io e mio fratello le accumulavamo fino a cifre ridicole (tipo, guarda, 600 lire) per poi andare a gettarli a pioggia al Barone Rosso, sotto casa.
Maledetto Red Baron; con le dovute proporzioni, me lo sarei potuto comprare, il tuo aereo… no, vabbe',  ma almeno un libro sugli aerei sì, però.

Dannate 50 lire, piccolissime, maledette! Ti scappavano da tutte le parti, le perdevi e dopo che succedeva? Qualcuno te le ridava?
Eh?
Sì, che c'entra: erano solo 50 lire, la nonna te le ridava anche, ma vuoi mettere l'incazzatura? E io, da piccolo, mi incazzavo di brutto, soprattutto coi giochi. Ho visto api inferocite somigliare a un placido bonzo che contempla i germogli dell'albero di ciliegio, rispetto al sottoscritto a cui scivolavano fra le mani monetine sfuggevoli come manguste.

Ricordo perfettamente i pestoni, le botte e le urla: in effetti vi era una vera e propria componente fisica nel videogiocare in sala che non si può assolutamente trovare in casa (anche perché se spaccate i controller sono cavoli vostri, non potete far finta di nulla e uscire fischiettando evitando lo sguardo interrogativo del barista); e proprio questa componente fisica mi fregò, e mi fregò di brutto.

La Storia Nostalgica di un'Incazzatura™


Posso dare per scontato che conosciate tutti Yie Ar Kung-Fu?
Ok, non lo farò: è un gioco del 1985 in cui impersonate un tale Oolong, che deve farsi strada combattendo una dozzina di avversari fino a guadagnare il titolo di Campione e così vendicare il padre (perché? Che gli hanno fatto? Perché vincere un torneo dovrebbe rendere giustizia a qualcuno? Boh! L'ermetismo dei giochi da sala è tuttora imbattuto).

Il gioco, da molti giustamente considerato il padre dei beat 'em up à la Street Fighter, vede divertenti lottatori dai nomi storpiati (come per esempio Buchu, ispirato al wrestler Abdullah the Butcher al quale somiglia) o descrittivi dell'arma con la quale vi faranno rimpiangere di non esservene rimasti a casa a fare i compiti. Tipo: oh mio Dio, sta arrivando il temibile Sword! E – riuscireste a crederci? – ha con sé una spada!

Voi ovviamente siete a mani nude, tanto per dire.
Almeno non vi chiamate Bare, o Hands.



Finita la scuola, le mie giornate in vacanza si svolgevano così: sveglia, colazione, lavata ai denti, sala giochi (dopo mille suppliche) vicino casa; dilapidazione di cinquantini, cubettosi avversari che si puliscono il sedere con la mia dignità, pranzo (arrivando in ritardo).
Nel pomeriggio abluzione al mare tanto per, fuga ninja in sala giochi, massacro (a mio danno), cena (arrivando in ritardissimo).

La mia era una missione. Ormai battevo agevolmente Buchu che, colpito nelle parti basse, faceva emettere al cabinato un gracchiante «ni-hao», della serie "ciao, gonadi, vi volevo bene". E Star con le sue... sì, stellette ninja, dalla dimensione di un-pixel-uno. E Nuncha col suo – bravissimi! – nunchaku. E Pole col suo – esatto! – bastone.
Non progredivo poi di molto: raramente battevo Chain, che con la sua catena-in-inglese mi colpiva a distanza facendomi schiumare dalla rabbia, e credo che il crudele sadismo con cui Fan (che vi colpisce con i ventagli, ovviamente) mi faceva puntualmente a pezzi sia stato, per anni, inarrivabile.

Però una volta.

Eh sì, è una di quelle storie col “però una volta”. Ero in costume, come sempre in fuga disperata dalla spiaggia. Colmo di cinquantini. Determinato. Il giorno prima ero stato addirittura sconfitto da Buchu (che vi colpisce col suo bucio. Ah. Ah. Ah.) che vi ricordo essere il primo avversario.

Era il momento di farla finita.

Comincio a giocare, aggressivo ma misurato, come un ghepardo che muove i primi passi per inseguire un'agile gazzella nella steppa, immersa in una coltre di spessa nebb-… vabbe', insomma, ero sul pezzo.

Bam, bam, bam! Prendi questo! Mosse a me sconosciute ma effettuate come per magia piovono sui miei avversari, riducendoli in briciole – ovvero a gambe all'aria i maschi, e sdraiate su un fianco le femmine.
Già, LE femmine: batto Fan, vado avanti, nessuno in tutta la sala giochi era mai arrivato a tanto, e nessuno se è per questo mi cagava un granché, ma non importava: era la mia battaglia, la mia storia.
Ero io che lottavo per conquistare quel titolo (nel migliore dei casi una schermata con scritto in engrish «you the Champion») ed era mio il padre che dovevo vendicare da chissà quale terribile sgarbo.

Arrivo al nemico finale, Blues.



Blues. Ancora mi tremano le mani, a sentire il suo nome, e ancora oggi considero il blues… un genere musicale, non il mio preferito certo, però a volte ci può stare.

Questo Blues non indossava nulla di blu, se ne fotteva della pentatonica minore e soprattutto era la vostra copia spiccicata, a livello di moveset.
Mi balza addosso imperioso, con le gambette poderose, mi molla una serie di calci, pugni, calciopugni™ e una rovesciata del tipo Giuro-Ricordo-Tuttora, io controbatto, mi agito, a questo punto la calma è solo un ricordo: mi aggrappo al joystick e pesto sui bottoni e mi dimeno e sudo e poi quel rumore.
Il rumore metallico di una pioggia di monetine mi avverte che la mia pila di spiccioli è crollata.
Dramma emotivo: le cinquanta lire si sparpagliano per tutta la sala giochi e, mentre vengo sconfitto dal mio avversario, cerco affannosamente quattro monete che mi permettano di continuare, di sfidarlo ancora.

Ne trovo tre.
Panico.
Mio fratello aveva finito le sue, e non mi può aiutare.

Trovo l'ultima e scatto come un ghepardo che sono due settimane che gli scappano le gazzelle, ché a star nella steppa è dura, e aveva quasi preso l'ultima e non ci può credere che gli sia scappata, inserisco una moneta, due, tre, e il cabinato simultaneamente inizia il conto alla rovescia.

3, 2, 1.

Infilo la quarta moneta.

GAME OVER

Non ci ho mai più giocato.

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10 Response to A 50 lire dalla leggenda

Francesco Mele
25 giugno 2013 alle ore 16:53

Dicci la verità...ogni tanto sogni ancora questo trauma e ti svegli di soprassalto.

Romero Johnson
25 giugno 2013 alle ore 17:53

Ero al cinema, film ignoto con amici al seguito. Una delle rare volte in cui non arriviamo in ritardo e ci ritroviamo i biglietti in mano con circa 5 minuti di anticipo. A quel punto scorgo il cabinato. Uno di quelli con n-mila giochi e tra quelli OVVIAMENTE Metal Slug, a cui non POSSO fisicamente resistere. Penso che probabilmente una monetina mi durerà sicuramente meno dei 5 minuti e comincio: primo livello senza perdere neanche una vita (facile, OK...), secondo livello senza perdere neanche una vita, un ragazzino si avvicina incuriosito, terzo livello senza perdere neanche una vita! Il ragazzino mi guardava in adorazione. Lo guardo, "Finisci tu". E vado a vedere il film (arrivando in ritardo).

Lokeebot
25 giugno 2013 alle ore 17:55

Mamma mia, il ragazzino ti sognerà ancora.

Lokeebot
25 giugno 2013 alle ore 17:55

Probabilmente :D

Federico
25 giugno 2013 alle ore 18:48

hahaha ricordo benissimo il gioco ed anche io odiavo Fan. Blues posso immaginare fosse un Bruce (Lee) storpiato.

Lokeebot
25 giugno 2013 alle ore 18:50

Probabile lo fosse sì. Che poi il long play che inserito nell'articolo mi fa rabbissima; una roba che per chi non ci ha giocato sembra una sciocchezzuola finirlo.

Federico
25 giugno 2013 alle ore 18:59

chiunque abbia giocato con uno dei primi coin-op sa benissimo che il livello di difficoltà non era nemmeno paragonabile ai giochi di oggi: bisognava avere un sincronismo perfetto e spesso, nel caso dei picchiaduro, anche saper anticipare le mosse dell'avversario.
Eh si, i giochi di una volta erano veramente frustranti!

Mec
26 giugno 2013 alle ore 17:48

io mi ricordo che al mare sulla riviera adriatica andavo sempre in questa sala giochi dove c'era il cabinato di metal slug. Straordinario gioco, ne rimasi stregato. Aveva un solo difetto: non funzionava il pulsante per sparare. Potevo saltare e lanciare bombe. E puntualmente all'arrivo dell'elicottero mi bloccavo e alla lunga morivo, non potendogli sparare. Però non demordevo, continuano a provare dicendomi "lo centrerò prima o poi con queste fottute granate!" saltellando per lo schermo.
Ma allora non sapevo, solo tempo dopo capii che mancava qualcosa e non era normale lanciare solo granate tedesche.
damn.

Big Cat
11 luglio 2013 alle ore 17:24

comunque a quanto ho letto "Blues" sarebbe una di quelle allitterazioni fatte male dai giapponesi, per l'appunto di "Bruce".
Bruce - Brus - Blus - Blues.
thank you, Wikipedia!

Big Cat
11 luglio 2013 alle ore 17:24

no, ma odio la gente che va a giro a petto nudo, e se mi cascano degli spiccioli mi faccio problemi a raccattarli.

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