Nedo: «Deo, ma tu non stavi tipo scrivendo un libro?».
Io: «Beh sì, mi fa piacere tu abbia letto la firma».
Nedo: «Ti andrebbe di buttare giù un articolo sul tuo
processo creativo?».
Io: «Appena capisco cos’è, volentieri».
Oggi ho capito cos’è. O meglio, oggi ho deciso di
cosa voglio parlare, a prescindere da cosa volesse realmente chiedermi Nedo con
quella domanda, rischiando addirittura di avvicinarmici. Oggi ho deciso da dove
cominciare: dall’inizio. Pensate un po’ che tipino anticonvenzionale.
Il mio sogno nel cassetto è sempre stato scrivere
un romanzo fantasy. Un pensiero così stereotipato tra gli appassionati del
genere da vederli spesso comprare un cassetto esclusivamente per poterci
mettere dentro questo sogno. Non so esattamente quale procedimento mentale si
origini nella mente del lettore, se sia più dovuto all’entusiasmo per il genere
così troppo più grande da sentirsi quasi in dovere di contribuire alla
prolificazione dello stesso, se sia più legato all’ispirazione intrinseca che
porta con sé la scoperta di nuovi mondi, nuove razze e nuove “regole” che
governano gli universi così generati, o ancora se intervenga quella vena
polemica macchiata anche da un goccio di presunzione che porta a dire “ma io
avrei cambiato questo, tolto quello, introdotto quell’altro”.
Spesso il cassetto rimane poi chiuso per talmente
tanto tempo da dimenticarsi dove sia la chiave. A volte custodisce già un
manoscritto, più spesso poche pagine, ancor più spesso solo una bozza e
talvolta un post-it con su scritto «ti devo una trama». Io ho perso e ritrovato
la chiave diverse volte. Una in particolare è degna di nota, l’ultima, quella
che poi mi ha anche spinto ad aprirlo il fatidico cassetto. A buttare il
post-it e iniziare da lì.
Quella chiave si chiama Roberto, un mio caro amico
d’infanzia. Uno di quelli con cui giocavo a una brutta copia stentata di
D&D live solo con la fantasia. Coi grembiuli al posto dei costumi. A otto anni. Senza sapere cosa fosse D&D.
«Uff Deo, ancora sta storia; ce l’avevi già
raccontata qui.»
Bravi, siete stati attenti. In ogni caso lui era un
componente di quel gruppo, formatosi a ricreazione nel giardino delle
elementari. A distanza di anni, almeno venti direi, abbiamo avuto modo di
risentirci grazie a quei social network che tanto ho disprezzato in passato ma
che in occasioni come questa, poche senz’altro ma non per questo meno
importanti, son stato contento di aver creato l’account.
«We Deo, come te la passi? Ancora perso tra maghi e
guerrieri?»
«Oh Roby, quanto tempo! Eh sì, gli anni son passati
ma le passioni son sempre le stesse.»
«Bene. Io nel frattempo ho aperto una casa
editrice. To’, ti lancio una chiave, riapri il cassetto.»
[Nota: potrebbero non essere le testuali parole
della conversazione]
Ma forse vi siete anche stufati di sentire i casi
miei e preferireste sapere qualcosa di più sulla creazione del mondo fantasy, a
partire dal nome: Enascentia. Da dove ho cominciato? Sicuramente non dal nome.
Quello ho dovuto tirarlo fuori il giorno prima della pubblicazione del primo
capitolo. Tra l’altro è stato merito di un altro caro amico; se non fosse stato
per la sua illuminazione avrei continuato a brancolare nel buio.
Ho cominciato ponendomi delle domande. La prima
domanda è stata: come attirare l’attenzione di un lettore? Nessuna risposta.
Allora mi sono chiesto: voglio avventurarmi in un fantasy classico o cambiare
un po’ le carte in tavola? Per sapere cosa penso del fantasy classico
oggigiorno, mi spiace ma dovete ribeccarvi il solito link di prima. La risposta
a entrambe le domande era la stessa, ossia rompere gli schemi. Creare un
universo nuovo, composto da nuove razze, nuove regole e un nuovo punto di
rottura che originasse interesse e possibilmente facesse ruotare attorno a se
stesso tutte le altre novità introdotte.
Si, perfetto, ma quale? Perché non rompere un
cardine così importante da sconvolgere la normale narrazione dei fatti? Ora
devo solo trovare qualcosa che abbia stufato, un cliché trito e ritrito da
poter eliminare e generare interesse attorno a questo sconvolgimento.
Pensa Deo, pensa… La magia? No, via, la magia piace e
poi chi vuoi prendere in giro, è tra le cose che ti affascina di più
dell’ambito fantasy. Poi la magia va, anche solo in forma estremamente
semplice, à la Harry Potter, ma piace. I combattimenti? Si vabbè, ora l’hai
proprio sparata a caso, eh? La gravità! Un mondo di esseri fluttuanti! Sì, ma
a che pro? Che spunto narrativo ti danno gli esseri fluttuanti? Al massimo ci
puoi fare una razza che governa le leggi della gravità, ma che sia così per
tutto il mondo ce n’è proprio bisogno?
Ma poi chi ha detto che deve essere per forza un
cliché fantasy? Può tranquillamente essere un cliché della narrazione in
generale. Ci sono un sacco di cose che comincio a non sopportare più da quanto
sono stereotipate. Lo sterminio di intere popolazioni lasciato sullo sfondo a
favore di un presunto lieto fine solo perché viene salvato il protagonista col
quale l’autore ti ha fatto familiarizzare fino a quel momento, per esempio.
Cristo, ma lieto fine di che, sono morti in settordicimila per ’sto demente,
dovrei esserne anche contento? Difficile da estirpare alla base però. Oh, ecco
un’altra cosa che non sopporto: i colpi di scena legati alla famiglia. Ma
perché diavolo deve SEMPRE venir fuori che la chiave di volta è il padre di tizio,
la madre di caio o grado-di-parentela-X di Sempronio? Poveri Tizio e Caio, poi; perché devono essere quasi sempre considerati orfani all’inizio, che poi orfani
alla fine del discorso lo sono con estrema rarità? O ancora scoprire pagina
dopo pagina che due perfetti sconosciuti sono in realtà fratello e sorella,
padre e figlio, marito e moglie lobotomizzati e poi fatti incontrare di nuovo… Le parentele
a sorpresa hanno rotto le scatole! Ora pensate a dieci libri/serie tv/fumetti o
altre forme espressive a scelta che state attualmente seguendo e ditemi in
quante di queste non c’è un colpo di scena legato ai rapporti familiari. Io
sono a 0/10, in tutta onestà. Ferma tutto. Genio, ci sei: questo si può
rimuovere.
Ad Enascentia le persone non nascono, vengono
create. Si ritrovano improvvisamente al mondo già adulte, senza ricordi, visto
che non hanno ancora mai vissuto un giorno di vita, ma con le nozioni che
avrebbero normalmente esseri viventi di quell’età: sanno camminare, correre,
parlare, mangiare, saltare ecc…
Ovviamente questo porterà a porsi delle domande,
molte domande, al punto di doversi anche dare delle risposte, più o meno
definitive. Queste dipenderanno dall’attitudine della razza d’appartenenza,
chiamata anche Tribù, sia a livello di predisposizione fisica sia d’indole
mentale. Esistono sempre dieci Tribù principali in un dato momento in Enascentia,
dieci visioni diverse del mondo, dieci approcci filosofici a volte complementari,
altre affini e altre ancora contrastanti. Gli spunti creativi che si possono
trarre da qui in avanti sono potenzialmente infiniti. O almeno lo sono stati
per il sottoscritto.
Non dirò altro sull’argomento, ve lo lascio
scoprire con la lettura dei libri, dove verrà trattato gradualmente. Sì, parlo
di libri al plurale perché il serial book Il Cubo di Enascentia, già
disponibile su lettereanimate.it e amazon.it, non è l’unica opera in fase di
creazione, ci saranno anche i libri veri e propri, in formato anche cartaceo
oltre che digitale. Probabilmente mi adopererò perché non vengano pubblicati in
trilogie, per puro gusto d’anticonformismo più che altro. Fine del momento di
autopromozione.
Se la cosa può interessare, in futuro vi farò dare
altre sbirciate al processo creativo dietro a Enascentia. Qualsiasi cosa
voglia dire.
Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate.
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