Salgo fino al tetto divorando gli scalini, due per volta. Non mi sento più la spalla. Il fiato è corto, cortissimo. La lingua ormai è carta vetrata sul palato. La spalla. Mi sistemo il berretto sul capo, la visiera impregnata di sudore. La spalla, continuo a stringerla.
Non guardare il tuo sangue. Concentrati.
Mi fermo. Ascolto. Niente. Pare niente, almeno. Controllo la tromba delle scale. Chiudo la porta. Li terrà fuori. O dentro, anche se non fa molta differenza. Poche cose la fanno, ormai.
Il sangue. Sto per svenire. Non voglio dare loro questa soddisfazione. Prendo dallo zaino la garza sterilizzata. Mi levo il giubbotto, apro la camicia. Quanto sarà profonda la ferita? Cerco di non guardarla troppo. Di non fissarla. Stringo il bendaggio. Non lo avevo mai fatto. Gesù, è già rosso.
C'è un bel sole, luminoso. Quasi bianco.
Mi rimetto il giubbotto e i denti stridono. Il dolore è insopportabile. Vorrei la morfina di Vasija. Povero Vasija. Va comunque bene, va bene il dolore, se non vedo più quella benda, quella benda tutta rossa, va bene davvero.
Apro di nuovo lo zaino e controllo tutto quel che mi resta. Poco. Una scatola di fagioli precotti. Una coca calda. Un revolver scarico. Il bastardo mi ha lasciato solo questo. Oltre la pallottola. L'ultima. Me l'ha ficcata nella spalla. La cosa lo faceva ridere.
Loro erano a pochi metri da noi. Avevano sentito l'esplosione del colpo e il mio tonfo al suolo, l'odore della polvere da sparo e del mio sangue. Lui rideva. È salito sulla jeep che avevo aggiustato, quella mia e di Vasija, quella rabberciata con i pezzi trovati in giro. Se n'è andato, lasciandomi con loro che mi avevano sentito, che avevano annusato il mio sangue. “Respiri ancora, no?”, ha detto. “Una bella comodità”, ha detto.
Aveva ragione, è una bella comodità. Respirare è quello che ti serve e ti deve bastare, qua. Vuol dire che non sei morto. Se non sei morto, non sei ancora uno di loro. È una di quelle poche cose di cui parlavo prima. Quelle che fanno la differenza, intendo.
Apro il cibo in scatola e ne bevo prima l'acqua. Mastico i fagioli uno per volta, con i molari. Piano. Inghiotto solo quando non c'è più niente di solido in bocca. Apro la coca. Piccoli sorsi. Piccoli. Non berrò per un po'.
Sussulto. Colpi di pistola, qualche ordine strozzato. Persone nel palazzo vicino. Gente viva. Stanno ripulendo. Vasija me l'aveva detto che a Chernogorsk è così. Si organizzano da queste parti. Gruppi piccoli. Alcuni sono amichevoli, ma non puoi saperlo subito. Se non puoi sapere una cosa subito, quando la vedi, non prenderti nemmeno il disturbo di controllare, dico io. Da loro almeno sai cosa aspettarti. Ma da quelli come me? Da quelli vivi? No. Mai fidarsi.
Arriveranno qui. Ho una pistola scarica con il suo ultimo proiettile nella mia spalla. Niente morfina. Niente cibo. Sono inutile, non varrei nemmeno un colpo in testa. Mi farebbero fare l'esca.
Devo andarmene. Scendere le scale, passare dalle strade secondarie, in silenzio. Cercare un altro posto prima che sia notte. Magari in campagna. Trovare del cibo. Qualche pallottola. Respiro ancora. È importante. È sicuramente una bella comodità. L'ultima che ci è rimasta.
Un bel sole, davvero. Luminoso. Troppo luminoso per l'inferno.
DayZ volevo recensirlo sul serio, come fanno quelli bravi. Ma poi ho pensato che no, non sarebbe giusto. Principalmente perché è una mod di ArmA II, per giunta in fase alpha. Ma non solo: DayZ è un'esperienza intima e terrificante, difficile da descrivere utilizzando il gergo asciutto del settore, ancora troppo simile a quello di un venditore di elettrodomestici o di auto. Ho pensato fosse meglio provare a descrivere una sessione di gioco attraverso le parole di un raccontino senza pretese.
Proviamo a continuare ancora con le suggestioni: immaginatevi di trovarvi sulla costa di un ex Paese sovietico, dalle città grigie e disperate come il cemento. Gran parte della popolazione è morta a causa di un virus, mentre la restante… be', si è trasformata in qualcos'altro. Avete una pistola con pochi colpi e viveri che vi basteranno per mezza giornata. Siete probabilmente soli.
Il primo pericolo che conoscerete sono gli infetti. Sono praticamente ciechi, ma hanno un udito e un olfatto superiori, oltre a una velocità sovrannaturale. Sparate un colpo, fate qualsiasi rumore in prossimità di uno di loro e ve ne troverete una mezza dozzina alle calcagna. Non vi molleranno fin quando qualcosa di altrettanto appetitoso non li distrarrà. Sanno che prima o poi vi stancherete, vi indebolirete e collasserete al suolo.
Il secondo pericolo è la trinità fame, sete e salute. Le risorse sono poche, pochissime. Vanno cercate casa per casa, palazzo per palazzo. Può capitare di sprecare tutte le proprie munizioni cercando di entrare in una fattoria abbandonata, mentre i crampi allo stomaco già vi stanno rallentando, per scoprire poi che tutto quel che resta sono scatolette vuote e bottiglie rotte. Se vi colpisce un infetto, avrete bisogno di medicare la ferita o rischierete di morire dissanguati.
Il terzo pericolo è quello peggiore, però: sono i vostri simili. Una cinquantina di sopravvissuti come voi sono sparsi per la campagna e i centri abitati. Anche loro hanno fame e sete, hanno bisogno di medicine, viveri e armi. Potrebbero chiedervi di aiutarli a ripulire un quartiere, di esplorare la campagna alla ricerca di un rifugio sicuro o semplicemente regalarvi una borraccia piena d'acqua perché faticate a stare in piedi. O, al contrario, spararvi un colpo in testa per rubarvi anche solo una misera scatoletta di sardine. Possono aver condiviso con voi ore di viaggio e abbandonarvi circondati dagli infetti, o sacrificarvi per aggregarsi a un gruppo più armato, più sazio e con una quattro ruote sotto il sedere. Voi stessi vi ritroverete a compiere azioni abiette e amorali pur di sopravvivere.
Vi siete fatti un'idea? Sì? No. Ve lo dico io: per niente.
Non vi ho ancora detto che i sopravvissuti sono giocatori come voi e che il mondo è sempre online, anche quando non siete collegati. Ma, soprattutto, che avete una sola vita. Se il vostro personaggio cade, cade per sempre.
Sta in queste poche, ultime caratteristiche la grandezza di DayZ. La scarsità di risorse, la pericolosità dell'ambiente e la propria mortalità sono fonte continua di tensione e di paura. La tensione e la paura a loro volta vi costringeranno a programmare ogni vostra mossa, a scrutare l'orizzonte alla ricerca di minacce ancora distanti. Poco alla volta, qualsiasi vostro compagno di viaggio inizierà a valere quanti colpi ha nel fucile. Subdolamente, con il passare delle ore, gli zombie diventeranno poco più che incidenti di percorso. I nemici, i veri nemici, sono gli altri, quelli che vogliono le vostre cose, che sono disposti a tutto per averle. Voi siete quel poco che avete e farete di tutto, di tutto, perché la faccenda rimanga così.
Un favoloso gioco con gli zombie ma non su gli zombie, in cui i veri protagonisti sono i fragili rapporti fra le persone. Esattamente come le grandissime pellicole di Romero o il fumetto di Kirkman, l'orrore e la crudeltà sono appannaggio dei vivi, capaci di ogni bestialità quando privi di ogni freno inibitore.
Dire che sia un mod consigliato è una sottigliezza a cui non mi abbasserò. Però, ecco, ci siamo capiti.
Fatemi sapere com'è il sole a Chernogorsk, dopo che ci siete passati.
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1 Response to DayZ e un sole troppo luminoso
Spettacolare. Avevo già provato in passato la mod in questione e devo dire che, a differenza di chi ha scritto questo post, sono stato più fortunato in termini di alleati. L'ultima volta che ho giocato ho dovuto aspettare, disteso all'interno di un cortile di una chiesa con un mio amico ferito, i rinforzi....che in questo caso significava un terzo giocatore con un fucile, una pistola e la bicicletta.
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