A quanto pare Hitler non ha preso bene i risultati della campagna europea dei suoi giocatori. |
Caro Diemme,
ti voglio bene come a un amico. Sai, come a uno di quelli non proprio sveglissimi che frequentavi alle elementari, giusto perché avevano la Cittadella del Serpente di Skeletor mentre a casa tua dovevi accontentarti di cartoni del pandoro ritagliati. Un'amicizia vera che si sostiene su solide basi pragmatiche, quindi, scevra di sentimentalismi e ipocrite comunioni di spirito. Come la nostra, in fondo.
C'è un "ma" sottinteso, vero?
Quante ore passate a giocare con la scatola rossa di Dungeons & Dragons! E la meraviglia nello scoprire più tardi che aprendola c'era un gioco di ruolo dentro! Ti ricordi la tua prima avventura, dove mi hai mandato a recuperare un amuleto in una catacomba difesa da uno scheletro guerriero? Dislocare le sue ossa a colpi di mazza e arraffare il bottino è stato bello come il primo bacio. Anzi, più bello del primo bacio, ché almeno non ho dovuto limonarmi la mano per fare esperienza.
Se credi che ora non mi aspetti un "ma", ti sbagli di grosso.
Ti voglio bene perché devo molto a te, devo molto alle tue storie. Le campagne che progetti sono per me la Cittadella del Serpente che da solo non mi potrei permettere.
Il "ma" ce l'hai in canna, sparalo subito e ci leviamo il pensiero. S'è fatta una certa, poi.
Ma… ecco, nonostante l'esperienza, nonostante la cura con cui prepari le campagne e le sessioni settimanali, ci sono degli aspetti del tuo stile di narrazione dittatoriale che tuttora mi perplimono. È un po' come se giocassimo da dieci anni con la Cittadella del Serpente e potessi usare solo quell'inutile pupazzo del principe Adam.
Sono piccolezze, per carità, e certo non te le enuncerò in un manciata di punti, ci mancherebbe.
Anzi, sì.
Arbitro cornuto!
C'è che ogni tanto ti prepari delle scene grandiose, davvero mirabili, in cui offri il meglio del tuo repertorio. Momenti epici, pieni di tensione e ricchi di significato, come l'assassinio di un principe vampiro, la scoperta di un oscuro pericolo che ci spia, il tradimento di un alleato, la redenzione di un nemico o, per fare l'esempio più lirico e drammatico, il giorno delle pensioni alla posta.
Non ci sarebbe niente di cui lamentarsi, se tu ci permettessi di prevenire o plasmare suddetti esempi in qualche maniera; invece saldi porte che si aprivano un momento prima, trucchi tiri di dadi, rendi la pozione d'invisibilità la bevanda più bevuta del mondo, nascondi alcune informazioni e altre ce le sbatti in faccia. Con la frequenza con cui mi hai drogato, paralizzato o legato da qualche parte per non permettermi di reagire, mi stupisce non ti arrivino attestati di stima da parte di qualche stupratore seriale.
Se la storia scorre su dei binari e tu sei indubbiamente la locomotiva, a noi rimane al massimo la parte da carrozza di seconda classe col cesso intasato.
È frustrante, capisci? Se non siamo padroni del nostro destino ma meri spettatori, rischiamo di sentirci come mogli di uno sceicco la cui scelta più importante della vita è il colore delle tende in cucina.
V.I.n.P.c.
Non penso dovrei spiegarti l'acronimo PNG. Sai benissimo cosa significhi "Personaggio Non Giocante", no? Si chiamano così perché, insomma, non giocano. Sono strumenti i cui unici scopi sono aiutare od ostacolare i personaggi giocanti, mettere in moto gli eventi e fornire informazioni. Poco più di un coltellino svizzero dotato di una scheda, insomma.
In genere il concetto ti è chiaro, ma ogni tanto ti innamori di un PNG e da onesto utensile multiuso lo trasformi in agente principale della storia. Ci costringi a osservare personaggi pressoché onnipotenti e onniscienti, col fisico di Bruce Lee, la capacità analitica di Stephen Hawking, il carisma di Optimus Prime, l'attitudine al comando di Churchill e il vigore sessuale di quarantaquattro tori in fila per tre col resto di due.
In certe sessioni addirittura ne sono presenti più di un paio contemporaneamente, con nostra somma gioia (*coff coff*ironia*coff coff*). Ci tocca stare fermi come stoccafissi sottosale a rimirare le gesta eroiche dei tuoi omini, che intanto si incontrano e si scontrano fra loro, producendosi in spettacolari battaglie o in duelli di ars oratoria che ciao Romney, ciao Obama.
Non paghi, dopo averci mostrato tutto il loro formidabile repertorio di trucchi, hanno spesso il coraggio di chiedere il nostro aiuto per pratiche che potrebbero sbrigare dilatando una narice. «Certo, ho vinto al SuperEnalotto giocando solo due numeri e ho ucciso un demilich con un decespugliatore rotto, ma ora ho assolutamente bisogno che puliate la lettiera del gatto. Solo voi potete farcela!»
Sarebbe come se facessi dodici salti mortali di fronte a un tetraplegico e poi gli domandassi se può fare una corsetta dal tabaccaio per comprarmi i filtri. Non ha senso ed è umiliante.
L'immutabile fato dell'eroe
«Pillola rossa o pillola blu. È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre.» «E qual è la differenza?» «Mah, niente. Una sa di mirtillo e l'altra di fragola.» |
Il gioco di ruolo si regge su un meccanismo i cui principali ingranaggi sono la responsabilità della scelta e l'inevitabilità delle conseguenze.
Le tue azioni hanno un peso, un errore di valutazione costa caro e riflettere su ogni mossa è l'unico metodo per raggiungere la gloria. Praticamente il contrario delle primarie di partito, insomma.
La reattività del mondo di gioco – e di conseguenza del master – è ciò che può rendere memorabile una campagna in apparenza banale. Fa sentire le nostre scelte essenziali, pesanti e ci incentiva a sperimentare.
È vero che spesso i giocatori compiono scelte radicali e in ultima analisi assolutamente stupide, ma è eccitante fare all-in e riuscire a portarsi a casa tutto il piatto; è epos concentrato come i tubetti di pomodoro. Quando il fallimento non solo è contemplato, ma percepito come il risultato più scontato, il successo è vissuto come straordinario e irripetibile.
Ma a te interessano più il ritmo della narrazione e il nostro destino di eroi baciati dalla fortuna. Più che a creare un parco giochi per i nostri capricci interpretativi, sembra tu stia prendendo appunti per un romanzo tipo I draghi dell'estate di fuoco o un'altra porcheria per cui dovremmo far far finta di non conoscerti quando passi per strada.
Succedono cose strane, quando hai paura che la partita si interrompa per un nostro errore di valutazione.
Se il guerriero carica a testa bassa un gigante del ghiaccio, rettifichi affermando che abbiamo capito male, che figurati, che il suo era un lapsus e che quella lì è un'innocua badante di Ajaccio.
Se ci giochiamo male uno scontro e gran parte di noi muore stupidamente nei primi livelli, vicino ai nostri cadaveri accatastati passa per caso un chierico con una carretta di diamanti e ci resuscita gratuitamente, perché «Sai, è per l'operazione simpatia della chiesa di Lathander».
Se decido di premere quel bottone lì, sì, quello con su scritto "Non premere il bottone", inizi a muoverti a disagio sulla sedia, a farmi l'occhiolino, a indicarmi la mappa con aria disperata. Se continuo a insistere, ti senti costretto a utilizzare la frase più sbagliata del mondo, la cosa più brutta da dire a un adulto dopo "Non sei tu il problema, sono io": «Il tuo personaggio non potrebbe mai fare una cosa del genere, non avrebbe senso». Se inizi a contestare le scelte dei giocatori invece di punirli per la loro sciocchezza, non puoi che perderli. Da quel momento sapranno che possono scegliere soltanto fra un successo guadagnato o un successo imposto da te.
Niente rischio, niente all-in disperati. Soltanto una montagna russa in cui la corsa finirà sempre con una risata e una foto ricordo. Anzi, nemmeno una montagna russa, più un Brucomela.
Pensaci. Io intanto mi compro la Cittadella del Serpente. Non si sa mai.
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