La narrazione nei videogiochi è quasi sempre brutta. Non sto parlando di una tipologia di brutto che si approssimi a "la messa in scena non riesce a esaltare le tematiche trattate", ma piuttosto a qualcosa che suoni tipo "se esiste davvero un dio, lo prego, umilmente lo prego di liquefarmi i bulbi oculari seduta stante".
È per questo che quando qualche carciofo antropomorfo travestito da P.R. mi parla di una storia cinematografica, avvincente e matura, la mia testa va automaticamente a percuotere uno spigolo della scrivania fin quando uno dei due non cede.
Per ora sta vincendo col suo legno massello, ma sento di avere buone possibilità di batterla con le uscite Ubisoft del 2013.
Capirete dalle premesse che alla presentazione di The Walking Dead e la sua struttura episodica, non ho potuto fare a meno di tirar fuori la cera da legno profumata. In un medium in cui ci vogliono emozionare ingozzandoci di G.I. Joe bidimensionali che si sforacchiano in nome della Libertà™, in che stato di orribile decomposizione avrebbero ridotto il fumetto di Kirkman a cui si sarebbero dovuti ispirare?
Brivido. Terrore. Raccapriccio.
Invece, conclusasi giusto ieri la prima stagione con il quinto episodio, posso assicurare l'integrità strutturale di scrivania e cranio, ché Telltale non solo ha rispettato fedelmente la filosofia che muove la serie dell'Image dai suoi albori, ma ne ha perfino rafforzato i pregi attraverso strumenti che solo un'opera interattiva possiede. Addirittura? Addirittura.
Eppure la prima cosa che si nota è un gameplay ridotto all'osso. All'osso sottile di un pollo malnutrito. Le parti da avventura punta e clicca offrono puzzle dalle soluzioni scontate, le fasi d'azione hanno il coefficiente di difficoltà dello scartamento di una caramella e i Quick Time Event sono così complessi da richiedere ben DUE tasti (sempre gli stessi, nel caso uno rischi di confondersi con una tale abbondanza di combinazioni).
La trama, per quanto esposta con mestiere, non è niente di più del solito pastiche sulla travagliata convivenza fra alcuni sopravvissuti di un'apocalisse zombie, tematica già ampiamente esplorata nel cinema sin dagli anni Settanta.
Dopo un'ora di gioco, quasi verrebbe voglia di bollarlo come un goffo clone di Heavy Rain, per giunta con bassi valori di produzione, e tornare a spippolare giulivi su Hotline: Miami (che se vi è piaciuto il Drive di Refn, quindi se non siete brutte persone, ve lo consiglio caldamente).
Ma proseguendo nell'esperienza, si scopre che l'anima del gioco e il suo più alto merito risiedano nell'estrema qualità di scrittura dei personaggi. E gli aspetti che sembravano deboli e blandi in precedenza iniziano ad avere un senso nel quadro generale, come funzionali e discreti strumenti che esaltano la struttura dialogica del gioco senza appesantirla di inutili orpelli.
I protagonisti di The Walking Dead sono stupefacenti ritratti tridimensionali di umanità, dotati di reazioni credibili, personalità sfaccettate e profili psicologici delineati da una penna straordinaria. Impari a conoscerli, a detestarli o ad amarli. Le loro domande sono le tue domande, la loro paura è la tua paura, il loro dolore è il tuo dolore.
Questa sensazione, che ha un suo riscontro con tutti i personaggi, è amplificata nel magnifico rapporto fra Lee, il tuo avatar, e la piccola Clementine, una bambina che hai deciso di proteggere dalla spaventosa realtà che vi circonda. E ci tengo a sottolineare la seconda persona: TU vuoi accudirla, TU ti trovi a pensare alla sua salute fisica e psicologica. È come entrare nelle pagine de La Strada di McCarthy o rivivere la commovente esperienza di Ico, giusto per farvi capire che razza di capolavori debba usare come riferimento.
Con il passare delle ore, fra te e i comprimari si crea un legame affettivo reale e il tuo maggiore interesse passa dal perseguimento degli obiettivi di gioco alla vera cura dei tuoi amici digitali. Tu vuoi che stiano bene, che non soffrano più di quanto sia necessario, che possano uscire dall'incubo in cui siete precipitati insieme, mano nella mano.
Nonostante l'aspetto visivo sia volutamente fumettoso e stilizzato, finisci per dimenticarti di avere di fronte attori virtuali e credi a ciò che vedi su schermo. È una sensazione straordinaria che si prova raramente durante un lungometraggio, ancor meno nei videogiochi, molto spesso fin troppo freddi.
I rapporti con i compagni si adattano alle tue scelte durante il gioco e ti trovi spesso a riflettere (per pochi secondi, visto il sistema di dialogo in tempo reale) su quale sia il corretto piano d'azione o la risposta più giusta in una conversazione, sapendo perfettamente che non potrai mai fare contenti tutti e molto spesso le circostanze faranno scegliere solo fra il male e il peggio. Del resto siamo pur sempre nell'universo senza speranza e riscatto di The Walking Dead, un vero e proprio manifesto punk del genere.
La prima risposta spiega in maniera concisa ed efficace lo stato d'animo di Lee durante gran parte dei gioiosi eventi che lo vedono protagonista. |
Le decisioni moralmente ambigue che sei costretto a prendere per tutta la durata della stagione, per quanto mai particolarmente nuove per un appassionato del fumetto, acquistano una profondità inattesa per la possibilità che cambino radicalmente la tua esperienza di gioco negli episodi successivi, oltre al fortissimo investimento emotivo sui personaggi e il loro destino.
La storia si adatta al tuo modo di giocare. Praticamente sceglie fra prenderti a schiaffi o gettarti in una betoniera accesa. |
In conclusione, non posso che consigliarvi caldamente The Walking Dead, per giunta a prezzo stracciato per le prossime ventiquattro ore. Vi potrete godere una storia che si adatta alle vostre scelte, accompagnati da personaggi fra i più memorabili della storia del medium. Per giunta con il lusso, finalmente, di poter provare qualcosa.
E vi prego, se la rivedete, abbracciate Clementine da parte mia.
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