martedì 13 novembre 2012

Fare un colloquio da eroe e trovarsi impiegato al catasto

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Con certi narratori, il più scarso dei senzatetto è Rutger Hauer.


Caro Diemme,
ci sono un po’ di cose che è giunto il momento che ti dica, perché c’è tanto amore ma anche tanta polemica. Per cui, vieni a fare una passeggiata con me, che te le racconto per benino…
Questa passeggiata ha inizio in una notte delle nostre, una normalissima e contemporanea notte come tante altre. Sono circa le undici, undici e mezzo, e ho finito da poco di mettere l’ultimo pallino al mio vampiro della Masquerade.
In un’altra notte in tutto e per tutto simile a questa sono sempre le undici, undici e mezzo. Il mio personaggio, bello e maledetto, cammina solitario per vie e vicoli battuti da una brezza fredda che entra nelle ossa, fa volare le cartacce e scuote le fighissime code del suo irrinunciabile trench di pelle nera.
Nella nostra sinergia transdimensionale ci sentiamo entrambi sgargianti e potenti: siamo consapevoli che i nostri quattro pallini spesi in discipline e la nostra invidiabile ottava generazione (noi sì che sappiamo fare un uso saggio e funzionale dei punti liberi!) ci rendono con tutta probabilità l’essere più potente nel raggio di vari isolati. E così ci godiamo una scena di pura estetica, in cui lui indugia in una camminata byroniana forse un filo troppo simile a una sfilata di moda, mentre io ne descrivo la bellezza, truce e diafana al contempo, fino all’ultima cucitura dell’orlo dei calzoni.
Entriamo in un locale (un normalissimo locale, non un elysium, non una sorgente, non un luogo speciale; un locale normale, un discobar). La notte è giovane e piena di golose occasioni da cogliere come frutti maturi dal ramo. Basta avere lo spirito (e il personaggio) giusto.
Fast forward.
Non si sa come, siamo sopravvissuti a quella notte e a quelle successive (per me abbastanza probabile, per il mio personaggio, a conti fatti, molto meno).
Quanto segue, è un estratto selezionato di quello che abbiamo scoperto in seguito: nel discobar di periferia c’erano duecentoquarantasette persone tra clienti e personale; centotredici erano vampiri, sessantaquattro lupi mannari e cinquantanove erano maghi. Degli undici umani rimanenti due occultavano nei giubbotti delle Desert Eagle caricate con proiettili al fosforo, uno aveva nelle tasche due granate, anch’esse al fosforo, e paletti di legno a iosa, e tre possedevano la Vera Fede, tutti tra il terzo e il quinto pallino.
In città il principe è di quarta generazione, c’è un monastero del Sabbat sulle colline presidiato da due Lasombra di terza generazione e il più giovane membro del Consiglio ha quattrocentocinquantadue anni. Calcolando, peraltro, che ci troviamo in una sperduta cittadina del Kentucky che arriverà si e no a millecinquecento abitanti, è fortemente probabile che gli undici esseri umani presenti l’altra sera nel discobar siano di fatto gli unici in tutta la città.


Carichi di contrizione e mestizia, ma anche voglia di rivalsa, abbandoniamo questi lidi urbani e contemporanei per trasferirci in un altro piano. Perché no? Nel Faerun.
Ah, il Faerun, che bel posto! Col mio nuovo personaggio, camminiamo giulivi e, lungo la strada, ci fermiamo a chiedere a un contadino indicazioni sulla direzione per il villaggio più vicino. Il brav’uomo ci illustra cortesemente la via e, nel mentre, si accende la pipa con una fiammella che gli è spuntata dalla punta dell’indice dopo aver schioccato le dita. Perplessi, lo ringraziamo. Il bracciante saluta, poi si volta corrucciato verso i campi seminati di fresco e inizia a scacciare i corvi a suon di fulmini e palle di fuoco.


Quello che a prima vista sembrerebbe un comune strumento agricolo, è in realtà un temibile forcone vorpal.
Ogni contadino a cui cercherete di rubare anche solo una cipolla ne sarà dotato.


Raggiungiamo il villaggio con la testa bassa e il morale a terra. Entriamo nella locanda e sediamo al bancone, dietro al quale un tizio corpulento dall’aspetto rude sta imprevedibilmente asciugando dei grossi boccali. Ordino una pinta per il mio personaggio ed entrambi beviamo, lui il suo sidro, io la mia cola. Con la coda dell’occhio non smettiamo per un attimo di constatare il sovrannaturale carisma 20 della figlia dell’oste.
Evidentemente non siamo gli unici ad averlo notato, perché da un tavolone al centro della sala un drappello di guerrieri pesantemente bardati si alza all’unisono rivolgendo genuini se pur gretti apprezzamenti all’indirizzo della donzella.
Ha! Forse un’opportunità di dare prova del nostro valore e delle nostre doti è alle porte! Sconfiggeremo i felloni e conquisteremo il favore e le grazie della fanciulla! Certo, loro sono tanti per la nostra spada e un aiuto non guasterebbe, ma con un’adeguata dose di astuzia e superiorità tattica in teoria ce la dovremmo fare. Stiamo ancora valutando la situazione ed elaborando il piano bellico, quando da dietro il bancone sbuca fuori l’oste, armato di mattarello, che al suon di un “non voglio porci grufolanti nella mia locanda!” mette in fuga l’intero manipolo in un turno solo, assestando tremendi critici debilitanti sulle zucche degli screanzati uomini d’arme (il pingue esercente del ramo ristorazione appare palesemente padrone del talento “incalzare prodigioso”).
Finiamo il sidro e la coca, lasciamo cinque monete di rame sul bancone e ce ne andiamo. Per sempre, perché sono triste, amareggiato, privo di cola e senza voglia di viaggiare. In me cresce molta polemica.

Caro Dungeon Master, quando in un mondo dominato ormai da vampiri, maghi e altre creature sovrannaturali, tutte rigorosamente più sagge, forti e influenti di me, l’ultimo essere umano rimasto sulla Terra ha Vera Fede al quinto pallino; quando in un intero continente eterogeneo e sconfinato il più infimo mendicante è uso grattarsi le chiappe con “mano magica” perché usare quella fisica non è affatto chic; quando durante un’epopea (che mi vedrebbe protagonista) capita di incontrare rachitici ragazzini i cui tiri salvezza e classe armatura mi darebbero un’opportunità di nuocere loro solo se vulnerabili al mio sconforto… mi chiedo perché lo fai.
Perché in qualsiasi mondo io vada, qualsiasi cosa faccia, quantunque abile sia, è mio destino restare un mediocre nessuno?
E allora sai cosa ti dico? Dove non può la forza, l’astuzia, la grazia, l’intelligenza, ebbene, là potrà la puntigliosa e insindacabile discordia.
Nella prossima campagna farò il vigile urbano!


Lezione numero uno per il master provetto: fai sentire i giocatori importanti e al centro della storia; sono loro i motori della partita, non tu.

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