mercoledì 5 dicembre 2012

Barbapapà e le avventure nel mondo dell'usato

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L'industria ama avere i soldoni belli spiattellati sul tavolo, puliti e facili da contare. Sarebbe anche un desiderio lecito, se non fosse che ha la stessa soglia di attenzione e capacità di analisi di un gruppo di gibboni intento a rimirarsi i genitali.
Per esempio combatte la pirateria con sistemi che irritano solo gli acquirenti reali, considerato che la comunità di cracker al massimo passa due ore in più per rilasciare una versione perfettamente giocabile su piattaforme p2p.
Io debbo scrivere codici lunghi come le password dei giochi NES, installare cacca che rischia di far saltare il lettore, perdere tempo a far riconoscere la copia su internet, scaricare patch che cercano di ovviare alle copie warez, ma che nella migliore delle ipotesi mi creano confilitti di sistema. Il pirata lo gioca con meno intoppi, usa patch non ufficiali e gode della mia stessa esperienza anche un mese prima della data d'uscita ufficiale.
Intendiamoci: non è amaro rosicare verso chi pirata. A me non frega niente, ma proprio niente di quanto l'Average Joe spenda in un'attività di puro intrattenimento, spesso dal nullo valore culturale. Non viene a rubare a me, a esser sinceri in linea di principio non ruba proprio. Tutt'al più clona.
Mi fa invece arrabbiare dover pagare una percentuale tristemente alta delle mie finanze e trovarmi a dover fronteggiare angherie tecnoburocratiche senza fine.

Ma le softuer aus non erano felici di liquefarmi le parti basse soltanto così, no. «Accipicchiolina» avranno pensato «il problema che sentiamo ora, oltre alle ovvie frustrazioni di natura sessuale, è quel bruttocattivo mercato dell'usato».
Che machiavellico piano avranno escogitato per ovviare al problema, oltre al famigerato Digital Delivery?
L'online pass? Sì, anche. Chi compra nel 2012 una copia usata di un gioco con una forte componente multigiocatore, è assai probabile non possa usufruire dell'esperienza in linea senza comprarla a parte.
Ma c'è di peggio. E lo provai qualche anno fa. Per comodità espositiva, sfrutterò una simpatica e gioiosa famiglia di scamorze colorate.



Barbapapà acquista Dragon Age: Origins al prezzo di quaranta euro. In ogni copia nuova è presente il codice per sbloccare Shale, uno dei più massicci e gradassi personaggi dell'intero balocco. Barbapapà scrive con le sue gommose mani l'intera stele di rosetta sul portale Bioware e, infine, gioisamente prende a BBBUGNI quel coacervo di cliché ispirato dalla peggiore narrativa fantasy moderna.
Barbapapà arriva ai titoli di coda e si accorge che tutto sommato non è così Baldur's Gate come lo dipingevano. Si trasforma in un enorme betoniera rosa e decide di venderlo a Barbabravo.

Un gioco così mainstream, per pc, quanto può valere usato? Trenta euro? Venticinque? Barbapapà riesce a cederlo a Barbabravo per trenta euro. Il giovine installa il titolo e già smadonna in swaili: non può usare la piattaforma online di Bioware, essendo quella copia legata all'account di Barbapapà. Magari esiste un lecito modo per raggirare l'invalidante limitazione, non saprei. Per comodità facciamo finta ci sia, eliminando l'ipotesi che Barbapapà, ora un triciclo rosa, voglia privarsi del suo account. Barbabravo, per quanto già provato dall'esperienza, può ora finalmente dilettarsi con il suo acquisto.
Il gioco offline funziona egregiamente, ma vorrebbe proprio prendere a BBBUGNI tutti con il golem misantropo. Non può usare il codice nella scatola, essendo usato. Ma, con somma gioia, nota che Shale si può comprare nello store della Bioware. Per giunta al modico prezzo di quindici dollari. Cifra da scambiare in Bioware Points prima dell'acquisto, giusto per rendere l'operazione ancora più arzigogolata e sfiancante.
Per godere della stessa esperienza di Barbapapà, Barbabravo ha speso in tutto quarantacinque euro. All'incirca la cifra investita dal rosato padre per una copia nuova e integra. Il cosetto blu piange e Barbapapà diventa un gazebo rosa per consolarlo.

Barbaforte segue la scena con scoramento e, essendo noto il suo odio per i soprusi, scarica la versione pirata di Dragon Age: Origins. Nota, fra i vari files, anche la presenza di tutti i DLC a pagamento, pienamente funzionanti e paradossalmente più semplici da attivare in gioco.
«Sarà un errore» dice Barbabella. «Avran capito dopo questa debacle che è un sistema esageratamente punitivo» aggiunge Barbabarba. «L'usato fa parte dell'indotto dell'industria videoludica, non posso credere siano così miopi» afferma Barbottina. «Bau bau» chiosa Barbazoo.
Sembra tutti abbiano imparato qualcosa.

Tutti, tranne ovviamente chi i giochi li produce e li sviluppa. Probabilmente la prossima generazione di console prevederà un sistema anti-usato.
Metamorfosi chiaramente blasfeme scuotono il mondo colorato di Barbapapà.


Io, essendo dotato di una forma non modificabile se non per via chirurgica, mi accontento di nominare un numero sufficiente di santi per tirar su un musical.

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