mercoledì 12 dicembre 2012

Morte - Parte quarta

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Poi, pian piano, la quiete. Urlavano ancora, ma avevo smesso di ascoltarli; vorticavano e si aggrappavano a me, ma li ignoravo. Li sentivo, erano ancora lì, impazziti per il terrore, ma non mi facevo più sopraffare dalla loro isteria, non mi lasciavo prendere dal loro panico.
Avevo capito e quindi sapevo cosa fare. Questo bastava.
Certo, era una follia. Ma non è forse una follia vivere con i fantasmi? Non è una follia sfruttarli in qualche modo per regolare la propria vita sociale?

Devo essere sbiancato. Ritrovai la vista, l’udito, il corpo. Tania mi guardava con espressione interrogativa e un po’ preoccupata, mi teneva la mano scuotendola leggermente.
Tania…
«Sì, ti ho vista…».
Sorrise: «Meno male! Pensavo te ne fossi andato da qualche parte… Stai bene?»
«Ti ho vista…» e sorrisi anch'io.
Il suo, di sorriso, invece, si congelò. Mi guardava ancora negli occhi, seria, preoccupata. Triste.
«I fantasmi, li avevo visti, sai…» parlando, mi guardava ancora negli occhi, ma sulla mia mano aveva lasciato la presa.
«Ti stanno attorno, si attaccano a te. Tu li attiri. Alcuni sono giovani, altri antichi. Non ti vogliono né bene né male, non gli interessa la tua vita. Ce ne sono di più o meno intelligenti, ma nessuno è saggio. Stanno attorno a te e a quelli come te. Si aggrappano. Non tutti quelli come te se ne accorgono, non tutti li sentono. Tu sì.»
Sorrise: «Tu hai una sensibilità speciale…» avvicinò la sua mano alla mia, come per una carezza, poi si trattenne: «Sono solo fantasmi, spiriti di gente morta. Spesso di morte violenta, ma non sempre. Sono gli spiriti di persone che non hanno voluto e non vogliono accettare la propria morte, che non si rassegnano ad abbandonare l’esistenza terrena e proseguire il proprio percorso. Così si aggrappano a quelli come te, dei solidi ancoraggi, perché voi siete i Figli della Vita. Con la vostra forza, con la vita che scorre in voi, riuscite a tenerli qui, nella materia, che pure più non gli appartiene».
Tacque, mi guardò, in silenzio, per alcuni lunghissimi secondi. Stringeva i pugni, perché voleva toccarmi ma non ne aveva il coraggio.
«Ma tu sei di più di un semplice Figlio della Vita. Sei parte della Vita stessa. Tu che hai voluto dare un attimo di calore perfino a me… Passeggiavo. E facevo il mio lavoro, come al solito. Come sempre. I tuoi fantasmi mi hanno riconosciuta. E temuta, fino al terrore. Non dovevi vedermi. Ma mi hai vista. Mi hai vista e mi hai guardata. Con amore. Ho tirato dritto. Non pensavo mi avessi vista. Non avresti dovuto farlo… ma poi sei arrivato. Preoccupato per me. Per me. Ed io avevo così freddo…»
Smise di guardarmi negli occhi. Abbassò il suo splendido viso, il suo viso dolcissimo.
Tania… Thanatos…
«Ma ora sai. Sai chi sono. Cosa sono. Hai capito. Vado via. Perdonami. Scusa se ho rubato un po’ di calore che non mi appartiene. Addirittura, forse, un po’ di amore. Soltanto, ti prego, se puoi, non provare orrore al mio pensiero, al mio ricordo… io…»
Le posai un dito sulle labbra, quelle labbra bellissima, nere, perfette.
Tania… Thanatos… La Morte.
Sollevai delicatamente il suo viso. Delicatamente, dolcemente, la baciai, su quelle labbra bellissime, nere, perfette.
Ci guardavamo di nuovo, ancora negli occhi. Il suo viso sublime, un sorriso impercettibile. Una lacrima le accarezzava la guancia.
La baciai ancora una volta. E un’altra. E un’altra.
Facemmo l’amore per terra, sul mio bel tappeto, alla luce del fuoco che scoppiettava nel camino.
E fu dolcissimo.
Avevo amato, sì, delle volte. Amato davvero. Ma così mai…
Così mai.
Lei pianse, tra le mie braccia, lei, antica come la vita. E io restai lì, a cullarla, mentre il fuoco, piano piano, si estingueva. E poi ancora, al tenue bagliore delle braci.

Sono passati secoli da allora. Ho ormai superato ampiamente i settecento anni. Anzi, a voler essere onesti, vado quasi per gli ottocento.
I miei amici sono morti, ma ne ho conosciuti altri, tanti altri. I libri, quelli vecchi li ho letti quasi tutti, ma ne scrivono sempre di nuovi, tanti, alcuni molto belli. Beh, libri… più o meno. Diciamo che continuano a scrivere…
Le donne non sono mai state un problema, né mai lo saranno, e il vino, grazie a Dio, quello è rimasto quasi uguale.
E la mia cantina si è arricchita.
Anche i fantasmi sono ancora qui. Certo, non sono quelli di ottocento anni fa; loro sono andati, ripartiti. Hanno trovato il coraggio di affrontare il loro cammino. Questi sono novellini, dei ragazzini, nati tutti molto dopo di me. Li tengo qui, gli offro un’ancora, un rifugio sicuro per meditare, per avere il tempo di prepararsi ad accettare ciò che non hanno ancora trovato il fegato di accettare. E intanto provo a insegnargli, a fargli capire quanto lei sappia essere dolce se gliene si offre il modo.
Lei, la Morte, che per me sarà sempre Tania, la rividi, la rividi molto spesso. La vedo molto spesso. Viviamo ciò che per due creature peculiari come noi più assomiglia a una storia d’amore. Amore vero. E vorrei ben vedere, visto che dura da più di settecento anni!

Mi sono deciso a scrivere questa mia storia. Ci ho messo un po’.
La scrivo sulla carta, con l’inchiostro; da buon ex bibliotecario ci sono affezionato.
Ho meditato molto a riguardo. Conosco il mondo e so come reagisce, ma alla fine ho deciso di scrivere. Perché me l’ha chiesto lei. E me lo chiede davvero da tanto…
È dura da bere, lo so. Beh, controllate voi stessi! Basta davvero poco per risalire, saltellando, a tutte le identità che ho cambiato, ad una ad una… potreste partire da quella che c’è sulla copertina, tanto per cominciare. Ho cambiato identità ogni quarant’anni circa. Vediamo quante ne beccate…
Oppure studiate la storia, guardate negli annali. Io l’ho fatto e vi dico che c’è. Tra ottobre e novembre, anno duemiladodici. C’è una notte, non vi dico quale, in cui nel mondo non è morto nessuno. Fino all’alba.
Non che lei non fosse capace di fare il suo lavoro comunque mentre era con me… l’ha sempre fatto.
Ma quella notte, be’, quella fu, non so, la celebrazione di qualcosa di sacro. Vediamo se la trovate…
Lei mi ha chiesto di scrivere la nostra storia. Di raccontarla a chi la voleva sentire.
Io avevo dimostrato l’Amore a lei, e lei Lo ha ricordato a me.

Scrivo questo per chi ha paura. Paura di soffrire, paura di cambiare. Per chi è come i miei fantasmi, per chi altrimenti un giorno si avvinghierebbe alle mie spalle.
Che la morte non sia la fine dell’esistenza è ormai pressoché assodato, e chi non ci crede è un gonzo.
Ma c’è un altro mito da sfatare, un altro spauracchio da disarcionare: “comunque vada si muore soli”.
Non è vero! Lei c’è sempre.
Lei c’è sempre.
E ha pronta una carezza per ognuno di voi. Dolcissima.


FINE


Parte Prima
Parte Seconda
Parte Terza

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