Avevo capito e quindi sapevo cosa
fare. Questo bastava.
Certo, era una follia. Ma non è
forse una follia vivere con i fantasmi? Non è una follia sfruttarli in qualche
modo per regolare la propria vita sociale?
Devo essere sbiancato. Ritrovai
la vista, l’udito, il corpo. Tania mi guardava con espressione interrogativa e
un po’ preoccupata, mi teneva la mano scuotendola leggermente.
Tania…
«Sì, ti ho vista…».
Sorrise: «Meno male! Pensavo te
ne fossi andato da qualche parte… Stai bene?»
«Ti ho vista…» e sorrisi anch'io.
Il suo, di sorriso, invece, si
congelò. Mi guardava ancora negli occhi, seria, preoccupata. Triste.
«I fantasmi, li avevo visti,
sai…» parlando, mi guardava ancora negli occhi, ma sulla mia mano aveva
lasciato la presa.
«Ti stanno attorno, si attaccano
a te. Tu li attiri. Alcuni sono giovani, altri antichi. Non ti vogliono né bene
né male, non gli interessa la tua vita. Ce ne sono di più o meno intelligenti,
ma nessuno è saggio. Stanno attorno a te e a quelli come te. Si aggrappano. Non
tutti quelli come te se ne accorgono, non tutti li sentono. Tu sì.»
Sorrise: «Tu hai una sensibilità
speciale…» avvicinò la sua mano alla mia, come per una carezza, poi si
trattenne: «Sono solo fantasmi, spiriti di gente morta. Spesso di morte
violenta, ma non sempre. Sono gli spiriti di persone che non hanno voluto e non
vogliono accettare la propria morte, che non si rassegnano ad abbandonare
l’esistenza terrena e proseguire il proprio percorso. Così si aggrappano a
quelli come te, dei solidi ancoraggi, perché voi siete i Figli della Vita. Con
la vostra forza, con la vita che scorre in voi, riuscite a tenerli qui, nella
materia, che pure più non gli appartiene».
Tacque, mi guardò, in silenzio,
per alcuni lunghissimi secondi. Stringeva i pugni, perché voleva toccarmi ma
non ne aveva il coraggio.
«Ma tu sei di più di un semplice
Figlio della Vita. Sei parte della Vita stessa. Tu che hai voluto dare un
attimo di calore perfino a me… Passeggiavo. E facevo il mio lavoro, come al
solito. Come sempre. I tuoi fantasmi mi hanno riconosciuta. E temuta, fino al
terrore. Non dovevi vedermi. Ma mi hai vista. Mi hai vista e mi hai guardata.
Con amore. Ho tirato dritto. Non pensavo mi avessi vista. Non avresti dovuto
farlo… ma poi sei arrivato. Preoccupato per me. Per me. Ed io avevo così
freddo…»
Smise di guardarmi negli occhi.
Abbassò il suo splendido viso, il suo viso dolcissimo.
Tania… Thanatos…
«Ma ora sai. Sai chi sono. Cosa
sono. Hai capito. Vado via. Perdonami. Scusa se ho rubato un po’ di calore che non
mi appartiene. Addirittura, forse, un po’ di amore. Soltanto, ti prego, se
puoi, non provare orrore al mio pensiero, al mio ricordo… io…»
Le posai un dito sulle labbra,
quelle labbra bellissima, nere, perfette.
Tania… Thanatos… La Morte.
Sollevai delicatamente il suo
viso. Delicatamente, dolcemente, la baciai, su quelle labbra bellissime, nere,
perfette.
Ci guardavamo di nuovo, ancora
negli occhi. Il suo viso sublime, un sorriso impercettibile. Una lacrima le accarezzava la guancia.
La baciai ancora una volta. E
un’altra. E un’altra.
Facemmo l’amore per terra, sul
mio bel tappeto, alla luce del fuoco che scoppiettava nel camino.
E fu dolcissimo.
Avevo amato, sì, delle volte.
Amato davvero. Ma così mai…
Così mai.
Lei pianse, tra le mie braccia,
lei, antica come la vita. E io restai lì, a cullarla, mentre il fuoco, piano
piano, si estingueva. E poi ancora, al tenue bagliore delle braci.
Sono passati secoli da allora. Ho
ormai superato ampiamente i settecento anni. Anzi, a voler essere onesti, vado
quasi per gli ottocento.
I miei amici sono morti, ma ne ho
conosciuti altri, tanti altri. I libri, quelli vecchi li ho letti quasi tutti,
ma ne scrivono sempre di nuovi, tanti, alcuni molto belli. Beh, libri… più o
meno. Diciamo che continuano a scrivere…
Le donne non sono mai state un
problema, né mai lo saranno, e il vino, grazie a Dio, quello è rimasto quasi
uguale.
E la mia cantina si è arricchita.
Anche i fantasmi sono ancora qui.
Certo, non sono quelli di ottocento anni fa; loro sono andati, ripartiti. Hanno
trovato il coraggio di affrontare il loro cammino. Questi sono novellini, dei
ragazzini, nati tutti molto dopo di me. Li tengo qui, gli offro un’ancora, un
rifugio sicuro per meditare, per avere il tempo di prepararsi ad accettare ciò
che non hanno ancora trovato il fegato di accettare. E intanto provo a
insegnargli, a fargli capire quanto lei sappia essere dolce se gliene si offre
il modo.
Lei, la Morte, che per me sarà
sempre Tania, la rividi, la rividi molto spesso. La vedo molto spesso. Viviamo
ciò che per due creature peculiari come noi più assomiglia a una storia
d’amore. Amore vero. E vorrei ben vedere, visto che dura da più di settecento
anni!
Mi sono deciso a scrivere questa
mia storia. Ci ho messo un po’.
La scrivo sulla carta, con
l’inchiostro; da buon ex bibliotecario ci sono affezionato.
Ho meditato molto a riguardo.
Conosco il mondo e so come reagisce, ma alla fine ho deciso di scrivere. Perché
me l’ha chiesto lei. E me lo chiede davvero da tanto…
È dura da bere, lo so. Beh,
controllate voi stessi! Basta davvero poco per risalire, saltellando, a tutte
le identità che ho cambiato, ad una ad una… potreste partire da quella che c’è
sulla copertina, tanto per cominciare. Ho cambiato identità ogni quarant’anni
circa. Vediamo quante ne beccate…
Oppure studiate la storia,
guardate negli annali. Io l’ho fatto e vi dico che c’è. Tra ottobre e novembre,
anno duemiladodici. C’è una notte, non vi dico quale, in cui nel mondo non è
morto nessuno. Fino all’alba.
Non che lei non fosse capace di
fare il suo lavoro comunque mentre era con me… l’ha sempre fatto.
Ma quella notte, be’, quella fu,
non so, la celebrazione di qualcosa di sacro. Vediamo se la trovate…
Lei mi ha chiesto di scrivere la
nostra storia. Di raccontarla a chi la voleva sentire.
Io avevo dimostrato l’Amore a
lei, e lei Lo ha ricordato a me.
Scrivo questo per chi ha paura.
Paura di soffrire, paura di cambiare. Per chi è come i miei fantasmi, per chi
altrimenti un giorno si avvinghierebbe alle mie spalle.
Che la morte non sia la fine
dell’esistenza è ormai pressoché assodato, e chi non ci crede è un gonzo.
Ma c’è un altro mito da sfatare,
un altro spauracchio da disarcionare: “comunque vada si muore soli”.
Non è vero! Lei c’è sempre.
Lei c’è sempre.
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