Credo un po' tutti i lettori e appassionati di fantastico abbiano almeno una volta nella loro vita pensato di pubblicare qualcosa. Che ne so, la cronaca di una lunghissima campagna GdR o un ciclo fantascientifico in sedici volumi da novecento pagine l'uno, giusto per rimanere sul semplice.
Il problema è che alla presentazione di un testo a un editore, per quanto uno abbia magari una splendida idea, un ottimo stile e un'incredibile prosa, c'è il rischio di trovare il proprio lavoro completamente coperto da strane righe rosse. Anche se siete convinti di aver scritto correttamente, probabilmente per gli standard redazionali non è vero.
E' normale per esempio che i non addetti ai lavori non trovino al volo i tre refusi che ho infilato in questa frase, perchè generalmente sono cose di cui non ci si preoccupa (grazie a Bob, aggiungerei) .
Questa dunque vuole essere un'informale guida alla stesura di un manoscritto che segua determinate regole formali, al fine di avvicinare il vostro lavoro a quello che potete visionare in un qualsiasi libro di qualità. Ma non solo, certe regole funzionano perfettamente per aprire un blog, dove alla fine dei conti dovete essere sempre gli editor di voi stessi (e vi assicuro essere la cosa più difficile al mondo).
Non seguirò un particolare filo logico, semplicemente nel tempo aggiungerò – sempre che l'idea sia recepita positivamente – consigli che potranno spaziare dall'utile al banale (ma non ditemelo quando succede o piango). I consigli in questa prima parte saranno molto generici e meno incentrati sulla nostra passione, ma senza basi come si fa a conquistare lo spazio?
Prima di pastrocchiare consigli, ci tengo a fare alcune premesse.
- Ciò che scriverò si basa totalmente sulla mia esperienza personale;
- Le norme redazionali, ovvero le regole di uniformazione dei testi, sono diverse per ogni casa editrice. Quindi non vi stupite se magari differiscono da quelle che conoscete o affermano addirittura l'esatto contrario. Ciò non toglie che molte di quelle che segnalerò siano piuttosto comuni e spesso le uniche storicamente “italiane”.
- Non è necessario che vi prendiate la briga di seguire i miei consigli, è solo un modo per fare una buona figura e per imparare ad avere una buona sensibilità per gli aspetti formali di un testo. Un'opera di qualità verrà comunque scelta, a prescindere da tutto. Al massimo mi sentirete piangere sommessamente in un qualche angolino.
Non avrai altro spazio all'infuori che il primo
Lo spazio in editoria è un carattere, non un buco vuoto invisibile. Come ogni carattere, si usa quando si deve. Come due virgole suonano brutte vicino, anche lo spazio non ama molto la compagnia dei suoi simili. Preferisce di gran lunga altri caratteri, decisamente più sexy. Questo vale per ogni cosa, anche per i rientri. Insomma, in ogni caso bacchettatevi le mani se premete più di una volta la barra spaziatrice. O fatevi bacchettare, se siete quel genere di persone.
I puntini di sospensione non sono tre punti
Anche il punto condivide con gli altri caratteri un certo imbarazzo a stare accanto a un suo gemello. I tre puntini di sospensione sono un carattere a sé stante. “...” è sbagliato. “…” invece ci piace molto di più.
I puntini sono seguiti da uno spazio se all'inizio (… E poi liberò il kraken) e non preceduti da spazio se in fondo (E poi liberò il kraken…).
Ogni volta che usate il grassetto, un Eterno muore
Un testo si scrive normalmente in tondo, esattamente come gran parte di questa pagina. Il grassetto è visivamente considerato volgare, carica eccessivamente di nero la pagina e non dà tutta quella visibilità alle parole chiave come si penserebbe. Per i titoli è meglio usare il maiuscoletto e per il corpo testo il corsivo.
Parliamo comunque di testi scritti, a video fa tutto un altro effetto e io stesso uso il neretto con una certa regolarità, spesso con colori per cui in Paesi civili finirei in galera.
Gerarchia delle virgolette, questa sconosciuta
È uno dei punti meno universali di questa guidaccia. Però fra gli editori della scuola torinese, considerati i migliori, la regola che segue è spesso la più usata.
- Per citare brani o singole parole si usano le virgolette basse o sergentine (« »).
- Per citazioni parafrasate, citazioni nelle citazioni, modi di dire e parole con un rilievo particolare si usano le virgolette alte (“ ”).
- Per i casi in cui le altre virgolette sono state già sfruttate si usano i singoli apici (‘ ’).
A meno che non siate americani, potete tranquillamente evitarvi i trattini lunghi (—) per i discorsi diretti. Sì, lo so, certi romanzi fantasciocchi merabruttissimi redatti da un tizio orbo con due uncini al posto delle mani vi ha fatto innamorare di questa soluzione, ma vi assicuro che sono un inferno da gestire.
Se qualcuno riesce a usare questa regola alla prima, è probabilmente un Kwisatz Haderach
Nel caso di citazioni, se la frase inizia dopo un punto, si inserisce il punto finale della citazione dentro le virgolette.
Andammo a casa. «Non si può entrare in questa stanza. Puzza.» Allora decidemmo…
La faccenda si complica quando la citazione è collegata precedentemente o successivamente da un'altra frase.
Andammo a casa: «Non possiamo entrare in questa stanza. Puzza».
Come vedete il punto è passato all'esterno della citazione. Nel caso di punto esclamativo, punto interrogativo o puntini di sospensione, si inserisce il segno di interpunzione sia dentro sia fuori dalla citazione.
Andammo a casa: «Non possiamo entrare in questa stanza. Puzza!».
Ci sono anche altre combinazioni, giusto per rendere la cosa più divertente.
Il dottor Bubebbe invece propose una teoria interessante «Il sedere tendenzialmente ha un odore sgradevole» ma il dottor Gian Pepildo…
L'accento si trova spesso in una grave situazione [alla quinta battuta triste potrete percuotermi con porcospini su bastoni, se volete]
In italiano generalmente si usano soltanto accenti gravi (cioè, parlò, pulì, più), eccetto che nel caso della vocale “e” in cui si distinguono una “e” acuta (perché, perdé, sé, né) e una grave (è, caffè).
Gli accenti in parole non tronche si segnalano soltanto nel caso in cui si possano confondere due termini con la stessa ortografia. Per esempio "dei" e "dèi", "da" e "dà" o "principi" e "princìpi". Mi raccomando: do si usa molto più frequentemente come prima persona presente del verbo dare che come nota musicale. Lasciate quel dannato accento a casa sua, che ci ruba anche il lavoro (il mio tempo lo ruba sicuramente spesso).
Importantissimo: l'apostrofo non è un accento nemmeno nelle maiuscole. Esistono i glifi appositi per le lettere maiuscole accentate. In un forum o su Facebook si può sopportare la grafia E'; in un manoscritto o in un blog con mire "narrative", invece, provoca tanta tanta tenerezza.
Se avete un dubbio sulla giusta inclinazione di questi benedetti accenti, c'è un sito meraviglioso che contiene l'ortografia e la pronuncia corretta di un discreto numero di parole. La sua versione cartacea, poi, è una vera manna.
Semplicità è leggibilità
Un carattere leggibile e semplice è sempre la giusta scelta. I Serif – detti anche aggraziati – sono i più indicati. Un esempio è il sempreverde Garamond. Anche un'elegante Sans-serif può funzionare, come l'Helvetica o un suo clone open source.
I font simil-cyber, gotici o medievaleggianti sono robaccia a cui è bene stiate lontani, non importa quanto vi sembrino in linea con lo stile del vostro manoscritto.
Non state poi a incasinarvi con duecento tipi di carattere diversi, considerato che poi sarà il grafico editoriale a scegliere quello definitivo.
Ah, piuttosto che usare Comic Sans, Times New Roman o Arial, soffocate bambini nella melassa. Sul serio, sono di una bruttezza ineguagliata e ineguagliabile. Ci sono molti siti che contengono ottime e sobrie font gratuite.
Prima regola sull'impaginazione per autori: non c'è alcuna impaginazione da fare
Si parla sempre dello stesso principio barboso e ricorrente: semplicità.
Una buona presentazione del vostro manoscritto a livello estetico può sembrare a primo acchito un'ottima idea per promuovere il contenuto del testo. Probabilmente è davvero un'ottima idea, ma bisogna prima imparare a farlo e avere fra le mani i programmi giusti. Perché complicarsi la vita inutilmente? Siete intellettuali, mica un maledetto e puzzolente grafico editoriale che guadagna a progetto il doppio di me.
Sigh.
Piuttosto, con un pizzico di umiltà, trasformate il vostro manoscritto in un san Francesco cartaceo.
Fate finta di battere la vostra opera con una macchina da scrivere, usando insomma solo quello che permetterebbe quel romantico strumento meccanico. Eccezion fatta della scelta del carattere e i suoi stili.
Titolo, pagina vuota, testo. Niente di più e niente di meno.
Le eventuali note aggiungetele numerate in fondo e i riferimenti nelle pagine sottolineateli con un banale numero fra parentesi(1), senza usare l'opzione presente in word che spesso fa più danni di un berserker a un ballo delle debuttanti. Lo stesso principio vale anche per l'indice e la bibliografia.
Non solo eviterete di perdere tempo, ma, nel caso il vostro lavoro venga accettato, l'impaginatore potrà tranquillamente esportare tutto il vostro lavoro senza nominare invano tutti gli archetipi divini che conosce.
E qui finisce la prima parte. Se avete interesse per la materia, fatemi un fischio ed entrerò più nel dettaglio. Magari vi potrei parlare delle maiuscole. Sì. Cosa c'è da sapere sulle maiuscole, dite? Un sacco di roba, fidatevi.
1 Response to Guida scherzona alla redazione di un testo
Apprezzo moltissimo, se ne faccia un seguito! (O un séguito?)
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