mercoledì 20 febbraio 2013

L'immaginario collettivo Fantasy

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Sottotitolo: Portate pazienza e finite di leggerlo che in fondo si parla male di Twilight

Era la fine degli anni Ottanta, dei bambini giocavano nel cortile della scuola. La maggior parte di essi a pallone, ma un gruppetto di 4-5 rimaneva in disparte ad agitare spade invisibili, lanciarsi palle di fuoco immaginarie e cavalcare creature di fantasia. Quel mondo fantastico era popolato principalmente da nani, elfi, draghi e orchi: tutto ciò che rappresentava, cioè, l’immaginario fantasy a cui un bambino poteva attingere all’epoca.
A distanza di qualche anno scoprii che tutto ciò aveva un nome, si chiamava Gioco di Ruolo, e anche la mia funzione all’interno del gruppo era stata codificata: ero, a mia insaputa, il Dungeon Master. Lo appresi scartando e divorando avidamente il contenuto di quella fatidica scatola rossa con la scritta Dungeons & Dragons, emanante fascino e mistero allora, avvolta da nostalgia e ricordi adesso.


Sfogliandone le pagine ritrovai quegli stessi abitanti che popolavano i nostri pomeriggi di ricreazione: c’erano i nani, gli elfi, i draghi e gli orchi, nonché un nutrito numero di altre razze, la maggior parte delle quali confinate al ruolo di antagonisti. L’emozione della scoperta si mescolava a quel senso di tepore scaturito dal conoscere vagamente gli argomenti trattati, pur non avendoli mai approfonditi. Erano i primi anni Novanta, scoprivo con gioia il vero significato della parola stupore.
La mia fame per tutto ciò che profumava di fantasy non si saziava mai. Provai coi libri. A ripercorrere quella stessa strada oggi ricomincerei da Tolkien e mi concedo di aggiungere anche un “ovviamente” in coda a questa frase. Ma quante possibilità ci sono che un adolescente ignorante in materia preferisca un titolo come Lo Hobbit o Il Signore degli Anelli a un altisonante I Draghi del Crepuscolo d’Autunno?
Se stiamo ancora parlando di me, e non illudetevi lo stiamo ancora facendo, nessuna; quindi cominciai da lì. E rieccoli, ormai agitavo la mano in segno di saluto man mano che li incontravo: i nani, gli elfi, i draghi e gli orchi… a dire il vero non mi ricordo tanti orchi nella prima trilogia di Dragonlance, ma poco importa, l’immaginario collettivo fantasy era ancora lì. C’era però ancora spazio per qualche novità: una razza di piccoli bambin-uomini chiamati kender, al posto del classico elfo facevamo prima la conoscenza di Tanis, un protagonista mezz’elfo e così via.
Il tunnel di Dragonlance durò fino alla fine della saga dei Gemelli, poi decisi di dar retta ai settordici amici che continuavano a parlarmi di Tolkien e lessi Lo Hobbit. Fu amore a prima lettura. I bambin-uomini qui si chiamavano, per l’appunto, hobbit e sì, so benissimo in che anno sono state scritte le due opere, non sto accusando nessuno di plagio verso nessun altro. Il mio io di allora però non lo sapeva e trovò buffa la vaga somiglianza. E indovinate cos’altro c’era? Sì, esatto, ormai l’avete capito. Stava giungendo la fine degli anni Novanta, cominciavo a dimenticare il vero significato della parola stupore.

Non temete, non andrò a ripercorrere ogni singolo libro, gioco o videogioco fantasy della mia vita, anche perché un articolo non sarebbe decisamente sufficiente. Vi basti sapere che continuai per anni e anni sulla stessa strada, trovavo confortante imbattermi continuamente in presenze tra loro simili seppur con caratteristiche specifiche sempre differenti. Adoravo poter creare svariati nani diversi… ehm, personaggi diversi tra loro in ogni titolo videoludico di ultima uscita, anche se la novità introdotta si limitava a una variante di incantesimo o nel mio caso specifico una treccia per la barba più elaborata delle precedenti.
Contemporaneamente quanto inconsapevolmente però, strisciava nella mia mente una serpe nata e cresciuta negli anni, un dubbio che trova voce solo ora: possibile che in tutti questi anni nessuno si sia stufato di trovare sempre gli stessi dannati nani, elfi draghi ed orchi?
Sì, ho detto di adorarli ed è ancora vero. E no, non sono schizofrenico. A dire il vero forse sì. Ma non stiamo parlando di me. Non più insomma. Stiamo parlando di fantasy, ecco! Quello che non riesco a capire è perché siamo relegati a un immaginario collettivo composto unicamente dagli stessi elementi ripetuti ancora e ancora e ancora.
“Ma gli Elfi di Tolkien son diversi da quelli di Warhammer e in D&D ce ne sono addirittura N [inserire numero a seconda dei manuali acquistati] tipologie differenti.” Sì, vero. Ma hai notato una cosa? Hanno sempre gli stessi orecchi a punta, la medesima boria, e un’omosessualità più o meno latente, ma comunque sempre molto presente!


Romanzi in cui i draghi son creature mitologiche dimenticate negli anni, altri in cui vivono nell’epoca moderna e altri ancora in cui vivono a contatto con l’uomo e si incrociano con esso originando dei semidraghi. Squame, coda, ali, fuoco, potere. Draghi. E la cosa più buffa è che hanno provato anche a stravolgerne la natura, cambiandone il soffio, togliendo le ali, arricciando la coda e variandone il livello di potere. Curioso come rimangano, però, pur sempre draghi.

Provate ad entrare in libreria, sfogliare i primi dieci libri a caso del reparto fantasy e ditemi quanti non riportano neanche uno del poker di elementi sopra esposto. Provate a entrare in un negozio di videogiochi e fare altrettanto. Si, potreste trovare difficoltoso sfogliare i DVD, vi consiglio di limitarvi a osservare le immagini e leggere il trafiletto sul retro della confezione. Provate a entrare in una videoteca. No davvero, provateci: io non ne conosco più di aperte qui nelle vicinanze.
Se poi avete un iPhone potreste provare a scrivere “Fantasy” nella funzione cerca dell’App Store. Qui tra i primi 10 risultati annoveriamo ben 8 titoli sportivi, di cui 7 sul calcio; roba da far piangere e rimpiangere nani, elfi, draghi ed orchi.
Corre l’anno 2013, ho trent’anni. La parola stupore ora mi richiama solo una vaga assonanza con sudore. Sudore di cui nessuno si bagna più nel tentativo di farci riscoprire il significato di studore… pardon, stupore.
Quindi, vi chiederete, qual è il punto? Niente di concreto suppongo. Ho voluto semplicemente farvi parte di un senso d’insoddisfazione generale che nasce dall’incapacità di un genere di uscire dagli schemi di un immaginario collettivo affermato e funzionante. Immagino sia dovuto all’incapacità di osare, una dilagante allergia al rischio, un morbo di omologazione diffuso a ogni livello della società in cui viviamo.

Ma c’è chi se la passa peggio di noi, amanti del fantasy anticonformistico. Poco fa vi ho invitati a entrare in libreria. Ecco, torniamoci assieme. Lo vedete quello scaffale con su scritto romanzi/narrativa? È proprio lì, accanto a quello fantasy/fantascienza; vaglielo a spiegare che son due generi praticamente agli antipodi. Vabbe’, restiamo sui romanzi per ora. Lo vedete il morbo che affligge loro? Riuscite a distinguere su cosa si sta uniformando l’immaginario collettivo? E bada bene, non ho parlato di immaginario collettivo horror, romantico o di qualunque altro genere riusciate a pensare, bensì di immaginario collettivo. Punto.
Vampiri. Dannati succhiasangue, ovunque. Vengono fuori dalle fottute pareti, altro che alieni. Sì, la citazione corretta è questa e non la spesso erroneamente usata “escono”, ho controllato. Sono dappertutto, dai thriller alle storie d’amore, dai polizieschi alle ricette di suor Germana, se vi girate di scatto potreste vederne uno proprio ora alle vostre spal… no, troppo tardi non vi siete girati subito.
Che poi posso capire il proliferare di romanzi che utilizzino una creatura in origine così tetra eppure affascinante, carica del peso di dicotomie esistenziali notevoli, per picchi di tensione in narrazioni altrettanto cupe. Ma che una tale figura venga continuamente usurpata per essere spogliata della sua primigenia essenza non mi va proprio giù, specie se il fine ultimo è suscitare un sospirato “com’è romantico”. Via, non è sensato e ormai nemmeno più originale: dopo Twilight aveva già stancato, senza bisogno di arrivare al millesimo clone. Abbiate almeno il coraggio di osare, scegliete una creatura inusuale, che possa suscitare dell’interesse rinnovato. Chessò, un Kappa. Io la leggerei una storia d’amore con protagonista maschile un Kappa. Ecco perché non leggerò mai una storia d’amore con buona probabilità.


Be', tornando al problema vampiri, se non altro basta un paletto di legno conficcato ben bene nel cuore per ucciderli. Se state giocando a D&D 3.0 o 3.5; in tal caso non rimuovetelo anche dopo averli uccisi, a meno che non vi siate già disfatti del corpo o non l’abbiate decapitato e riempitone la bocca del qualsiasi oggetto preventivamente benedetto. Se siete più da gioco White Wolf invece non avrete fatto altro che paralizzarli, che comunque aiuta.
Ecco perché adoro il fantastico: tutto sommato sapere che all’interno del nostro immaginario collettivo nerd si annidano così tante sfaccettature e caratterizzazioni mi aiuta a digerire il rospo delle costanti invariabili.

Concludo questa vuota arringa con una curiosità. Spulciando Wikipedia ho scoperto che i vampiri di Twilight non sono gli unici ad avere una sola debolezza. No, non è l’essere foil di giorno e mint di notte, quella non viene considerata; pare essere il fuoco. Trattasi di un rinomato collega degli anni Ottanta...
Conte Dacula sei tosto, ma sempre in Transilvania te ne stai…



Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate, nel quale troverete anche questo stesso articolo.

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1 Response to L'immaginario collettivo Fantasy

ziomele
20 febbraio 2013 alle ore 18:26

Sono sempre più convinto che tu, si mio caro proprio tu, riesca a leggermi nel pensiero. Ho notato fin da subito questo ripetersi del genere fantasy. Quasi esistesse un layout predefinito e inserito in qualsiasi libro, gioco, viggì o film. Ed è anche frustrante vedere che ormai il vero significato del Fantasy (genere dove bisognerebbe usare la fantasia appunto) venga canonizzato sempre più nei soliti stereotipi. Concludo dicendo che mi è piaciuto davvero tanto questo articolo.

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