Era la fine degli anni Ottanta, dei bambini giocavano
nel cortile della scuola. La maggior parte di essi a pallone, ma un gruppetto
di 4-5 rimaneva in disparte ad agitare spade invisibili, lanciarsi palle di
fuoco immaginarie e cavalcare creature di fantasia. Quel mondo fantastico era
popolato principalmente da nani, elfi, draghi e orchi: tutto ciò che
rappresentava, cioè, l’immaginario fantasy a cui un bambino poteva attingere
all’epoca.
A distanza di qualche anno scoprii che tutto ciò
aveva un nome, si chiamava Gioco di Ruolo, e anche la mia funzione all’interno
del gruppo era stata codificata: ero, a mia insaputa, il Dungeon Master. Lo
appresi scartando e divorando avidamente il contenuto di quella fatidica
scatola rossa con la scritta Dungeons & Dragons, emanante fascino e mistero
allora, avvolta da nostalgia e ricordi adesso.
Sfogliandone le pagine ritrovai quegli stessi
abitanti che popolavano i nostri pomeriggi di ricreazione: c’erano i nani, gli
elfi, i draghi e gli orchi, nonché un nutrito numero di altre razze, la maggior
parte delle quali confinate al ruolo di antagonisti. L’emozione della scoperta
si mescolava a quel senso di tepore scaturito dal conoscere vagamente gli
argomenti trattati, pur non avendoli mai approfonditi. Erano i primi anni Novanta,
scoprivo con gioia il vero significato della parola stupore.
La mia fame per tutto ciò che profumava di fantasy
non si saziava mai. Provai coi libri. A ripercorrere quella stessa strada oggi
ricomincerei da Tolkien e mi concedo di aggiungere anche un “ovviamente” in
coda a questa frase. Ma quante possibilità ci sono che un adolescente ignorante
in materia preferisca un titolo come Lo Hobbit o Il Signore degli Anelli a un
altisonante I Draghi del Crepuscolo d’Autunno?
Se stiamo ancora parlando di me, e non illudetevi lo stiamo ancora facendo, nessuna; quindi cominciai da lì. E rieccoli, ormai agitavo la mano in segno di saluto man mano che li incontravo: i nani, gli elfi, i draghi e gli orchi… a dire il vero non mi ricordo tanti orchi nella prima trilogia di Dragonlance, ma poco importa, l’immaginario collettivo fantasy era ancora lì. C’era però ancora spazio per qualche novità: una razza di piccoli bambin-uomini chiamati kender, al posto del classico elfo facevamo prima la conoscenza di Tanis, un protagonista mezz’elfo e così via.
Se stiamo ancora parlando di me, e non illudetevi lo stiamo ancora facendo, nessuna; quindi cominciai da lì. E rieccoli, ormai agitavo la mano in segno di saluto man mano che li incontravo: i nani, gli elfi, i draghi e gli orchi… a dire il vero non mi ricordo tanti orchi nella prima trilogia di Dragonlance, ma poco importa, l’immaginario collettivo fantasy era ancora lì. C’era però ancora spazio per qualche novità: una razza di piccoli bambin-uomini chiamati kender, al posto del classico elfo facevamo prima la conoscenza di Tanis, un protagonista mezz’elfo e così via.
Il tunnel di Dragonlance durò fino alla fine della
saga dei Gemelli, poi decisi di dar retta ai settordici amici che continuavano
a parlarmi di Tolkien e lessi Lo Hobbit. Fu amore a prima lettura. I
bambin-uomini qui si chiamavano, per l’appunto, hobbit e sì, so benissimo in
che anno sono state scritte le due opere, non sto accusando nessuno di plagio
verso nessun altro. Il mio io di allora però non lo sapeva e trovò buffa la
vaga somiglianza. E indovinate cos’altro c’era? Sì, esatto, ormai l’avete
capito. Stava giungendo la fine degli anni Novanta, cominciavo a dimenticare il vero
significato della parola stupore.
Non temete, non andrò a ripercorrere ogni singolo
libro, gioco o videogioco fantasy della mia vita, anche perché un articolo non
sarebbe decisamente sufficiente. Vi basti sapere che continuai per anni e anni
sulla stessa strada, trovavo confortante imbattermi continuamente in presenze
tra loro simili seppur con caratteristiche specifiche sempre differenti.
Adoravo poter creare svariati nani diversi… ehm, personaggi diversi tra loro
in ogni titolo videoludico di ultima uscita, anche se la novità introdotta si
limitava a una variante di incantesimo o nel mio caso specifico una treccia
per la barba più elaborata delle precedenti.
Contemporaneamente quanto inconsapevolmente però, strisciava
nella mia mente una serpe nata e cresciuta negli anni, un dubbio che trova voce
solo ora: possibile che in tutti questi anni nessuno si sia stufato di trovare
sempre gli stessi dannati nani, elfi draghi ed orchi?
Sì, ho detto di adorarli ed è ancora vero. E no,
non sono schizofrenico. A dire il vero forse sì. Ma non stiamo parlando di me.
Non più insomma. Stiamo parlando di fantasy, ecco! Quello che non riesco a
capire è perché siamo relegati a un immaginario collettivo composto unicamente
dagli stessi elementi ripetuti ancora e ancora e ancora.
“Ma gli Elfi di Tolkien son diversi da quelli di
Warhammer e in D&D ce ne sono addirittura N [inserire numero a seconda dei
manuali acquistati] tipologie differenti.” Sì, vero. Ma hai notato una cosa?
Hanno sempre gli stessi orecchi a punta, la medesima boria, e un’omosessualità
più o meno latente, ma comunque sempre molto presente!
Romanzi in cui i draghi son creature mitologiche
dimenticate negli anni, altri in cui vivono nell’epoca moderna e altri ancora
in cui vivono a contatto con l’uomo e si incrociano con esso originando dei
semidraghi. Squame, coda, ali, fuoco, potere. Draghi. E la cosa più buffa è che
hanno provato anche a stravolgerne la natura, cambiandone il soffio, togliendo
le ali, arricciando la coda e variandone il livello di potere. Curioso come
rimangano, però, pur sempre draghi.
Provate ad entrare in libreria, sfogliare i primi
dieci libri a caso del reparto fantasy e ditemi quanti non riportano neanche
uno del poker di elementi sopra esposto. Provate a entrare in un negozio di
videogiochi e fare altrettanto. Si, potreste trovare difficoltoso sfogliare i
DVD, vi consiglio di limitarvi a osservare le immagini e leggere il trafiletto
sul retro della confezione. Provate a entrare in una videoteca. No davvero,
provateci: io non ne conosco più di aperte qui nelle vicinanze.
Se poi avete un iPhone potreste provare a scrivere “Fantasy” nella funzione cerca dell’App Store. Qui tra i primi 10 risultati
annoveriamo ben 8 titoli sportivi, di cui 7 sul calcio; roba da far piangere e
rimpiangere nani, elfi, draghi ed orchi.
Corre l’anno 2013, ho trent’anni. La parola stupore
ora mi richiama solo una vaga assonanza con sudore. Sudore di cui nessuno si
bagna più nel tentativo di farci riscoprire il significato di studore… pardon,
stupore.
Quindi, vi chiederete, qual è il punto? Niente di
concreto suppongo. Ho voluto semplicemente farvi parte di un senso
d’insoddisfazione generale che nasce dall’incapacità di un genere di uscire
dagli schemi di un immaginario collettivo affermato e funzionante. Immagino sia
dovuto all’incapacità di osare, una dilagante allergia al rischio, un morbo di
omologazione diffuso a ogni livello della società in cui viviamo.
Ma c’è chi se la passa peggio di noi, amanti del
fantasy anticonformistico. Poco fa vi ho invitati a entrare in libreria. Ecco,
torniamoci assieme. Lo vedete quello scaffale con su scritto romanzi/narrativa?
È proprio lì, accanto a quello fantasy/fantascienza; vaglielo a spiegare che
son due generi praticamente agli antipodi. Vabbe’, restiamo sui romanzi per ora.
Lo vedete il morbo che affligge loro? Riuscite a distinguere su cosa si sta
uniformando l’immaginario collettivo? E bada bene, non ho parlato di
immaginario collettivo horror, romantico o di qualunque altro genere riusciate a
pensare, bensì di immaginario collettivo. Punto.
Vampiri. Dannati succhiasangue, ovunque. Vengono
fuori dalle fottute pareti, altro che alieni. Sì, la citazione corretta è
questa e non la spesso erroneamente usata “escono”, ho controllato. Sono
dappertutto, dai thriller alle storie d’amore, dai polizieschi alle ricette di
suor Germana, se vi girate di scatto potreste vederne uno proprio ora alle
vostre spal… no, troppo tardi non vi siete girati subito.
Che poi posso capire il proliferare di romanzi che
utilizzino una creatura in origine così tetra eppure affascinante, carica del
peso di dicotomie esistenziali notevoli, per picchi di tensione in narrazioni
altrettanto cupe. Ma che una tale figura venga continuamente usurpata per
essere spogliata della sua primigenia essenza non mi va proprio giù, specie se
il fine ultimo è suscitare un sospirato “com’è romantico”. Via, non è sensato e
ormai nemmeno più originale: dopo Twilight aveva già stancato, senza bisogno di
arrivare al millesimo clone. Abbiate almeno il coraggio di osare, scegliete una
creatura inusuale, che possa suscitare dell’interesse rinnovato. Chessò, un
Kappa. Io la leggerei una storia d’amore con protagonista maschile un Kappa.
Ecco perché non leggerò mai una storia d’amore con buona probabilità.
Be', tornando al problema vampiri, se non altro
basta un paletto di legno conficcato ben bene nel cuore per ucciderli. Se state
giocando a D&D 3.0 o 3.5; in tal caso non rimuovetelo anche dopo averli
uccisi, a meno che non vi siate già disfatti del corpo o non l’abbiate decapitato e riempitone la bocca del qualsiasi oggetto preventivamente
benedetto. Se siete più da gioco White Wolf invece non avrete fatto altro che
paralizzarli, che comunque aiuta.
Ecco perché adoro il fantastico: tutto sommato
sapere che all’interno del nostro immaginario collettivo nerd si annidano così
tante sfaccettature e caratterizzazioni mi aiuta a digerire il rospo delle
costanti invariabili.
Concludo questa vuota arringa con una curiosità.
Spulciando Wikipedia ho scoperto che i vampiri di Twilight non sono gli unici
ad avere una sola debolezza. No, non è l’essere foil di giorno e mint di notte,
quella non viene considerata; pare essere il fuoco. Trattasi di un rinomato
collega degli anni Ottanta...
Conte Dacula
sei tosto, ma sempre in Transilvania te ne stai…
Deo Divvi, non pago di bloggare a vanvera, è anche impegnato in 2 progetti largamente attinenti al mondo del fantastico: un serial book fantasy dal nome "Il Cubo di Enascentia" e Thy Shirt, un sito di magliette nerd.
Collabora inoltre con Cultura Ibrida, il blog della casa editrice Lettere Animate, nel quale troverete anche questo stesso articolo.
1 Response to L'immaginario collettivo Fantasy
Sono sempre più convinto che tu, si mio caro proprio tu, riesca a leggermi nel pensiero. Ho notato fin da subito questo ripetersi del genere fantasy. Quasi esistesse un layout predefinito e inserito in qualsiasi libro, gioco, viggì o film. Ed è anche frustrante vedere che ormai il vero significato del Fantasy (genere dove bisognerebbe usare la fantasia appunto) venga canonizzato sempre più nei soliti stereotipi. Concludo dicendo che mi è piaciuto davvero tanto questo articolo.
Posta un commento